Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 601 del 21/11/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 601 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
CAPUTO GIUSEPPE nato il 06/03/1957 a VIETRI SUL MARE
BRUNO LUIGI nato il 06/02/1969 a SANT’ANASTASIA

avverso l’ordinanza del 21/04/2017 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere EMILIA ANNA GIORDANO;
udite le conclusioni del PG PAOLO CANEVELLI che conclude per l’inammissibilita’
del ricorso di CAPUTO GIUSEPPE e il rigetto del ricorso di BRUNO LUIGI;
uditi i difensori, avvocato BOFFA ANTONIO del foro di SALERNO difensore di
CAPUTO GIUSEPPE e avvocato VANNETIELLO DARIO del foro di NAPOLI
difensore di BRUNO LUIGI che, dopo ampia discussione, insistono
nell’accoglimento dei rispettivi motivi di ricorso.

Data Udienza: 21/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Luigi Bruno e Giuseppe Caputo impugnano l’ordinanza con la quale il
Tribunale di Napoli ha respinto la richiesta di riesame avverso l’ordinanza con la
quale è stata loro applicata la misura della custodia cautelare in carcere per i
reati di cui all’ artt. 74, aggravato dal numero dei partecipanti e dalla operatività
del gruppo a livello transnazionale, e art. 73 d.P.R. 309/1990, per concorso
nell’importazione di circa trenta chilogrammi di cocaina sequestrata nel porto di

indizi del reato associativo sulla scorta delle risultanze delle operazioni di
intercettazione telefonica avviate dopo il sequestro della droga, occultata in un
container trasportato da una nave cargo transitata nel Porto di Salerno.
L’organizzazione, secondo l’ordinanza genetica, coinvolge due gruppi, in costante
contatto tra loro, e, cioè, da un lato Giovanni Esposito, Vincenzo Melisse,
Edoardo Garofalo, Giovanni Piedepalumbo, Giuseppe Caputo e dall’altro
Giuseppe Esposito, Mario Sanges, Luigi Bruno e Pasquale Liguoro. La esistenza
dell’organizzazione è stata disvelata, attraverso le intercettazioni telefoniche,
dalle vicende relative ai tentativi di recupero del carico, nonché dall’omicidio di
Nicola Annunziata, avvenuto il 29 aprile 2015, fatto per il quale Luigi Bruno
veniva tratto in arresto il 17 luglio 2015. Tali eventi e, in particolare il viaggio del
container nel quale era occultata la droga trasportato a bordo di un cargo
attraccato nel Porto di Salerno dove la motonave rimaneva dall’8 al 17 gennaio
2015,

costituiscono — secondo i giudici della cautela-

la “spia” della

preesistenza dei vincoli associativi non essendo ragionevole, sul piano logico,
ritenere che i contatti tra i coindagati siano stati estemporanei, in presenza di un
carico di tale ingente valore, e per il riferimento, nel corso di una intercettazione
intercorsa tra il Garofalo ed Esposito Giovanni il 20 maggio 2015, alla necessità
di provvedere ai compagni detenuti. Secondo tale ricostruzione il Garofalo e
Piedepalumbo fungevano da intermediari con Giuseppe Esposito mentre
Vincenzo Melisse e Giovanni Esposito avevano

ricevuto una somma,

verosimilmente quale anticipo del compenso per la partecipazione al recupero
del carico.

2. Con motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc.
pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, Luigi Bruno
denuncia:
2.1 violazione di legge, in relazione agli artt. 271 e 267 cod. proc. pen. e
vizio di motivazione in relazione alla utilizzabilità delle intercettazioni ambientali
oggetto del decreto 3072/2016;
1

Istanbul il 29 aprile 2015. I giudici del Riesame hanno ritenuto sussistenti i gravi

2.2 violazione di legge processuale, artt. 273 e 192 cod. proc. pen., e
sostanziale (art. 73 e 74 d.P.R. 309/1990) nonché mancanza di motivazione, in
ordine alle questioni devolute al riesame e che concernevano la brevità del
periodo nel quale il Bruno compare sulla scena investigativa, con impossibilità di
individuare il requisito di stabilità dell’apporto all’associazione anche rispetto alla
posizione di coindagati (Ferracci, Pilar e Gioacchino Esposito) per i quali non
sono stati ritenuti acquisiti i gravi indizi di colpevolezza. In particolare, il
ricorrente assume che dall’ordinanza impugnata non si comprende sulla scorta di

