Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6122 del 21/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6122 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Capobianco Gaetano, nato in Venezuela il 9/11/1964

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Potenza in data
9/5/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9/5/2014, la Corte di appello di Potenza confermava la
pronuncia emessa il 22/5/2013 dal Tribunale di Lagonegro, con la quale Gaetano
Capobianco era stato riconosciuto colpevole delle contravvenzioni di cui agli artt.
81 cpv., 110 cod. pen., 44, lett. c), 93, 94 e 95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e
condannato alla pena di 15 giorni di arresto e 22 mila euro di ammenda; allo
stesso – nella qualità di committente – era contestato di aver eseguito opere, in

Data Udienza: 21/01/2016

zona sottoposta a vincolo, in totale difformità dal nulla osta ambientale n.
217/2003 e dal permesso di costruire n. 20/2005, nonché senza preventivo
avviso al sindaco ed all’Ufficio del genio civile, necessario attesa la natura
sismica della zona. Con accertamento al 22/4/2008.
2. Propone ricorso per cassazione il Capobianco, a mezzo del proprio
difensore, deducendo due motivi:
– violazione degli artt. 603, 605 cod. proc. pen. La Corte di appello avrebbe
rigettato l’impugnazione dell’ordinanza istruttoria del Tribunale a data

motivazione assente, apodittica ed erronea. In particolare, il Collegio non
avrebbe considerato che i testi indotti dalla difesa erano stati revocati soltanto
perché ripetutamente assenti, sia pur sempre citati, senza quindi alcuna
considerazione in ordine alla loro rilevanza; rilevanza, che, peraltro, sarebbe
palese, atteso che questi soggetti avrebbero interessato la posizione del
Capobianco (a differenza di tutti quelli escussi fino a quel momento, coinvolgenti
altri imputati), dimostrando che questi, già nel 2006, aveva incaricato due tecnici
di verificare lo stato dei lavori e la corrispondenza degli stessi ad atti processuali
e normativa tutta vigente. Una prova, quindi, decisiva;
– violazione degli artt. 192, 125 cod. proc. pen., 27 Cost.; difetto
motivazionale. La Corte di appello avrebbe affermato la responsabilità del
ricorrente in forza di presunzioni illogiche ed all’esito di un’istruttoria che non
avrebbe consentito di appurare alcun concorso del Capobianco negli abusi; in
ordine ai quali, peraltro, lo stesso non aveva alcun interesse, come evidenziato
nel primo gravame con considerazioni neppure valutate dal Giudice.
Questi motivi sono stati poi ribaditi con memoria difensiva depositata il
13/1/2016.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Osserva preliminarmente il Collegio che, per consolidato indirizzo di
legittimità, nel giudizio di appello la rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 cod.
proc. pen. costituisce un istituto eccezionale, fondato sulla presunzione che
l’indagine probatoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di
primo grado, sicché il potere del Giudice di disporre la rinnovazione stessa è
subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta
presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (per tutte,
Sez. U, n. 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni, Rv. 203974). Orbene, atteso che
l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del Giudice di

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13/2/2013, nonché la richiesta di rinnovazione ex art. 603 cod. proc. pen., con

appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente
motivato (Sez. 6, n. 32336 del 18/6/2003, Apruzzese, Rv. 226309; Sez. 4, n.
4981 del 5/12/2013, Ligresti, Rv. 229666), deve sottolinearsi che l’argomento
speso al riguardo dal Collegio di Potenza risulta invero sintetico, ma essenziale;
in particolare, la Corte ha affermato che «la rinnovazione parziale del
dibattimento in appello è disciplinata rigidamente dall’art. 603 cod. proc. pen, del
quale non ritiene sussistere i presupposti». Orbene, in tal modo il Collegio ha
riconosciuto l’esaustività dell’istruttoria compiuta in primo grado e, al contempo,

che aveva revocato il precedente provvedimento ammissivo dei testi con
motivazione del tutto adeguata, logica e non censurabile; in particolare,
all’udienza del 13/2/2013, il Giudice – premesso che, contrariamente a quanto
assunto in questa sede, i testimoni della difesa non erano stati citati per tutte le
precedenti udienze – aveva rilevato che gli ultimi due testi indotti dal Capobianco
erano stati chiamati a deporre «su capitoli da un lato estremamente generici,
dall’altro completamente ultronei rispetto all’accertamento dei fatti per cui è
causa, perché relativi ad ipotetici e non meglio specificati rilievi dello stato dei
lavori»
Non solo.
Lo stesso Tribunale di Lagonegro aveva ulteriormente motivato sul punto nel
corpo della sentenza, ancora con riguardo al medesimo capitolo di prova,
specificando che l’oggetto di questo – l’accertamento dello stato dei luoghi e di
quanto realizzato – «non è assolutamente in discussione: lo stesso Capobianco
non obietta al fatto che le difformità realizzate esistono veramente (anche se
sostiene di non esse responsabile per le stesse) e quindi anche da tale punto di
vista va ribadita l’ultroneità della prova in questione».
Una motivazione – si ribadisce – non manifestamente illogica e, pertanto,
non censurabile da questa Corte.
Il primo motivo, pertanto, risulta palesemente infondato.
4. Con riguardo, poi, al secondo, in punto di responsabilità, osserva il
Collegio che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene
alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il
profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110
del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il
costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione,
censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto
quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i; ciò in

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ha implicitamente confermato l’ordinanza emessa al riguardo dal primo Giudice,

quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione
limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv.
226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono

hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).
Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il
giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al
provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate; ed
invero, dietro la parvenza di una violazione di legge e di un difetto
motivazionale, lo stesso di fatto invoca una nuova ed alternativa lettura delle
risultanze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una
valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
Il ricorso, inoltre, oblitera del tutto la motivazione stesa sul punto dalla
Corte di merito, la quale – rispondendo alla medesima doglianza – ha
evidenziato che la responsabilità degli abusi doveva esser per certo riferita al
proprietario committente (il Capobianco), unico interessato, «che, per altro, li ha
realizzati con un semplice operaio, diverso e non collegato alla ditta esecutrice
dei lavori». Ancora, la sentenza ha sottolineato che il direttore di questi ultimi,
Maurizio Greco, si era dimesso «proprio in occasione delle prime manifestazioni
di difformità» rispetto ai titoli urbanistici in possesso del ricorrente; in tal modo,
quindi, la Corte di appello si è legata in un continuum motivazionale alla prima
pronuncia (ammissibile, alla luce della cd. doppia conforme), che aveva anche
sottolineato che lo stesso Greco, prima di esonerarsi dall’incarico, «aveva
effettuato un “ordine di servizio” per ridurre le maggiori ed abusive altezze
effettuate».
Orbene, a fronte di questa motivazione – adeguata, priva di illogicità
manifeste e non contraddittoria – il ricorso si muove su linee meramente fattuali,
richiamando argomenti che non possono trovare ingresso in sede di legittimità
(l’indicazione dell’impresa che avrebbe effettuato i lavori; i rapporti tra

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insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo

Capobianco e Greco; l’asserita assenza di interesse alla realizzazione degli abusi,
peraltro senza indicazione di eventuali altri interessati) e che, pertanto,
impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché

equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2016

onsigliere estensore

ente

quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,

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