Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 613 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 613 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANTARELLI GIADA N. IL 09/09/1990
avverso la sentenza n. 11/2012 TRIB.SEZ.DIST. di SALO’, del
09/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 14/11/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giuseppe Volpe, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Salò, Cantarelli Giada era condannata alla pena ritenuta di giustizia in relazione
al reato di somministrazione di bevande alcoliche a tre persone in stato di
manifesta ubriachezza, commesso quale addetta nell’esercizio pubblico “Bar
Femme”.
2. Propone atto di appello, trasmesso a questa Corte dalla Corte di appello di
Brescia con ordinanza del 25 febbraio 2013, il difensore dell’imputata, avv.
Giorgio Paris, deducendo cinque motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente contesta la sussistenza dell’elemento
oggettivo del reato, con riferimento allo stato di manifesta ubriachezza degli
avventori, poiché dalle testimonianze e dall’esame dell’imputata emerge che solo
uno dei tre uomini entrò nel locale, restando sulla soglia ed ordinando le
bevande, che furono servite ad un tavolo esterno.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente contesta la sussistenza dell’elemento
soggettivo del reato, da escludersi anche sotto il profilo della colpa, con
riferimento allo stato di manifesta ubriachezza degli avventori, che non poteva
essere percepito dall’imputata, poiché erano del tutto mancanti in capo agli
avventori i comportamenti sintomatici della manifesta ubriachezza.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce mancanza di prova del fatto
contestato, fondata esclusivamente sulla deposizione dell’app. Salzillo, giunto sul
luogo successivamente alla verificazione dei fatti; in tal modo non è stato
accertato se precedentemente era percepibile lo stato di alterazione degli
avventori.
2.4 Con il quarto motivo il ricorrente deduce mancata assunzione di prove ex art.
507 cod. proc. pen., con riferimento ai testi richiesti dalla difesa Predaroli e
Golfarelli, che avrebbero potuto chiarire il grado di effettiva percezione dello
stato di ebbrezza degli avventori da parte dell’imputata.
2.5 Con il quinto motivo il ricorrente formula istanza di applicazione dell’articolo
52, comma 2, lettera B del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 con

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1. Con sentenza del 9 marzo 2012 del Tribunale di Brescia, sezione distaccata di

applicazione della sanzione del lavoro di pubblica utilità da 20 giorni a sei mesi.
3. Con memoria del 30 ottobre 2013, a firma dell’avv. Manuel Soldi, vengono
proposti tre motivi nuovi.
3.1 Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, lettera B ed E, per
errata qualificazione giuridica del fatto e contraddittorietà e/o illogicità della

oggetto lo stato di manifesta ubriachezza degli avventori; sotto questo profilo si
censura la sentenza, perché fondata esclusivamente sulla deposizione
dell’ufficiale di P.G. intervenuto dopo la commissione del fatto. Il ricorrente
invoca la buona fede nelle contravvenzioni, che esclude anche la sussistenza
della colpa, in considerazione dell’orario (10 di mattina), del fatto che l’ordinativo
fu fatto solo da uno dei tre uomini e che non si manifestarono nel richiedente
quei comportamenti sintomatici della manifesta ubriachezza.
3.2 Con il secondo motivo il ricorrente ripropone il quarto motivo principale,
deducendo mancata assunzione di prove ex art. 507 cod. proc. pen., con
riferimento ai testi richiesti dalla difesa Predaroli e Golfarelli, che avrebbero
potuto chiarire il grado di effettiva percezione dello stato di ebbrezza degli
avventori ed avrebbero chiarito che fu la stessa imputata a chiamare i
Carabinieri, nel momento in cui comprese che i tre avventori erano ubriachi.
3.2 Con il terzo motivo il ricorrente rinnova la richiesta, formulata con il quinto
motivo principale, di applicazione dell’articolo 52, comma 2, lettera B del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 con applicazione della sanzione del lavoro di
pubblica utilità da 20 giorni a sei mesi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, originariamente proposto nelle forme dell’appello e sottoscritto da
difensore non iscritto all’albo speciale degli avvocati cassazionisti, è
inammissibile, a norma dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen.. Tale
inammissibilità, giusta l’art. 585, comma 4, c.p.p. si estende anche ai motivi
nuovi, presentati dal difensore cassazionista dopo la scadenza del termine per
impugnare.
2. Né lo stesso può ritenersi proposto personalmente dall’imputata, poiché non
reca la nomina del difensore, conferita personalmente dall’imputato, a margine

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motivazione, con riferimento all’elemento oggettivo del reato, che deve avere ad

oppure in calce all’atto, ma su pagina separata.
2.1 Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che, laddove il ricorso sia
formalmente sottoscritto da difensore non iscritto nell’albo speciale della Corte di
cassazione, ma rechi tuttavia a margine oppure in calce l’atto di nomina del
difensore, sottoscritto dall’imputato, i motivi di ricorso devono giuridicamente

47803 del 27/11/2008, D’Avino, Rv. 241355; Sez. 3, n. 28961 del 06/06/2012,
Mele, Rv. 253204).
Non ricorrendo tale ipotesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in
quanto proposto da difensore non abilitato.
3. In ogni caso il ricorso è inammissibile anche per altre ragioni, ricollegabili alla
originaria impostazione dell’impugnazione, come atto di appello.
3.1 I primi tre motivi, infatti, appaiono comportare valutazioni in fatto,
improponibili in questa sede, ove pretendono di escludere l’elemento soggettivo
ed oggettivo della contravvenzione contestata.
3.2 II quarto motivo è inammissibile, poiché la mancata assunzione di una prova
decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta
solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma
dell’art. 495, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere
validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla
parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di
integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato
ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013,
Muraca, Rv. 254974; Sez. 3, Sentenza n. 24259 del 27/05/2010, C., Rv. 247290
Sez. 6, n. 33105 del 08/07/2003, Pacor, Rv. 226534).
3.3 Infine il quinto motivo è inammissibile per carenza di interesse, poiché il
meccanismo che consente l’applicazione della sanzione del lavoro di pubblica
utilità è legato al presupposto per cui la scelta sanzionatoria operata dal giudice
sia circoscritta all’alternativa tra permanenza domiciliare e lavoro di pubblica
utilità, nel senso che, qualora l’imputato non presti il proprio “consenso” a
quest’ultimo, si vedrà definitivamente applicare la prima.
La procedura descritta non è invece attivabile qualora il giudice abbia deciso di
irrogare esclusivamente la pena pecuniaria, che rappresenta sanzione meno
grave, sicchè l’imputato non può più chiedere di sostituirla con il lavoro di

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ritenersi fatti propri dall’imputato, il quale se ne assume la paternità (Sez. U., n.

pubblica utilità, atteso che l’unica ipotesi in cui tale sorta di “conversione” è
ammessa è quella disciplinata dall’art. 55 del decreto per il caso in cui la stessa
pena pecuniaria rimanga ineseguita.
4. L’inammissibilità dei motivi principali, si ribadisce, si estende anche ai motivi
nuovi, presentati dal difensore cassazionista dopo la scadenza del termine per

4. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria
di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte
Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della
cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare
in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2013
Il consigliere estensore

Il Presidente

impugnare, ai sensi dell’art. 585, comma 4, c.p.p..

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