Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6144 del 11/07/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6144 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da AURICHELLA Antonino, nato a Catania il 18/06/1980,
avverso l’ordinanza emessa il 18/04/2013 dal Tribunale di Catania ex art. 310 c.p.p.;
esaminati gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore Generale dott.
Sante Spinaci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Salvatore Cannata, che si è riportato ai motivi
di impugnazione, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione
1. All’esito di giudizio abbreviato il G.I.P. del Tribunale di Catania, con sentenza
dell’8.4.2010, dichiarava Antonino Aurichella, detenuto in regime di custodia cautelare
carceraria (arresto in flagranza del 18.6.2009) colpevole dei delitti di concorso in
detenzione e trasporto illeciti per scopi commerciali di 30 chili di cocaina, quantità
ingente di stupefacente, e in detenzione e trasporto illegali di quattro pistole di vario
calibro, condannandolo -esclusa la continuazione criminosa tra i due reati- alle pene di
quattro anni e sei mesi di reclusione ed euro 20.000,00 di multa per lo stupefacente e di
due anni e quattro mesi di reclusione ed euro 200,00 di multa per le armi da sparo.
2. Accogliendo i ricorsi del Procuratore della Repubblica e del Procuratore
Generale di Catania in punto di violazione di legge per erronea determinazione della
pena concernente l’illecita detenzione della cocaina, computata dal g.i.p. senza tener
conto della contestata aggravante della quantità ingente di droga ex art. 80 co. 2 L.S.
(cocaina idonea a formare 72.860 dosi medie giornaliere di sostanza drogante), questa

Data Udienza: 11/07/2013

3. Giudicando in sede di rinvio (art. 624 c.p.p.), il G.I.P. del Tribunale di Catania
con sentenza resa il 2.3.2012 -sottolineata la già intervenuta definitività della decisione
quanto alla colpevolezza dell’Aurichella per i due reati ascrittigli, quanto alla pena base
individuata per il reato concernente la cocaina e quanto alla stessa sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 80 co. 2 L.S.- ha condannato l’imputato per detto reato alla
pena di sette anni e sei mesi di reclusione ed euro 33.334,00 di multa.
La sentenza è stata appellata dall’Aurichella.
4. In pendenza del giudizio di appello, il difensore dell’imputato ha chiesto alla
Corte di Appello di Catania la scarcerazione del prevenuto per decorrenza dei termini
massimi di custodia cautelare. Decorrenza asseritamente verificatasi a norma dell’art. 304
co. 6 c.p.p. (in relazione all’art. 303 -co. 1 e co. 2- c.p.p.), in misura del doppio del termine
di fase processuale, sia per la fase delle indagini preliminari (più di due anni
dall’ordinanza del g.i.p. disponente il giudizio abbreviato rispetto alla data della
decisione del g.i.p. in sede di rinvio dalla S.C.), sia per la fase del giudizio di appello
(decorsi oltre due anni dalla sentenza di condanna del g.i.p. senza che sia intervenuta
sentenza di condanna in grado di appello).
5. Con ordinanza del 9.3.2013 la Corte di Appello di Catania ha respinto l’istanza
di scarcerazione dell’imputato, ritenendo operante il principio della formazione
progressiva del giudicato. La decisione afferente al reato di illecita detenzione di
stupefacente (artt. 73, 80 co. 2 L.S.), benché non ancora eseguibile, ha acquistato autorità
di giudicato in punto di affermazione della responsabilità dell’Aurichella (passaggio in
giudicato in parte qua della sentenza del g.i.p. dell’8.4.2010). Di conseguenza i termini di
custodia cautelare cui avere riguardo, ai sensi dell’art. 303 -co. 1, lett. d), seconda partec.p.p. (condanna in primo grado impugnata dal solo p.m.), sono quelli stabiliti, quanto a
durata complessiva, dallo stesso art. 303 -co. 4, lett. b)- c.p.p. (termine pari, secondo la
Corte etnea, a quattro anni, non ancora decorso alla data della pronuncia).

S.C. (Cass. Sez. 6, 11.7.2011 n. 30441) ha annullato la sentenza impugnata limitatamente
alla misura della pena per il reato di cui agli artt. 73 e 80 co. 2 L.S., rinviando gli atti per
nuovo giudizio su tale punto al Tribunale di Catania.

