Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6124 del 21/01/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 6124 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mario Capobianchi, nato a Roma il 4/2/1954

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Roma in data
11/7/2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’11/7/2012, la Corte di appello di Roma, giudicando in
sede di rinvio in esito alla pronuncia della Quarta Sezione di questa Corte in data
26/5/2006, riformava la decisione assunta dal Tribunale di Roma il 23/10/2002
e, per l’effetto, assolveva – ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. – Mario
Capobianchi dalle imputazioni ascrittegli (disastro colposo ed omicidio colposo
plurimo), perché il fatto non costituisce reato, e dichiarava non doversi
procedere nei confronti di Vincenzo Mudanò – in ordine ai medesimi delitti – per

Data Udienza: 21/01/2016

intervenuta morte dello stesso; ai due imputati – amministratori della “San Paolo
tipografia editoriale s.r.l.”, il primo dal 20/3/1997, l’altro fino a tale data – era
contestato di aver cooperato colposamente al crollo di un immobile in Roma, alla
via Vigna Jacobini n. 65, avvenuto il 16/12/1998 e causa del decesso di 27
persone.
2. Propone ricorso per cassazione il Capobianchi, a mezzo dei propri
difensori, al fine di ottenere l’annullamento senza rinvio della pronuncia perché il
fatto non sussiste, deducendo il seguente motivo:

manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza del nesso causale.
La Corte di appello avrebbe palesemente ecceduto i limiti del giudizio di rinvio,
provvedendo peraltro a confutare le argomentazioni di cui alle numerose
consulenze e perizie in atti – compresa quella sollecitata dal Collegio medesimo con affermazioni del tutto apodittiche e prive di qualsivoglia supporto scientifico.
Ed invero, premesso che – per emergenza pacifica – il crollo dell’edificio doveva
addebitarsi, in primo luogo, a gravissimo difetto strutturale, e che l’eventuale
concausa riferibile ai ricorrenti era da limitare al decremento del tasso di umidità
seguente ai lavori di ampliamento svolti nella tipografia, con conseguente “ritiro”
del calcestruzzo; ciò premesso, il Collegio di appello non si sarebbe affatto
adeguato al dictum della Quarta Sezione di questa Corte, che aveva ritenuto
necessario accertare quale fosse il tasso medesimo, all’interno dei locali, in
epoca antecedente agli interventi eseguiti (edilizi e, conseguentemente, di
ampliamento industriale, con aumento dei macchinari). In particolare, il Collegio
di merito, pur prendendo atto dell’impossibilità di verificare questo dato e
superando le conclusioni al riguardo espresse dai periti (che ne avevano
comunque sostenuto la trascurabilità), avrebbe apoditticamente affermato che i
lavori eseguiti avevano senza dubbio comportato un abbattimento dell’umidità, e
che ciò era desumibile con certezza dalla stretta interdipendenza tra numero di
macchine, relative emissioni di calore, innalzamento della temperatura e, per
l’appunto, riduzione dell’umidità; in tal modo, però, la Corte avrebbe sviluppato
un argomento autoreferenziale, dando per certa una presunta causa (la “stretta
interdipendenza” citata) che, per contro, avrebbe dovuto costituire l’oggetto di
un affidabile accertamento positivo, invero escluso dai periti. Di seguito, la
sentenza avrebbe affrontato numerose e complicate questioni tecniche (in punto
di effetti dell’umidità sul calcestruzzo; di qualità delle macerie; di incidenza dei
lavori per l’ascensore esterno; di “microclima” interno ai locali della tipografia),
pervenendo ancora a conclusioni palesemente apodittiche, prive di ogni
fondamento tecnico od istruttorio e, anzi, contrastate dalle chiare conclusioni dei
tecnici escussi. Sì da imporne l’annullamento.