sono state travisate le dichiarazioni rese da Giuseppe Esposito e omessa la
valutazione dell’interrogatorio, nella sua versione integrale, messo a
disposizione del Tribunale e oggi della Corte di legittimità, poiché l’Esposito
descrive un’associazione finalizzata alle truffe nazionali ed internazionali. Sono,
inoltre, inidonei a fungere da riscontri quelli indicati nell’ordinanza e, in
particolare,: a) quelli derivanti dalla intercettazione dei colloqui del Bruno con i
congiunti, in quanto si riferiscono unicamente al procedimento che vede il
ricorrente imputato di omicidio ovvero a preoccupazioni riconducibili a questioni
di salute; b) le dichiarazioni rese da Francesco Annunziata e d Eufemia Iervolino,
i congiunti del defunto Nicola Annunziata, perché inconferenti rispetto al tema di
prova poiché è provato che il rapporto di debito sussisteva solo tra il Ferracci ed
Gioacchino Esposito e non coinvolgeva il ricorrente; c) le indicazioni rivenienti dal
foglietto in sequestro, rinvenuto a casa di Nicola Annunziata, perché
nell’abitazione orbitavano vari soggetti collegati al narcotraffico, e non
riconducibile al Bruno; d) la partecipazione del Bruno all’omicidio dell’Annunziata,
perché questione ancora sub iudice, e per ragioni riconducibili unicamente a
Gioacchino Esposito che non è stato attinto dall’ordinanza cautelare per l’odierno
reato associativo; e) le intercettazioni telefoniche ascritte al ricorrente perché
limitate (in numero di tre) e prive di univocità; f) il contenuto delle conversazioni
intercorse fra i coindagati nelle quali fanno riferimento al “direttore” perché
erroneamente individuato nel Bruno. Rileva, inoltre, la contraddittorietà
dell’ordinanza impugnata con quella genetica che non indica il Bruno tra coloro
che intrattengono rapporti con Giuseppe Esposito; la mancata valutazione delle
dichiarazioni rese dal Bruno il 7 aprile 2017 nel corso del quale egli spiegava i
rapporti intercorsi con Giuseppe Esposito e il contenuto dei contatti con questi; la
inconsistenza delle ulteriori conversazioni intercettate hanno contenuto lecito e si
riferiscono alle attività commerciali svolte da ciascuno dei partecipi, con riguardo
alle intercettazioni realizzate pochi giorni prima dell’arresto del Bruno e nelle
quali si fa riferimento ad un’operazione, lecita, di importazione di banda
stagnata;
2

quali elementi il Bruno sia stato individuato come vertice dell’associazione; che

2.3 mancanza di motivazione sulla sussistenza dell’aggravante della transnazionalità e sul numero delle persone degli affiliati. Per la prima occorre
ravvisare la sussistenza di due organizzazioni, una operante in Italia e l’altra
all’estero; che una parte sostanziale della preparazione del reato avvenga in uno
Stato diverso da quello italiano; che un gruppo criminale sia impegnato in più
Stati con produzione degli effetti sostanziali del reato in altro Stato elementi di
valutazione che non emergono dal mero sequestro del carico di stupefacente;
2.4 violazione di legge, in relazione all’art. 275, comma 3 cod. proc. pen. e

tratte, rispetto a contestazione chiusa e risalente all’aprile 2015, dal ruolo
rivestito nel contesto associativo; dal coinvolgimento nel processo per omicidio di
Nicola Annunziata, dai contatti con un cittadino siriano, dovuti a ragioni
commerciali e all’allontanamento di Giuseppe Esposito, elementi questi che non
fanno riferimento alla persona del ricorrente

2.5 Anche il difensore del Caputo denuncia vizio di violazione di legge e vizio
di motivazione contestando il giudizio di gravità degli indizi espresso dal
Tribunale che, sulla scorta delle intercettazioni di cui al decreto 253/2015 RIR già
ritenute inutilizzabili (pag. 3 dell’ordinanza) ovvero di una interpretazione
forzata delle intercettazioni in atti, con riguardo all’aiuto prestato a Giovanni
Esposito, attribuisce al Caputo il ruolo di partecipe dell’associazione ed il suo
ingerimento nella commissione del reato-fine avendo offerto all’Esposito il suo
aiuto per recuperare la droga già sequestrato nel porto di Istanbul il 29 aprile
2015. La partecipazione — peraltro indimostrata- ad un unico episodio illecito; la
esistenza di rapporti, neutri, con alcuni dei coindagati e la estraneità del
ricorrente a contesti decisionali ed operativi, escludono che possa ravvisarsi, con
la necessaria gravità indiziaria, la piena consapevolezza di far parte
dell’associazione e il consapevole contributo, con un specifico e incidente ruolo,
alla commissione del reato ascrittogli al capo 2).
Ulteriore violazione di legge, in relazione all’art. 274, lett. c) cod. proc. pen.,
inficia la ritenuta sussistenza di esigenze concrete e attuali connesse al pericolo
di prevenzione di reati dello stesso genere in carenza di elementi atti a
comprovare la persistenza di contatti con i coindagati, a fronte di quelli accertati
risalenti al più tardi fino a settembre 2015, e in mancanza di specifici precedenti.
Il Tribunale, richiamata la presunzione di cui all’art. 275, comma 3 cod. proc.
pen. sull’assunto che la difesa non avesse dimostrato la rescissione dei legami
associativi e una scelta lavorativa che lo collocasse fuori dal contesto illecito, ma
ha omesso di valutare, ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari, il profilo
della temporalità circoscritta e l’epoca risalente delle condotte contestate.
3