6. Adito dall’impugnazione ex art. 310 c.p.p. del provvedimento reiettivo della
Corte etnea proposta dall’imputato e replicante la tesi dell’avvenuto superamento del
doppio dei termini di fase ex art. 304 co. 6 c.p.p., il Tribunale distrettuale di Catania con
l’ordinanza in data 10.4.2013 richiamata in epigrafe ha respinto il gravame.
I giudici dell’appello cautelare hanno rilevato che, diversamente dall’assunto
dell’imputato, la dichiarazione di inammissibilità dell’appello (quale quella intervenuta
per l’iniziale appello del p.m. avverso la sentenza del giudizio abbreviato dell’8.4.2010)
va equiparata ad una sentenza di condanna in grado di appello, come statuito dalla
giurisprudenza di legittimità proprio nell’esame delle posizioni di un coimputato dello
stesso Aurichella (Cass. Sez. 3, 15.3.2012 n. 14023, Carbone, rv. 252516). Per l’effetto la
vicenda processuale interessante l’imputato va ricondotta nell’ambito della fattispecie
della decisione c.d. doppia conforme, disciplinata -quanto ai termini complessivi della
custodia cautelare- dall’art. 303 -co. 4, lett. b)- c.p.p.
D’altro canto, come ancora chiarito dalla giurisprudenza di legittimità,
l’annullamento con rinvio di una sentenza di condanna disposto dalla S.C. ai fini della
sola entità della pena implica l’avvenuto passaggio in giudicato (c.d. giudicato i
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,ad

7. Avverso l’ordinanza del Tribunale di Catania ha proposto ricorso per cassazione
il difensore di Antonino Aurichella, rinnovando la prospettazione del decorso dei termini
massimi della custodia cautelare applicata al prevenuto in base al combinato disposto
degli artt. 303, co. 1 e 2, e 304 co. 6 c.p.p. e deducendo i vizi di violazione della legge
processuale e di difetto e illogicità della motivazione appresso riassunti.
7.1. Avendo la S.C. più volte precisato che la pendenza del giudizio di rinvio a
seguito di annullamento della stessa S.C. in relazione “all’accertamento” di una specifica
circostanza aggravante impedisce la formazione di un titolo esecutivo, che interviene
soltanto a seguito dell’irrevocabilità della decisione, lo stato di detenzione cui è
sottoposto il ricorrente deve essere qualificato in termini di custodia cautelare e non già
di esecuzione della pena. Ne discende che il principio del giudicato progressivo
richiamato dalla Corte di Appello e dal Tribunale di Catania non può incidere sulla
durata dei termini massimi di custodia cautelare stabiliti dall’art. 304 co. 6 c.p.p. Termini
che nel caso di Aurichella sono stati largamente superati sia per la fase delle indagini
preliminari (oltre diciotto mesi dall’ammissione dell’imputato al giudizio abbreviato fino,
dopo la regressione del procedimento indotta dall’annullamento della S.C., alla nuova
sentenza di primo grado del 2.3.2012), sia per la fase dell’appello (decorsi oltre due anni
dalla prima, annullata, decisione di condanna dell’8.4.2010 senza che sia intervenuta
sentenza di condanna in grado di appello).

7.2. L’ordinanza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla delineata questione di
illegittimità costituzionale dell’art. 303 -co. 1 lett. d)- c.p.p., per violazione degli artt. 3 e
13 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che in qualsiasi caso di regressione
del procedimento, a seguito di sentenza della Corte di Cassazione, siano applicabili i
termini di custodia cautelare previsti dall’art. 304 co. 6 c.p.p. in luogo dei termini previsti
dall’art. 303 co. 4. Come ha precisato, infatti, il giudice delle leggi (Corte Cost. sentenze
nn. 292/1998 e 299/2005), l’art. 304 co. 6 pone -come si desume dall’uso dell’avverbio
“comunque”- un limite estremo di durata della custodia cautelare (doppio del termine
previsto per la singola fase processuale) destinato ad operare oggettivamente e decorso il
quale il permanere dello stato custodiale diverrebbe sproporzionato e intollerabile dal
sistema processuale. Tale limite opera, quindi, anche nei casi di regressione del
procedimento previsti dall’art. 303 co. 2 c.p.p.
8. Il ricorso proposto nell’interesse di Antonino Aurichella è inammissibile per
genericità e palese infondatezza degli illustrati motivi di impugnazione. Motivi che si
traducono nella acritica replica di argomenti censori già diffusamente vagliati e disattesi
con corrette motivazioni giuridiche dalla Corte di Appello e dal Tribunale di Catania.
8.1. Segnalandosi che (come si desume dal certificato del casellario giudiziale) nelle
more dell’odierno ricorso è intervenuta la decisione della Corte di Appello di Catania
(sentenza 19.3.2013) che ha confermato la sentenza di condanna emessa il 2.3.2012 dal
g.i.p. in sede di rinvio, è agevole osservare che la decisione con cui i giudici del gravame
cautelare hanno disatteso la tesi dell’imputato è ineccepibile e conforme al consolidato
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progressivo) della decisione sul tema della ormai già accertata responsabilità
dell’imputato. Evenienza che razionalmente giustifica l’affievolirsi del principio del favor
libertatis in conformità alla ratio dell’ultimo inciso dell’art. 303 -co. 1, lett. d)- c.p.p.
(disciplina della c.d. doppia conforme a fini cautelari: alta probabilità di una definitiva
decisione di condanna a fronte di due conformi sentenze di condanna già pronunciate).