2

– inosservanza dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.; mancanza o

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
La sentenza qui gravata interviene, in sede di rinvio, a seguito
dell’annullamento – ad opera della Quarta Sezione di questa Corte – della
precedente pronuncia resa dal Collegio di appello di Roma, censurata sotto un
duplice profilo, oggettivo (in ordine al nesso di causalità) e soggettivo (in ordine
alla dedotta violazione di regola cautelare), ritenuto invero determinante.

contraddizioni ed illogicità insite nella pronuncia di merito, laddove nell’affermare che gli imputati avevano violato una regola di diligenza
omettendo, prima di ampliare l’attività, di verificare le condizioni del fabbricato
(risultato poi gravato da decisivi difetti strutturali) – aveva indebitamente posto
a carico degli stessi un onere di controllo sulle strutture medesime, senza però
neppure accennare al ragionevole affidamento circa la buona posa in opera
dell’immobile tutto, che ben avrebbe potuto sorgere in capo ai medesimi soggetti
atteso che – in circa 40 anni – l’intero stabile non aveva mai evidenziato alcuna
crepa o fatto emergere qualsivoglia perplessità in ordine alla sua tenuta.
Con riguardo, poi, al nesso di causalità – e rilevato che erano stati eliminati,
in appello, molti dei profili di colpa ascritti, residuando soltanto il decremento
dell’umidità nei locali, con effetti sul “ritiro” del calcestruzzo – la Quarta Sezione
aveva evidenziato la illogicità manifesta della sentenza, la quale aveva sì
valorizzato il tasso riscontrato in esito ai lavori citati (46%), notevolmente
inferiore a quello presente in Roma alla stessa ora, ma non aveva accertato
quale fosse stata la percentuale di umidità nei medesimi locali in epoca
precedente ai lavori; quel che risultava invero decisivo, dato che il profilo di
colpa ascritto agli imputati originava proprio dagli interventi di ampliamento
effettuati sulla tipografia a partire dagli anni ’90, non riguardando periodi
precedenti, sì da rendere necessario il raffronto indicato. In particolare, come si
legge nella sentenza qui impugnata, «secondo la Suprema Corte non è dato
comprendere – tenuto conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la
sentenza “Franzese” – in base a quale argomento sia possibile affermare che
l’umidità pari al 46% determinata dall’incremento dell’attività della tipografia
avrebbe contribuito in modo rilevante all’indebolimento dei pilastri dell’edificio e
al progressivo sfaldamento strutturale del fabbricato, senza conoscere quale
fosse il tasso di umidità nel periodo precedente a detto incremento; si tratta
infatti di un elemento di raffronto essenziale per formulare quel giudizio
controfattuale teso a verificare la sussistenza del nesso di causalità in termini di
alto od elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica». Giudizio

3

Quanto al primo, il Giudice di legittimità aveva contestato le evidenti

davvero indispensabile, a parere della Corte Suprema, anche considerando che
l’istruttoria aveva pacificamente dimostrato che: 1) l’attività tipografica era stata
svolta per anni nel medesimo palazzo, sia pur con forme originariamente
“artigianali”, senza destare alcun problema in punto di staticità dell’edificio; 2)
anche successivamente ai lavori di ampliamento, non era emerso alcun segnale
di pericolo in tal senso; 3) l’intero stabile – a causa dei rilevantissimi, originari,
difetti strutturali, aggravatisi nel corso degli anni in modo del tutto silente sarebbe comunque crollato, indipendentemente dagli interventi nella tipografia;

non avesse presentato le dette anomalie costruttive.
4. Ciò premesso, ritiene questa Corte che la nuova sentenza d’appello – che
ha assolto il ricorrente