vizio di motivazione per la ricorrenza di concrete e attuali esigenze cautelari,

Analoghi vizi inficiano la ritenuta inadeguatezza di misure diverse dalla custodia
cautelare in carcere a realizzare le finalità di prevenzione, fatte discendere dal
titolo di reato contestato ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ed
omettendo di valutare, ai fini dell’adeguatezza e della proporzionalità della
misura, la risalenza nel tempo delle condotte contestate e la mancanza di
precedenti specifici.

CONSIDERATO IN DIRITTO

vizi di violazione di legge e coevo vizio di motivazione che inficiano la ritenuta
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato associativo con la
conseguenza che l’ordinanza cautelare va annullata con rinvio al Tribunale di
Napoli per nuovo esame sul punto. Sono inammissibili gli ulteriori motivi di
ricorso che investono i gravi indizi di colpevolezza del reato di concorso nella
importazione in Italia dei circa trenta chilogrammi di cocaina, sequestrati nel
Porto di Istanbul il 29 aprile 2009.

2. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso del Bruno. Il
ricorrente deduce che il Pubblico Ministero, in relazione alle modalità di
esecuzione del decreto con il quale veniva disposta la intercettazione dei colloqui
del Bruno, presso la Casa Circondariale di Bellizzi Irpino, aveva rilasciato due
distinte deleghe e, cioè, una alla Guardia di Finanza, per l’esecuzione e l’altra alla
Polizia Penitenziaria per le operazioni tecniche. Contrariamente a tali indicazioni,
si osserva, le operazioni di intercettazione erano state svolte dalla Polizia
Penitenziaria essendosi limitata la Guardia di Finanza al ritiro dei supporti, come
evincibile dalla documentazione prodotta. Secondo il ricorrente è erronea la
decisione del Tribunale del Riesame che ha ricondotto la denunciata violazione
ad un mero difetto di verbalizzazione (violazione dell’art. 89 disp. att. cod. proc.
pen.) essendo stato, viceversa, violato il disposto di cui all’art. 267, comma 3,
cod. proc. pen.. Rileva il Collegio che l’articolato decreto del Pubblico Ministero,
contiene puntuale motivazione sulla impossibilità di eseguire le operazioni
attraverso il server installato nella Procura della Repubblica – quindi sulle
modalità di esecuzione in esterna delle operazioni di ‘intercettazione ambientale
– e dà atto che, in relazione alla specifica tipologia dell’atto da compiere, cioè le
riprese audiovisive, al fine di cogliere eventuali comunicazioni gestuali, e la
intercettazione fonica del colloquio tra il Bruno ed i congiunti, è necessario
servirsi del sistema di videoripresa e ascolto installato in una delle sale adibiti ai
colloqui della Casa Circondariale ove il Bruno è ristretto, al fine di assicurare il
migliore coordinamento dell’attività investigativa e dell’attività di intercettazione.
4
??)\N

1. I ricorsi di Luigi Bruno e Giuseppe Caputo sono fondati con riguardo ai

Sono allegati agli atti i verbali di inizio/fine delle operazioni tecniche eseguite
dagli agenti di Polizia Penitenziaria e il verbale di inizio delle operazioni redatto
dagli appartenenti al Nucleo di Polizia Tributaria che attestano come le operazioni
di intercettazione siano state eseguite dal personale della Polizia Penitenziaria il
20 settembre 2016 alle ore 14:15 e che le successive operazioni di ascolto e
versamento su apposito supporto informatico, sarebbero state eseguite a cura
della Guardia di Finanza.
ricorso,

