Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6150 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6150 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• COIRO Antonino, nato a Catania il giorno 21/7/1981;
avverso la ordinanza n. 1.113/15 in data 16/10/2015 del Tribunale di Bologna in
funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Luigi BIRRITTERI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 16/10/2015, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale
di Bologna ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari
presso il medesimo Tribunale in data 28/9/2015 con la quale era stata applicata
nei confronti di COIRO Antonino la misura cautelare personale della custodia in
carcere in relazione al reato di concorso in rapina pluriaggravata anche dall’uso
di armi ai danni della “Banca CARIGE”, fatto commesso in Imola il 25/9/2015.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’imputato,
deducendo:

Data Udienza: 09/02/2016

1. Violazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per erronea
applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 56 e 628 cod. pen.
Evidenzia, al riguardo il difensore del ricorrente, che il reato in contestazione
doveva essere qualificato come tentato e non come consumato alla luce
dell’intervento delle Forze dell’ordine che hanno immobilizzato i correi ancor
prima che gli stessi potessero uscire dai locali dell’Istituto di credito.
2. Vizi di motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alle

Si duole, al riguardo, la difesa del ricorrente del fatto che non sia stata concessa
al COIRO la misura degli arresti domiciliari trattandosi di soggetto che non si è
mai sottratto in precedenza a tale tipo di misura da ritenersi adeguata a
salvaguardare le esigenze cautelari nel caso in esame.
Il Tribunale avrebbe motivato sul punto con affermazioni apodittiche e con
clausole di stile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Sul presupposto che non è certo in discussione il coinvolgimento del ricorrente
nella vicenda delittuosa allo stesso contestata, stante l’intervenuto arresto in
flagranza e la confessione resa dall’indagato (oltre che dai correi), va detto che
la questione della qualificazione giuridica del fatto è già stata formulata in sede
di gravame innanzi al Tribunale del riesame ed ha ottenuto nell’ordinanza
impugnata una risposta congrua e conforme a diritto.
Nella incontestata ricostruzione dei fatti si è evidenziato che allorquando il
personale della Polizia di Stato, allertato da un dipendente della banca, è
sopraggiunto sul luogo dei fatti, dato che nel frattempo i dipendenti dell’Istituto
di credito erano riusciti a fuggire, gli operanti hanno fatto irruzione nei locali
della banca bloccando i tre malviventi. Nell’occasione il COIRO è stato trovato in
possesso della somma di 1.000,00 C risultata essere il “bottino” della rapina in
quanto già consegnatagli da un dipendente della banca, oltre che di un taglierino
e di un telefono utilizzato per tenere le comunicazioni con altro complice.
Alla luce degli eventi come sopra descritti, correttamente il Tribunale del riesame
ha ritenuto configurato il reato di rapina nella forma consumata e non in quella
tentata richiamando precedente assunto di questa Sezione della Corte Suprema,
condiviso anche dall’odierno Collegio, secondo il quale “il reato di cui all’art. 628
cod. pen. può dirsi consumato nell’ipotesi in cui la cosa venga sottratta al
possessore e l’agente se ne sia impossessato, anche per brevissimo tempo,

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esigenze cautelari.

sfuggendo alla cerchia di vigilanza del titolare, essendo irrilevante che la
refurtiva sia stata abbandonata immediatamente dopo la sottrazione, per
l’intervento del tutto aleatorio di un terzo” (Cass. Sez. 2, sent. n. 22098 del
19/05/2015, dep. 27/05/2015, Rv. 263996).
Del resto proprio decidendo in ordine ad una situazione analoga a quella qui in
esame sempre questa Corte Suprema ha avuto modo di chiarire che “Il reato di
rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio
esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in

il soggetto agente sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento
dell’avente diritto o della Forza pubblica.” (Fattispecie nella quale la Corte ha
ritenuto consumata la rapina in banca commessa dall’imputato, che, dopo
essersi impossessato del denaro, veniva bloccato all’interno dell’istituto dal
sistema girevole di accesso e successivamente immobilizzato da una guardia
giurata). (Cass. Sez. 2, sent. n. 5512 del 22/10/2013, dep. 04/02/2014, Rv.
258207).
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale del riesame, con una motivazione congrua e logica – e quindi
tutt’altro che apodittica – ha chiarito le ragioni per le quali le esigenze cautelari
nei confronti dell’odierno ricorrente non possono che essere garantite con la
custodia intracarceraria evidenziando la sussistenza di un concreto ed attuale
pericolo di reiterazione della condotta criminosa legato alla professionalità
nell’azione dimostrata dai rapinatori, l’inverosimiglianza di alcune delle
dichiarazioni dagli stessi rese e dalla pericolosità e capacità criminale del COIRO,
soggetto privo di comprovata attività lavorativa e di altre fonti di reddito lecito,
gravato da ben sei precedenti per reati contro il patrimonio, da altrettanti per
violazione della disciplina sugli stupefacenti oltre che per due fatti di evasione
commessi nel 2001 e, quindi, correttamente ritenuto privo di capacità
autocustodiale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento
non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi,
né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato,
ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute
adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e
insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare,
nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è,

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cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il breve impossessamento,

perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che
il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1)
l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;
2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (Cass. Sez. 6, sent. n. 2146 del
25.05.1995, dep. 16.06.1995, Rv 201840; Sez. 2, sent. n. 56 del 07/12/2011,
dep. 04/01/2012, Rv. 251760).

sussistenza delle esigenze cautelari e quindi anche sotto tale profilo nessun vizio
è rilevabile nell’ordinanza impugnata.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di €
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del
ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa
sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi
ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo
94.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp.att. c.p.p.
Così deciso in Roma il giorno 9 febbraio 2016.

Nel caso in esame il Tribunale ha, come detto, adeguatamente motivato la

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