(ex art. 530, cpv. cod. proc. pen.) per difetto

dell’elemento soggettivo – sia sul punto del tutto illogica e fondata su
considerazioni palesemente apodittiche ed indimostrate, tali da imporne
l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio.
Innanzitutto, e con riguardo alla decisiva questione del tasso di umidità – si
ribadisce, già riconosciuto dalla prima sentenza di appello quale unica concausa
del crollo addebitabile agli imputati, attesa la sua incidenza sul degrado delle
strutture, con esclusione quindi delle altre condotte ascritte (presunta rimozione
dell’intonaco dai pilastri del seminterrato; presunte vibrazioni dei macchinari;
presunto sovraccarico dei solai; incidenza della temperatura nel piano
seminterrato) – la Corte di appello ha preso atto dell’impossibilità di eseguirne
l’accertamento quanto al periodo antecedente ai lavori, ma è comunque
pervenuta alla conclusione che il tasso medesimo era sicuramente diminuito, e
proprio a causa della opere di cui trattasi e dell’ampliamento dell’attività
tipografica. In particolare, il Collegio ha affermato che, «quanto all’accentuarsi
del fenomeno dell’abbattimento del tasso di umidità relativa all’interno del piano
seminterrato, si tratta di un dato che – pur nell’impossibilità di acquisire precisi
elementi di riscontro circa il tasso nel periodo iniziale dell’attività della tipografia
– è comunque desumibile con certezza dalla stretta interdipendenza tra numero
di macchine stampanti, relative emissioni di calore, innalzamento della
temperatura, abbattimento del tasso di umidità relativa».
Orbene, si tratta di un’affermazione meramente asserita e non dimostrata,
di una palese illazione, specie a fronte di una premessa – l’impossibilità tecnica
di verificare il dato, oggi – che risulta superabile soltanto a mezzo di differenti,
specifiche ed oggettive risultanze istruttorie, nel caso di specie neppure dedotte
nella sentenza.
5. Non solo.

4) lo stesso edificio, per contro, non sarebbe collassato, pur con tali opere, se

Come correttamente affermato nel ricorso, la Corte di appello “desume con
certezza” l’abbattimento del tasso di umidità dalla citata “stretta
interdipendenza” tra vari fattori, rappresentando quindi quest’ultima come dato
ormai acquisito e pacifico; quel che, però, non si ricava affatto dalla pronuncia
della Quarta Sezione, la cui motivazione si svolgeva in termini opposti. E cioè: in
primo luogo occorre verificare quale fosse questo tasso prima dell’esecuzione dei
lavori, quindi – ed in caso di apprezzabile differenza – accertarne la diretta
riferibilità all’attività della tipografia per come “rafforzata” nel corso degli anni,

un risultato acquisito al patrimonio dibattimentale, come invece la sentenza
presuppone.
6. Ma vi è di più.
La Corte di merito è pervenuta alla conclusione suddetta anche superando
gli argomenti spesi sul punto dal collegio di periti (nominati dallo stesso Giudice),
a giudizio dei quali la differenza del tasso di umidità tra il “prima” ed il “dopo” i
lavori nella tipografia doveva, comunque, ritenersi trascurabile; del pari, il
denunciato ritiro del calcestruzzo doveva giudicarsi ininfluente, «poiché libero e
non contrastato, non inducendo quindi quelle autotensioni di trazione e
conseguenti fessurazioni che si verificano invece negli elementi non liberi di
contrarsi». Tanto da concludere – gli stessi periti, come riportato nella sentenza «che le correnti regole della buona tecnica non richiedevano – in relazione a tale
trasformazione e con riguardo a edifici similari – una previa verifica specifica
della compatibilità della struttura edilizia con l’ampliamento dell’attività
produttiva».
Ciò premesso, osserva questa Corte che il diverso avviso espresso dal
Collegio di appello risulta sostenuto da considerazioni delle quali è taciuto ogni
fondamento o riscontro scientifico, facendosi cioè riferimento soltanto al
«peculiare microclima venutosi a creare nel piano seminterrato con la
progressiva trasformazione da artigianale ad industriale dell’attività tipografica»;
un’affermazione palesemente apodittica (e, peraltro, reiteratamente inserita
nella motivazione), come tale inidonea a confutare – con carattere motivato – le
difformi conclusioni raggiunte dai periti nominati.
7. Osserva il Collegio, di seguito, che risultano del pari meramente assertivi
anche gli ulteriori argomenti spesi dalla Corte per confermare l’esistenza del
nesso (con)causale tra i lavori nella tipografia ed il crollo dell’edificio. In
particolare, la sentenza ha richiamato 1) lo sfarinamento dei conglomerati
cementizi (riscontrato solo nelle maceria del seminterrato occupato dall’attività,
non nei piani più alti); 2) l’installazione di un nuovo impianto di areazione negli
stessi ambienti (nel corso della quale si era verificata, quanto ad una trave del