Non è dato cogliere, dai rilievi difensivi svolti in

alcuna violazione della delega rilasciata dal Pubblico Ministero dal

riferimento alle descritte modalità di intercettazione esaminate nel decreto,
concernevano proprio l’ attivazione dei sistemi di ascolto e videoripresa dei
colloqui che il Bruno avrebbe intrattenuto con i congiunti attraverso i presidi
tecnici esistenti nella sala colloqui, operazioni che sono debitamente riportate
nei verbali redatti dall’organo a ciò delegato e richiamate nel verbale redatto
dalla Polizia giudiziaria, delegata alla esecuzione delle operazioni. Non è, infatti,
di perspicua intelligenza, avuto riguardo alla complessa motivazione riportata nel
decreto del Pubblico Ministero con riguardo alle attività captative in oggetto,
distinguere dalle operazioni tecniche, delle quali era investita la Polizia
Penitenziaria – e che sono cosa ancora diversa dalle modalità tecniche di
esecuzione delle operazioni – la

esecuzione delle operazioni delegate alla

Guardia di Finanza, esecuzione che concerne

le operazioni preliminari,

concomitanti e successive all’attivazione del sistema di captazione audio-video
all’atto dei colloqui del Bruno con i congiunti, attraverso i sistemi installati nella
sala colloqui, facenti capo alla società esterna, anch’essa debitamente
autorizzata alle operazioni di spettanza.

3. Ad analoga sorte sono destinati i motivi di ricorso del Bruno nella parte in
cui investono la sussistenza degli elementi indiziari posti a fondamento del reato
di cui al capo b), cioè del concorso in importazione della droga.

4. Sebbene non sia stato nominalmente richiamato, il Tribunale del riesame
ha implicitamente esaminato il contenuto dell’interrogatorio di garanzia reso
dall’indagato ed ha, questa volta espressamente, esaminato le deduzioni
difensive che investivano il contenuto e l’attendibilità delle dichiarazioni rese da
Giuseppe Esposito e l’efficacia dimostrativa degli elementi di riscontro, che
denotano il coinvolgimento dell’indagato nell’operazione di importazione dello
stupefacente. In particolare i giudici del riesame,

richiamata la vicenda

cautelare del Bruno che si trova ristretto dal 17 luglio 2015 perché raggiunto da
misura cautelare in relazione all’omicidio di Nicola Annunziata suocero di
5

momento che le operazioni tecniche delegate alla Polizia Penitenziaria, con

Alessandro Ferracci – sospettato di essere stato il contatto con Zulma del Pilar
Bahena Trejos che aveva procurato il carico di droga imbarcato in Ecuador,
ruolo che, in realtà, appare riconducibile, secondo l’ordinanza genetica, proprio
al defunto Nicola Annunziata – si sono soffermati sulle dichiarazioni di Giuseppe
Esposito, pur avendo precisato che questi aveva reso dichiarazioni intese ad
attenuare la propria posizione processuale, chiamandosi fuori dalla conduzione di
affari che abbiano ad oggetto sostanze stupefacenti; sul contenuto dei colloqui
del Bruno intercorsi con i congiunti; sulle dichiarazioni rese da Francesco

riconosciuto il Bruno come la persona che aveva esploso il colpo di pistola contro
il congiunto; sui riferimenti dei complici, Giovanni Esposito, Eduardo Garofalo,
Vincenzo Melisse e Giuseppe Esposito, nel corso delle conversazioni intercettate,
che fanno ritenere che proprio il defunto Annunziata fosse coinvolto
nell’importazione del carico di stupefacenti e che egli avesse un rapporto di affari
con il Bruno; sul ritrovamento, a casa di Nicola Annunziata dopo l’omicidio, di un
foglietto, recante i dati identificativi del container contenente il carico di droga.

5. Ritiene il Collegio, passando allo specifico esame dei rilievi difensivi, che
sono indeducibili nell’odierna sede processuale le argomentazioni difensive che
attaccano la lettura delle dichiarazioni rese da Giuseppe Esposito con la
devoluzione alla Corte di legittimità – secondo le argomentazioni svolte
all’udienza odierna – della lettura del file contenente l’interrogatorio dell’Esposito,
in forma integrale, dichiarazioni rispetto alle quali il Tribunale, secondo il
ricorrente, è incorso nel vizio di travisamento della prova sia perché Giuseppe
Esposito non aveva mai coinvolto il Bruno nella vicenda illecita avente ad oggetto
il carico sequestrato a Istanbul, ed al quale egli stesso era estraneo poiché non
sospettava si trattasse di stupefacente, sia perché l’ulteriore argomento oggetto
delle intercettazioni telefoniche nelle quali il Bruno era interlocutore era in realtà
relativo all’acquisto di banda stagnata e non di stupefacente. Le argomentazioni
difensive, a fronte della precisazione del Tribunale sulla scarsa affidabilità
dell’Esposito, che tende a chiamarsi fuori dal coinvolgimento in affari illeciti, sono
ben lungi dal denotare il travisamento della prova dichiarativa che, per essere
deducibile in sede di legittimità deve avere un oggetto definito e non opinabile,
tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso
intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia
inopinatamente tratto di talché è da escludere che integri il suddetto vizio un
presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione
medesima. (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087).
Non ricorre, dunque, alcun travisamento delle dichiarazioni di Giuseppe Esposito
6