8.2. Non risponde al vero che l’ordinanza impugnata non abbia preso in esame la

questione di incostituzionalità dell’art. 303 -co. 2, lett. d)- c.p.p. sollevata dal difensore
dell’imputato. Il Tribunale l’ha valutata infondata e non rilevante alla luce della
disciplina della decisione doppia conforme e del giudicato progressivo posta a
fondamento dell’adottata decisione reiettiva dell’appello cautelare.
Esito valutativo corretto, almeno in termini di irrilevanza decisoria della delineata
questione. Questione che il ricorrente alimenta con una fuorviante lettura delle decisioni
della Corte Costituzionale e in particolare della sentenza n. 259/2005, che ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 303 co. 2 c.p.p. nella parte in cui non consente di
computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304 co. 6 c.p.p. i periodi
di custodia cautelare sofferti in fasi o gradi diversi dalla fase o grado in cui il
procedimento è regredito. Il pensiero della Corte Costituzionale è chiaro e, come precisa
la sentenza n. 259/2005, scaturisce dalla “natura servente che la Costituzione assegna alla
carcerazione preventiva” rispetto alle finalità del processo e alle esigenze di tutela della
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indirizzo ermeneutico di questa Corte regolatrice in tema di giudicato progressivo, atteso
che l’art. 624 c.p.p., disciplinante l’annullamento parziale di una decisione di merito
deliberato dalla S.C. (disposizione da cui è fatto appunto discendere il principio della
formazione dinamica del giudicato, realizzantesi con modalità e in tempi non simultanei)
è riferibile a qualsiasi statuizione decisoria dotata di autonomia giuridico-concettuale e,
quindi, non solo alle decisioni che definiscono un determinato capo di accusa, ma anche a
quelle che nell’ambito di una medesima contestazione o accusa individuano e definiscono
(in modo irrevocabile) profili o aspetti della regiudicanda non più suscettibili di essere
riesaminati o posti in discussione.
Con l’effetto che, quando -come nel caso di specie con la cassazione della prima
sentenza del g.i.p. catanese (8.4.2010)- l’annullamento della S.C. non riguardi l’affermata
responsabilità dell’imputato né interferisca su di essa, la relativa statuizione decisoria non
annullata acquista autorità di giudicato. Con l’ulteriore e ovvia conseguenza che in simili
casi processuali i termini di custodia cautelare dei quali tenere conto sono, ai sensi
dell’art. 303 -co. 1, lett. d) u.p.- c.p.p., quelli stabiliti per la durata massima delle misure
cautelari dal 4° comma del medesimo art. 303 c.p.p. e non invece quelli di fase rapportati
alla pena in concreto irrogata. Conclusione cui questo giudice di legittimità è già
pervenuto esaminando gli omologhi ricorsi per cassazione dei coimputati dell’odierno
ricorrente, Antonio Carbone e Federico Sepe (concorrenti nella detenzione dei 30 chili di
cocaina ex artt. 73 e 80 co. 2 L.S.) con decisione richiamata dalla stessa impugnata
ordinanza del Tribunale di Catania e condivisa dal presente collegio (Cass. Sez. 3,
15.3.2012 n. 14023, Carbone, rv. 252516).
Palese è l’errore di diritto in cui scivola il ricorrente, allorché sostiene essere ancora
sub iudice -in pendenza del giudizio di appello- la sussistenza o meno (“l’accertamento”)
della circostanza aggravante di cui all’art. 80 co. 2 L.S. Così non è, perché tale aggravante
è stata già inequivocamente ritenuta configurabile e sussistente nell’illecita condotta
dell’imputato dalla sentenza di annullamento con rinvio dell’11.7.2011 di questa S.C. (e,
per vero, dalla stessa “prima” sentenza 8.4.2010 del g.i.p. catanese, che ha unicamente
omesso di computarne il correlativo incremento sanzionatorio). Donde la definitività
della decisione in punto di “accertamento” (sussistenza) dell’aggravante della quantità
ingente dello stupefacente oggetto del reato ex art. 73 L.S. di cui è stato giudicato
colpevole l’Aurichella. L’annullamento con rinvio di questa S.C. è avvenuto con riguardo
al solo calcolo dell’aumento di pena dovuto alla sussistente aggravante de qua.

collettività, sì da giustificare, entro criteri di ragionevolezza imposti dall’art. 13 co. 5
Cost., un temporaneo sacrificio della libertà personale di “chi non è ancora stato giudicato
colpevole in via definitiva”. Nel caso di specie, per quanto prima esposto, la “regressione”
del procedimento in virtù dell’annullamento con rinvio di questa Corte non ha prodotto
alcuna espansione della custodia cautelare del’Aurichella in rapporto al titolo del reato
contestatogli e ritenuto dal primo giudice di merito (artt. 73, 80 co. 2 L.S.).

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94/1-ter disp. att. c.p.p.
Roma, 11 luglio 2013
Il consigliere sten(sore
Giacomo oloni

All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e dell’equa somma di euro 1.000 alla cassa delle ammende. La
cancelleria curerà gli incombenti informativi connessi allo stato detentivo del ricorrente.

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