Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 608 del 04/12/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 608 Anno 2018
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

SEMPLIFICATA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GUERCIA CALOGERO nato a Carini il 21.9.1972,
avverso la sentenza n. 4100/2016 della Corte d’Appello di Palermo del 22.9.2016
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nella pubblica udienza del 4.12.2017 la relazione fatta dal Consigliere
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Marilia Di Nardo, che ha
concluso chiedendo di dichiarare il ricorso inammissibile

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22.9.2016 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la
sentenza emessa dal Tribunale della stessa città in data 26.1.2015, con cui Guercia
Calogero, in atti generalizzato, è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i
reati di rapina, danneggiamento aggravato e minaccia aggravata.
Secondo i giudici di merito, l’imputato, con minaccia e violenza, consistita nello
strattonare Graziano Michela per costringerla ad uscire dalla vettura, condotta da
Scramuzza Giuseppe, aveva costretto ad arrestare la marcia del veicolo e si era

Data Udienza: 04/12/2017

impossessato del telefono cellulare della donna; aveva strisciato con la propria
autovettura il veicolo dello Scramuzza, cagionandogli danni alla carrozzeria, che
aveva colpito anche con pugni; aveva minacciato lo Scramuzza di ammazzarlo e
bruciargli il villino di Torretta.
Avverso la sentenza d’appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p. e dell’art.
606 lett. e) c.p.p., per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente il reato di

profitto ma solo a convincere la Graziano a scendere dalla vettura e tornare con lui.
Errate sarebbero
anche: la mancata derubricazione del reato di rapina in quello di tentata
violenza privata; la condanna per i residui reati, non essendovi stato contatto tra i due
veicoli e non avendo egli pronunciato le frasi di cui in imputazione; la mancata
concessione dell’attenuante della provocazione e l’irrogazione di una pena più mite.
All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito;
all’esito la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in
camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante
lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti e privi
del requisito della specificità.
Le doglianze formulate dal ricorrente, infatti, reiterative dei motivi di appello, si
connotano per la prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti emergenti
dall’istruttoria dibattimentale e per il mancato confronto con la motivazione della
sentenza impugnata.
Il che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibile il
ricorso per cassazione, in quanto fondato su argomentazioni che si pongono in
confronto diretto con il materiale probatorio e non, invece, sulla denuncia di uno dei
vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), riguardanti la
motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (v. ex plurimis
Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Rv. 258153). Ed invero, per espressa volontà
del legislatore, anche a seguito della novella operata dalla L. n. 46 del 2006, il
sindacato demandato alla Corte di cassazione è limitato a riscontrare l’esistenza di un

rapina, benché la sottrazione del telefono non fosse finalizzata ad uno scopo di

logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, esulando dai
poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice
di merito, senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis Sez. 2, n. 23419 del
23/05/2007, Rv. 236893).
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto che

“la ricostruzione

stati puntualmente accertati in forza delle univoche e chiare dichiarazioni rese sia
da Graziano Michela che da Scramuzza Giuseppe”, “le cui attendibilità e credibilità
sono ulteriormente avvalorate dalla circostanza che né la Graziano né lo Scramuzza
si sono costituiti parte civile in giudizio”.
La medesima Corte ha poi illustrato le ragioni della ritenuta sussistenza dei
delitti ascritti all’imputato nonché dell’esclusione dell’attenuante della provocazione
e della conferma della sentenza di primo grado anche in ordine al trattamento
sanzionatorio (cfr. f. 3 della sentenza impugnata).
Siffatto percorso argomentativo, in quanto esente da violazioni di legge o vizi di
motivazione, sfugge al vaglio di legittimità.
2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art.
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché —
apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di
inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della
rilevante entità di detta colpa – della somma di euro duemila in favore della Cassa
delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
Sentenza con motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, udienza pubblica del 4 dicembre 2017
Il Presidente

Il Consigliere estensore
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli

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