Annunziata e da Eufemia Iervolino, figlio e moglie della vittima che aveva

tenuto conto che il Tribunale ha valorizzato, per disattenderne la riduttiva
versione offerta agli inquirenti, il contenuto delle intercettazioni di cui era
direttamente protagonista il dichiarante oltre alla circostanza che, al suo rientro
in Italia dalla Bulgaria dove aveva tentato il recupero del carico, Giovanni
Esposito sente la necessità di recarsi, accompagnato dal Caputo e munito di
prove dell’intervenuto sequestro del carico proprio da Giuseppe Esposito e che
anche nell’ultimo contatto intervenuto fra Piedepalumbo e Giuseppe Esposito allontanatosi da casa dopo l’arresto del Bruno – viene inviato per messaggio il

emerge, con riferimento al coinvolgimento del ricorrente nella vicenda
dell’importazione dello stupefacente – al netto della presunta mancata
conoscenza della natura dell’affare allegata dall’Esposito, viceversa comprovata
dalle intercettazioni – non è frutto di valutazione illogica o contraddittoria e con
e con esso si saldano, a comporre un unitario plesso interpretativo, il contenuto
dei colloqui del Bruno intercettati in carcere, dai quali emerge il suo timore di
essere coinvolto nelle indagini del presente procedimento; le dichiarazioni rese
dai congiunti dell’Annunziata – segnatamente quelle della moglie che ha
confermato il coinvolgimento dell’Annunziata nella vicenda di droga, riportata nel
foglietto sequestrato a casa. Tali dichiarazioni, poi, coinvolgono il Bruno non solo
nell’omicidio in danno del congiunto – la Iervolino, come cennato, lo ha indicato
come esecutore materiale – ma anche nel sottostante rapporto di debito del
marito ovvero del genero, Ferracci, e in una discussione che direttamente il
Bruno, essendo in stato di arresto il cognato, aveva avuto con Annunziata Nicola.
Del tutto ragionevolmente, pertanto, i giudici della cautela hanno ritenuto
coinvolto, alla stregua delle dettagliate informazioni in suo possesso (e, cioè il
biglietto che conteneva la sigla del container nel quale era imbarcato il carico di
cocaina e le dichiarazioni della moglie), l’Annunziata nella vicenda
dell’importazione della cocaina; l’odierno ricorrente, nell’omicidio dell’Annunziata
e il collegamento tra detto omicidio e la vicenda dell’importazione della cocaina,
alla luce dei riferimenti compiuti da Giovanni Esposito nel corso di una
conversazione intercorsa con Eduardo Garofalo. Il giorno 1 maggio 2015 – si
ricordi che Nicola Annunziata non era ancora deceduto perché la morte sarebbe
sopraggiunta, a causa delle ferite riportate, dopo qualche ora – discutendo del
fatto tra loro Giovanni Esposito e Edoardo Garofalo fanno riferimento ad un
incontro avvenuto a casa dell’Esposito tra il Bruno e “don Nicola” e, non
cogliendo immediatamente il senso della notizia riferitagli, l’Esposito chiede al
suo interlocutore quale dei abbia avuto il problema e il Garofalo gli precisa che
non si tratta del “mozzarellaro” – che gli inquirenti individuano nel Bruno perché
la moglie è titolare di un caseificio- ma nell’altro, cioè don Nicola. Al di là della
7

codice del container contenente il carico di droga. Il risultato probatorio che

mancata ricostruzione delle ragioni dell’omicidio dell’Annunziata, gli elementi
acquisiti, a livello gravemente indiziario, secondo la logica ricostruzione
sviluppata nell’ordinanza impugnata, denotano il coinvolgimento del ricorrente
nell’operazione di importazione del carico di droga.

