Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6125 del 21/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6125 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Arcese Eleuterio, nato ad Arce (Fr) il 2/7/1933
Stanga Gianni, nato a Riva del Garda (Tn) il 6/9/1965
Stanga Paolo, nato ad Arco (Tn) I 29/6/1973
Rabbi Giorgio, nato a Valeggio sul Mincio (Vr) il 18/2/1963

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Trento in data
7/11/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità
del ricorso
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Graziella Colaiacomo
in sostituzione degli Avv. Filippo Vicentini e Tiburzio De Zuani, che ha concluso
per l’accoglimento dei ricorsi

Data Udienza: 21/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7/11/2014, la Corte di appello di Trento, in parziale
riforma della pronuncia emessa l’11/12/2012 dal Tribunale di Rovereto, riduceva
la pena inflitta a Giorgio Rabbi, con sostituzione di quella detentiva e
determinazione complessiva in 35.000,00 euro di ammenda, confermando invece
appieno la pronuncia di condanna nei confronti di Eleuterio Arcese, Gianni
Stanga e Paolo Stanga; a questi soggetti, nelle rispettive qualità (Arcese come

consumazione di plurime violazioni dell’art. 44, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n.
380, nonché la violazione dell’art. 256, comma 1, lett. a), d. Igs. 3 aprile 2006,
n. 152, tutte realizzate nell’ambito di un cantiere sito in Tenno ed accertate il
27/9/2011.
2. Propongono ricorso per cassazione gli imputati, deducendo i seguenti
motivi:
Gianni e Paolo Stanga:
Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. La Corte di
appello avrebbe confermato la condanna degli Stanga quanto alla
realizzazione della pista di cantiere e della casetta in legno (capo c) pur
difettando ogni elemento a sostegno dell’accusa. La prima opera, infatti,
risulterebbe precaria e funzionale soltanto all’esecuzione delle altre
opere; la baracca, invece, sarebbe stata messa a disposizione dalla
“Arcese Immobiliare s.r.l.”, senza alcun intervento ad opera dei
ricorrenti;
Arcese:
Illogicità e contraddittorietà della motivazione. La Corte di merito
avrebbe condannato l’Arcese senza considerare che lo stesso è al vertice
di una società molto ampia, con oltre 2000 dipendenti, e senza che,
pertanto, possa essergli addebitato qualsivoglia evento; il crollo del
precedente manufatto, peraltro, sarebbe stato palesemente accidentale,
senza alcuna responsabilità in capo allo stesso. Da ultimo, la baracca di
cantiere costituirebbe intervento precario, facilmente rimovibile e non
destinato ad abitazione;
Rabbi:
Illogicità e contraddittorietà della motivazione. La sentenza avrebbe
ribadito la condanna dedicando poche righe al ricorrente, e senza
valutare che il dibattimento non avrebbe fornito alcun elemento in ordine
al presunto incarico, affidato al Rabbi, di eseguire lavori nel sito in
oggetto; altre, infatti, sarebbero state le opere regolarmente assentite.

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committente; gli Stanga e Rabbi quali esecutori materiali), era contestata la

Sul punto, quindi, la Corte di appello avrebbe operato un’inversione
dell’onere della prova.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono palesemente privi di fondamento.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della

restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella,
n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa
Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art.
606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i; ciò in quanto l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,
dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa
volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).
Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il
giudizio della Suprema Corte, le censure che i ricorrenti muovono al
provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate; ed
invero, dietro la parvenza di un difetto motivazionale, gli stessi di fatto invocano
una nuova ed alternativa lettura di tutte le risultanze istruttorie già esaminate in
sede di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito in questa sede.
4.

Gli stessi gravami, inoltre, obliterano che la sentenza in esame ha

confermato la pronuncia di primo grado in forza di un più che adeguato percorso
argomentativo, privo di ogni illogicità manifesta ed insuscettibile di censure da

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decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo,

parte di questa Corte. In particolare, con riguardo all’Arcese, la sentenza ha
sottolineato che questi – legale rappresentante della società proprietaria
dell’immobile e dell’area interessata dai lavori – doveva all’evidenza ritenersi
responsabile delle scelte gestionali dell’ente medesimo, specie considerando che
la difesa non aveva allegato – né, tantomeno, provato – «l’eventuale autonoma
gestione da parte di altri del settore concernente le ristrutturazioni di immobili
della società»; ancora, la Corte di appello ha evidenziato che la portata delle
opere abusive – ben rappresentata dalle fotografie in atti – impediva di ritenere

accordo con il committente. E senza che, pertanto, possa aver rilievo in questa
sede il riferimento al numero dei dipendenti che lavorano presso la “Arcese
Immobiliare s.r.l.”.
5. Negli stessi termini, ancora con riguardo all’Arcese, la sentenza ha poi
redatto un più che congruo argomento in ordine all’asserito crollo dell’originario
manufatto, e della sua inverosimiglianza. Ed invero – e sia pur richiamando la
deposizione in tal senso “possibilista” del tecnico comunale Malossini – la Corte di
merito ha evidenziato che l’eventuale crollo 1) non avrebbe comunque
comportato la totale distruzione dell’immobile, come dedotto, né giustificato
interventi volti ad occultare l’evento medesimo; 2) avrebbe imposto una pronta
comunicazione all’amministrazione comunale, al fine di ottenere il necessario
titolo abilitativo.
6. Del pari, poi, la sentenza poi contiene un’adeguata motivazione quanto
alla responsabilità degli Stanga e del Rabbi, legali rappresentanti delle due
società esecutrici dei lavori tutti, comprese le opere qui in contestazione;
responsabilità che, con congruo argomento, è stata riconosciuta per i primi quanto al capo c) – anche in ordine alla pista di cantiere ed alla casa
prefabbricata in legno (le altre opere di cui al capo medesimo non sono state
contestate in appello). In particolare, ed esclusa la riferibilità dell’esecuzione di
queste opere ad altri soggetti (invero giammai neppure menzionati), la Corte ne
ha evidenziato il carattere non precario, affermando che l’oggettiva destinazione
di entrambe evidenziava il soddisfacimento di bisogni non provvisori o di
esigenze transitorie, a prescindere dalla rimovibilità/non rimovibilità delle stesse
strutture. Ciò – quanto alla casetta – alla luce del piano di calcestruzzo sul quale
era stata realizzata, delle fosse settiche, della predisposizione degli impianti e,
addirittura, della antenna televisiva; ciò – quanto alla strada – alla luce della sua
larghezza e della sua struttura. Elementi, peraltro, del tutto disattesi nei presenti
ricorsi, a muover da quello degli Stanga, nei quali ci si limita a richiamare
documenti che attesterebbero la riferibilità della casetta alla sola “Arcese
Immobiliare”. Responsabilità, da ultimo, riconosciuta anche quanto al Rabbi, un

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che le stesse potessero esser state realizzate in assenza di un previo e totale

cui dipendente era stato trovato a bordo dell’escavatore nell’esecuzione dei
lavori; e senza che possa ravvisarsi, quindi, la dedotta inversione dell’onere della
prova.
Orbene, in tal modo la sentenza ha aderito al costante indirizzo di questa
Corte in forza del quale il carattere della precarietà non può essere desunto dalla
temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore,
ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso
realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel

risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al
suolo (tra le altre, Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, Manfredini, Rv. 261636; Sez.
3, n. 22054 del 25/2/2009, Frank, Rv. 243710; Sez. 3, n. 20189 del 21/3/2006,
Cavallini, Rv. 234325).
7. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle
spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore
della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2016

nsigliere estensore

tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non

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