Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6088 del 15/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6088 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TRANE QUINTINO N. IL 24/09/1958
avverso la sentenza n. 6848/2012 GIP TRIBUNALE di BRINDISI, del
24/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO
BARBARISI;

Data Udienza: 15/10/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Settima Sezione penale

Osserva
1. — Con sentenza emessa in data 24 gennaio 2013, il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Brindisi applicava a Trane Quintino, ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., la pena di giustizia per il reato di cui all’art. 75 comma secondo D.
L.vo 159/11.
2. — Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato per man-

cata applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. e omessa motivazione sul punto.
3. — Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
3.1. — Va innanzitutto premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle
parti è un meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato e il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da
parte sua il giudice ha il potere dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato

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che non emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art.
129 cod. proc. pen. Ne consegue che — una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 cod. proc. pen., — l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie perché essi sono coperti dal
pattegg ia mento.
3.2 — Tanto precisato, il Collegio osserva che i motivi di ricorso si profilano privi
di specificità e comunque manifestamente infondati, atteso che il giudice,
nell’applicare la pena concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto
nell’accordo tra le parti, e, dall’altro, ha escluso che ricorressero i presupposti di cui
all’art. 129 cod. proc. pen. Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura
dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare
pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la
costante giurisprudenza di legittimità (si vedano tra le altre, Cass. SS.UU. 27 marzo
1992, Di Benedetto; SS.UU. 27 settembre 1995, Serafino; SS.UU. 25 novembre
1998, Messina).

3.3 — Va peraltro ribadito essere peraltro giurisprudenza consolidata quella secondo cui la sentenza oggetto della procedura di cui all’art. 444 cod. proc. pen. può
essere sottoposta a controllo di legittimità sotto il profilo della motivazione soltanto

Udienza in camera di consiglio: 15 ottobre 2013 — Trane Quintino — RG: 10963/13, RU: 180;

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Settima Sezione penale

se dal testo della sentenza stessa risulti evidente la sussistenza di una delle condizioni di cui all’art. 129 cod. proc. pen. (ex multis, Cass., Sez. 1, 17 giugno 1991, n.
2742, Scupola, rv 188377) non essendo le parti legittimate (avendo dato vita a un
negozio giuridico di naturale processuale non più modificabile unilateralmente rinunciando di conseguenze alla proprie eccezioni e difese) a rimettere in discussione, in sede di legittimità, fatti dati per presupposti che si ritengano ex post in contrasto con l’accordo raggiunto (tra gli altri, Cass., Sez. 1 14 marzo 1995, n. 1549,

pena, in altri termini, rinuncia a dedurre nella fase di cognizione ogni altra questione di merito ivi comprese quelle relative al trattamento sanzionatorio e
all’applicazione di qualsivoglia attenuante o diminuente non ricompresa nell’accordo
medesimo (Cass., Sez. 6, 21 marzo 1991, n. 9830, Castaldo, rv 188404); peraltro
è appena il caso di rammentare che esso accordo interviene tra le parti non sulla
pena base iniziale e sulle successive operazioni di calcolo bensì sulla pena finale
sicché gli eventuali errori di calcolo divengono irrilevanti salvo che la pena medesima non si traduca in una pena illegale.
4. — Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
(Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in C 1.500,00
(millecinquecento), ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

per questi motivi
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 1.500,00 (millecinquecento) in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 15 ottobre 2013

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Sinisi, rv 201160); la parte, con il prestare il proprio consenso all’applicazione della

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