6. Anche il motivo di ricorso del Caputo che investe la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza con riguardo al reato di cui al capo 2), si appalesa
generico. Le argomentazioni difensive non si confrontano con la motivazione

conversazioni intercorse tra il Caputo e Giovanni Esposito, recatosi in Bulgaria
nel tentativo di recuperare presso il porto di Burgas il carico di cocaina non
essendo riuscito il prelievo del carico mentre la nave era attraccata al Porto di
Salerno, e tra il Caputo e Vincenzo Melisse, che parimenti seguiva per telefono le
vicende dell’Esposito. Dalle conversazioni si apprende che il Caputo, essendo
perfettamente a conoscenza della natura del carico da recuperare tanto da
raccomandare all’Esposito, qualora l’operazione fosse riuscita, di non lasciare la
merce in Bulgaria, aveva messo in contatto l’Esposito con un suo conoscente in
Bulgaria, Gadjev Pietro, per recuperare il carico promettendogli una congrua
ricompensa, un paio di pacchi di macchina, secondo un’espressione che rimanda
da un lato al convenzionale riferimento al carico che il Caputo e l’Esposito
utilizzavano (la macchina),

e che è inspiegabile se riferito ad un qualsiasi

apparecchio ma chiarissimo se riferito alla cocaina. Una volta, poi, che Giovanni
Esposito era rientrato in Italia, senza essere riuscito a recuperare lo
stupefacente, il Caputo si era offerto di accompagnarlo da Giuseppe Esposito cioè il referente napoletano dell’operazione – dopo avere tentato di procurarsi,
sempre tramite il Gadjev, una copia del giornale straniero contenente la notizia
del sequestro del carico, per dimostrare che non erano ladri. Le intercettazioni in
atti ne documentano anche gli ulteriori contatti con il coindagato Melisse e un
successivo incontro con questi, oggetto di osservazione degli inquirenti; la
disponibilità di un’utenza cellulare, attivata con le false generalità di Gianmarco
Esposito, sotto la quale si celava Giovanni Esposito mentre, dall’acquisizione dei
tabulati telefonici, sono emersi i contatti dell’indagato con addetti del porto di
Salerno, giusto in concomitanza con la sosta in tale porto della nave-container a
bordo della quale era occultato il carico di droga. Rileva il Collegio che, con
perfetta aderenza al contenuto delle conversazioni intercettate ed alla loro
scansione temporale, e con ineccepibili argomentazioni sul piano logico e
giuridico, i giudici del merito hanno ritenuto comprovato un fattivo contributo del
ricorrente al tentativo di recupero del carico di droga, contributo che ne palesa
l’interesse sottostante, riconducibile al coinvolgimento nell’operazione di
8

dell’ordinanza impugnata che rimanda al contenuto ed al tenore delle

importazione della partita di droga. Senza incorrere in una vistosa anomalia
interpretativa, i giudici del riesame hanno letto il contenuto dei colloqui
intercettati a partire dal 30 aprile 2015 – che hanno inequivocabilmente ad
oggetto il recupero del carico di droga – in sequenza con i contatti, comprovati
dai tabulati, intrattenuti dal ricorrente con una persona in servizio al Porto di
Salerno, proprio nei giorni nei quali la nave vi era transitata e con le successive
telefonate – si veda in proposito pag. 110 dell’ordinanza genetica richiamata per
relationem in quella impugnata – con il Melisse, Edoardo Garofalo e Giovanni

come restituire la somma che era stata consegnata quale anticipo per
l’operazione di recupero.

7. Come anticipato, sono fondate le deduzioni difensive che investono la
sussistenza del reato associativo e delle connesse aggravanti, della
transnazionalità e del numero dei correi. Per la configurabilità del reato
associativo, è, infatti, necessaria la dimostrazione, a livello gravemente
indiziario, dell’esistenza di un’entità autonoma, costituita da almeno tre persone,
a carattere permanente e dotata di una struttura organizzativa, che può anche
essere rudimentale ma deve comunque essere idonea a fornire un supporto
stabile alle singole deliberazioni criminose. Appare sufficiente, a questo fine,
rammentare il principio secondo cui, per la configurabilità dell’associazione
dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e articolata
organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente
l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di
mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un
supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo
dei singoli associati (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso e altri, Rv.
258165). Il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, si afferma, è configurabile in
presenza di elementi idonei a rappresentare che: a) almeno tre persone siano
tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non
contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli
stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b)
il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e
materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c)
ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si
metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo (Sez. 6, n. 7387 del
03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796). In ogni caso, l’associazione per
delinquere è un fatto materiale, con precise connotazioni strutturali, al quale si
connettono pertinenti profili soggettivi e conseguentemente, i profili di prova
9