5

ed infine l’incidenza causale sul crollo. Quel che, pertanto, non costituisce affatto

soffitto, la totale inconsistenza della muratura); 3) l’installazione dell’ascensore
esterno all’immobile (ancorato alla struttura, evidentemente solida, a differenza
del piano seminterrato); 4) l’installazione dell’impianto dei compressori, che
aveva per certo aumentato la temperatura interna alla tipografia e, per l’effetto,
abbattuto il tasso di umidità relativa. Orbene, con riguardo ai primi tre profili, la
Corte dì appello non ha indicato alcun riferimento cronologico che possa legare il
presunto sfaldamento del (solo) piano seminterrato, non già del resto
dell’edificio, ad un’epoca successiva all’esecuzione dei lavori in oggetto: quel che,

l’imputazione ascritta al ricorrente (ed al defunto Mudanò) si fonda proprio, ed
esclusivamente, sui medesimi interventi sui locali, senza alcuna “proiezione” ad
un’epoca precedente gli stessi. Quanto, poi, all’installazione dei compressori, la
sentenza ha superato gli argomenti contrari contenuti nella perizia (in forza dei
quali tale intervento non avrebbe avuto alcuna incidenza sul tasso di umidità),
ma a tal fine ha utilizzato ancora un ragionamento del tutto apodittico e privo di
espresso fondamento scientifico: la Corte, infatti, ha affermato che «se si tiene
contro dell’accennata “fragilità” originaria delle strutture cementizie dello stabile
e della loro ontologica predisposizione a fenomeni da fessurazione e
microfratture da ritiro, è agevole convenire circa la sicura incidenza su detti
fenomeni di quella vera e propria “bomba” microclimatica costituita dal
macchinario dei compressori, atteso il livello torrido delle temperature da essi
sprigionate ed il conseguente brusco abbassamento del tasso di umidità negli
spazi del seminterrato circostante».
Argomenti, quindi, tali da riscontrare la manifesta illogicità della sentenza
impugnata, la quale ha risposto all’unico, decisivo quesito che aveva giustificato
l’annullamento della precedente pronuncia di appello (la verifica del tasso di
umidità nei locali della tipografia, antecedentemente ai lavori) con asserzioni
apodittiche, sprovviste di ogni riferimento scientifico od istruttorio e volte a
confutare soltanto in questi termini le difformi conclusioni riportate dai periti
sulle medesime questioni. Asserzioni, quindi, del tutto inidonee a riconoscere
quel nesso di causalità necessario per confermare la sentenza di condanna e, in
particolare, a fare buon governo dei principi di cui alla citata sentenza Franzese
(Sez. u, n. 30328 del 10/7/2002, Rv. 222138); in forza della quale – come noto
– nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed
evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità
statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità
logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come
avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi
causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non

6

per contro, riveste un carattere determinante, atteso che – come già indicato –

avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente
posteriore o con minore intensità lesiva.
Quel che la sentenza non ha dimostrato, proponendo una motivazione
viziata nei termini indicati.
Se ne impone, pertanto, l’annullamento con rinvio ad altra sezione della
Corte di appello di Roma.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata alla Corte di appello di Roma, altra
sezione.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2016

onsigliere estensore

P.Q.M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA