Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6044 del 15/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6044 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LUCIA PASQUALE FULVIO N. IL 05/09/1959
avverso la sentenza n. 6231/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
24/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;

Data Udienza: 15/10/2013

1. Con sentenza del 24 ottobre 2012 la Corte di appello di Roma
confermava quella resa il precedente 24 gennaio dal GIP della
stessa sede e, con essa, la condanna di Lucia Pasquale Fulvio alla
pena di anni due e mesi due di reclusione ed euro 440.000 di multa
perché riconosciuto colpevole del reato di detenzione e porto di una
pistola revolver con relativo munizionamento (capo A) art. 2,4 e 7
1. 685/1967) e del reato di detenzione di arma clandestina portata in
luogo pubblico (capo B) art. 23 commi 3 e 4 L. 110/1975).
2. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’imputato,
assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa
quattro motivi di impugnazione.
2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di
legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta recidiva ex
art. 99 c.p. co. 4 perché non argomentata l’applicazione, perché in
precedenza mai contestata la recidiva; perché contraddittorio
ritenere la recidiva reiterata e nel contempo riconoscere in favore
dell’imputato le attenuanti generiche.
2.2 Col secondo motivo di impugnazione lamenta la difesa
ricorrente illogicità della motivazione in riferimento ai rilievi
difensivi relativi alla funzionalità dell’arma ed alla sua
clandestinità, in particolare deducendo: nessun accertamento
tecnico ha provato la funzionalità dell’arma in sequestro; gli stessi
operatori di polizia rilevarono al momento del sequestro che la
matricola era “apparentemente” abrasa; la prova sia della
funzionalità dell’arma che della sua clandestinità è stata dedotta, dal
giudice territoriale, dalle dichiarazioni dell’imputato.
2.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente
violazione dell’art. 5 L. 895/1967 sul rilievo che la clandestinità
dell’arma non è incompatibile con l’attenuante di cui alla citata
norma di riferimento.
2.4 Col quarto motivo di ricorso, infine, denuncia la difesa
ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione
al trattamento sanzionatorio.
3. La doglianza è stata assegnata alla VII sezione di questa Corte
con gli adempimenti processuali di rito.
4. Il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte osserva in fatto ed in diritto:

4.1 Quanto al primo motivo rammenta il Collegio che la recidiva
reiterata può essere riconosciuta in sede di cognizione anche
quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la
recidiva semplice (Cass., Sez. II, 07/05/2010, n. 18701) e che il
giudice territoriale ha motivato il suo riconoscimento perché
espressione, le condanne inflitte, di una maggiore propensione a
delinquere.
Non è infine ravvisabile il vizio di contraddittorietà di motivazione
nel caso di contestuale riconoscimento della recidiva e delle
attenuati generiche trattandosi di due ben distinte valutazioni non
necessariamente collegate ad identici presupposti (Cass., Sez. II,
04/11/2009, n. 106).
4.2 Quanto al secondo motivo di doglianza rileva la Corte che
vertesi in ipotesi di valutazione alternative delle acquisizioni
probatorie del processo, dappoichè del tutto logico dedurre la prova
della funzionalità dell’arma, al pari della sua clandestinità, dalla
evidenza della valutazione visiva e dalle dichiarazioni
dell’imputato,
4.3 E’ stata correttamente rilevata la incompatibilità della
clandestinità dell’arma con l’applicazione della diminuente di cui
all’art. 5 L. 895/1967 (Cass., Sez. II, 26/09/2002, n. 35703,
Pagano).
4.4 In tema di determinazione della misura della pena, infine (e
siamo all’ultimo motivo di censura) il giudice del merito, con la
enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o
più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione,
infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica
esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Cass.,
Sez. Il, 19/03/2008, n. 12749).

5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile ed alla declaratoria
di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle
spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in
favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo
determinare in euro 1000,00.
P. Q. M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00
in favore della Cassa delle ammende.
DEPOSITATA
Roma, addì 15 ottobre 2013
IN CANCELLERIA

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