Esposito, conversazioni, queste ultime, che hanno ad oggetto discussioni su

involgono la individuazione del pactum sceleris

e che questo abbia ad oggetto

un determinato programma criminoso, da perseguire attraverso il coordinamento
di singoli apporti personali. E’, dunque, il patto che genera un vincolo e spetta al
giudice, anche ai soli fini del giudizio di gravità indiziaria, l’accertamento del fatto
in tutti gli elementi essenziali, come avvenimento storico definito e per ciò stesso
distinto da fenomeni contigui – come il concorso di persone nel reato – e da
situazioni penalmente irrilevanti. È noto, infatti, che il

cliscrimen tra il reato

associativo e la fattispecie di concorso di persone nel reato, anche in presenza

associativo, è dato riscontare un vincolo a carattere stabile e permanente, con il
quale tre o più persone si predispongono, dando vita ad un minimo di
organizzazione strutturale, alla commissione di una serie indeterminata di delitti,
nella consapevolezza, da parte dei singoli associati, di far parte di un sodalizio
criminoso durevole e con la disponibilità ad operare per l’attuazione del progetto
delinquenziale comune, anche a prescindere dalla concreta realizzazione di
ciascuno dei delitti programmati (fra le altre, Sez. 1, n. 8291 del 31/05/1995 dep. 22/07/1995, Barchiesi ed altri, Rv. 202192; Sez. 1, n. 10835 del
22/09/1994 – dep. 22/10/1994, Platania, Rv. 199581).
Ne consegue che ai fini della qualificata probabilità in ordine alla
responsabilità degli indagati per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, è
necessario verificare, attraverso l’esame delle circostanze di fatto, la presenza di
elementi indicativi della sussistenza di un accordo volto alla commissione di una
serie indeterminata di reati e di un fattivo contributo personale del singolo alla
sussistenza dell’associazione, in presenza, anche sul piano empirico sociologico,
di aggregazioni estemporanee di soggetti che mettono insieme mezzi economici
per acquisti, anche consistenti, di sostanze stupefacenti, senza che,
necessariamente, si sia di fronte alla creazione di una struttura complessa e
gerarchicamente ordinata, volta alla commissione di una serie indeterminata di
reati e, dunque, sorretta da uno scopo che si proietta oltre la consumazione dei
singoli reati-fine, struttura e finalità che costituiscono la ragione stessa
dell’incriminazione del fenomeno associativo.

8. E tale caratteristica non emerge, con carattere di univocità, dai passaggi
argomentativi dell’ordinanza impugnata con riguardo a Giuseppe Caputo, che, si
ricorderà, è stato oggetto di intercettazioni unicamente nella fase del recupero in
Bulgaria del carico e in vista dell’accompagnamento di Giovanni Esposito da
Giuseppe Esposito, per giustificare il mancato prelievo del carico di stupefacente.
L’ordinanza impugnata si limita a descrivere tale attività del ricorrente che,
tuttavia, non appare esaustiva nel descriverne il ruolo di partecipe che si

10

della commissione di più reati cd. fine, risiede nel fatto che, nel delitto

colloca in un incerto contesto ricostruttivo tant’è che, secondo le considerazioni
svolte nell’ordinanza genetica (cfr. pag. 153), Vincenzo Melisse e Giovanni
Esposito, ai quali si collega la persona del ricorrente, hanno verosimilmente
ricevuto il compenso per la mera partecipazione al recupero della cocaina
(trentamila euro incassati dal Melisse e da Giovanni Esposito) che i due
avrebbero dovuto restituire non essendo riusciti nell’intento. Né tale ruolo è
meglio illuminato nell’ordinanza genetica, che, in termini assertivi, rinvia – si
vedano le pagg. 15-110 – alle conversazioni che fanno capo al gruppo cd. dei

Giuseppe Esposito e con il defunto Nicola Annunziata senza, tuttavia, chiarire
perché il coinvolgimento dei soggetti monitorati in un affare comune sia
sintomatico della esistenza di un gruppo, sia pure individuabile in quello dei
soggetti incaricati del recupero dello stupefacente e men che mai si qualifica per la oscurità del riferimento – con la disponibilità a provvedere ai “compagni
detenuti”. In altre parole, non è sufficiente la consapevolezza dell’indagato di
operare nell’interesse di un gruppo organizzato – cioè il composito gruppo che ha
partecipato all’acquisto della cocaina, alla sua importazione e che sarebbe stato
interessato alla sua distribuzione – a denotarne il contributo qualificante ai fini
della partecipazione dovendo verificarsi, alla stregua dei principi innanzi delineati
e dei dati eventualmente emergenti dalle conversazioni riportate, se tale apporto
sia idoneo a denotare la sussistenza del pactum sceleris, che rimanda alla
stabilità nel tempo dell’accordo e, quindi, alla creazione di un legame strutturato
fra i soggetti, vuoi se riferito al gruppo Giovanni Esposito, Vincenzo Melisse,
Giovanni Piedepalumbo vuoi se riferito al più ampio gruppo che fa capo a
Giuseppe Esposito, ovvero si risolva in un apporto estemporaneo e funzionale al
recupero della cocaina.

8. A conclusioni non diverse si perviene con riguardo al Bruno ed al ruolo da
questi ricoperto nel contesto associativo, in presenza di una motivazione
lacunosa, vuoi per il mancato confronto con i seri argomenti difensivi, sulla
individuazione del Bruno come la persona del “direttore” alla quale si fa
riferimento nelle conversazioni intercorse tra Giuseppe Esposito e Mario Sanges,
e tra il primo e Maurizio Colaiocolo, vuoi per la trama motivazionale della
pronuncia in disamina, estremamente generica allorquando analizza il contenuto
delle conversazioni intrattenute dall’indagato al fine di ricostruirne il ruolo nel
contesto associativo, ruolo che, peraltro, dovrebbe essere non quello di mero
partecipe ma di un soggetto in posizione apicale. A tale riguardo appare
superficiale anche la lettura delle dichiarazioni rese da Giuseppe Esposito, con
riguardo alla natura dell’affare – l’acquisto di banda stagnata- che contrassegna

11

salernitani cioè a Giovanni Esposito ed ai contatti con il Piedepalumbo, con

i contatti intercorsi fra i correi nel luglio 2015 e che, contrariamente alla
ricostruzione dell’operazione di importazione, non trova seria smentita nelle
risultanze processuali nella illustrazione compiutane dall’ordinanza impugnata.

9. E’ consequenziale il riesame sia della sussistenza dell’aggravante del
numero di persone, poiché vanno esaminati i rapporti tra il gruppo cd.
salernitano e quello napoletano, sia degli elementi che, in presenza di una
struttura associativa, rinviano ai connotati dell’aggravante di cui all’art. 3, legge

anche qualora questo venga consumato interamente in Italia essendo sufficiente
che alla sua realizzazione concorra un gruppo dedito ad attività criminali a livello
internazionale che, tuttavia, devono essere oggetto di puntuale disamina da
parte del giudice della cautela.

10.

Sono manifestamente infondate le deduzioni difensive che

investono la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della
misura applicata ai ricorrenti poiché anche il mero coinvolgimento
nell’operazione di importazione della cocaina, nonostante la sua risalenza nel
tempo, conclama la imponenza del giudizio di pericolosità degli indagati
rivelandone la professionalità della condotta e i collegamenti sui quali avevano
potuto contare sia per l’acquisto all’estero della partita di droga sia per il
recupero, questo con particolare riguardo al Caputo, presso il porto di Salerno
ovvero in Bulgaria. I giudici del riesame, hanno, inoltre, evidenziato che il Bruno,
pur essendo formalmente incensurato, è attinto da misura per l’omicidio
dell’Annunziata elemento del tutto ragionevolmente valorizzato nell’ordinanza
impugnata a conclamare il pericolo di ripresa dell’attività criminosa al verificarsi
dell’occasione propizia.
11.

Può, dunque, concludersi che i giudici della cautela – l’ordinanza

impugnata va letta in confronto con quella impositiva che ne costituisce il
presupposto – hanno assolto l’onere di adeguata e specifica motivazione in
relazione alla sussistenza del pericolo di reiterazione di condotte dello stesso
genere desunti dall’esame della personalità degli indagati e dalle modalità dei
fatti. Ed è con riguardo a tali esigenze che i giudici a quibus hanno ritenuto
unica misura adeguata e proporzionata quella della custodia cautelare in carcere
e la inidoneità di misure diverse a realizzare la finalità di cautela, valorizzando le
relazioni con gli altri coindagati e la capacità di avvalersi di strutture di supporto
che prescindono anche dalla formale sussistenza del reato associativo al quale
pure è agganciata la motivazione dell’ordinanza impugnata.

12

146/2006, configurabile in riferimento al delitto di associazione per delinquere

11.Seguono, a cura della cancelleria, gli adempimenti

ex art. 94, comma I-

ter disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di Caputo Giuseppe e Bruno
Luigi con riferimento al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 e rinvia per nuovo
esame sul punto al Tribunale di Napoli. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi

ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 21 novembre 2017

I-

dei predetti. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di all’art. 94, comma

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