Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 60 del 19/12/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 60 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Alessandro FICICCHIA, nato a Niscemi il 9 marzo 1977;

avverso l’ordinanza del 25 maggio 2016 pronunciata da Tribunale di
Caltanissetta;

Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Stefano Aprile;

sentite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Dott. Sante Spiaci, che ha concluso per il rigetto;
dato atto dell’assenza del difensore.

Data Udienza: 19/12/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Caltanissetta, in funzione
di tribunale del riesame, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse del
ricorrente avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Gela il 21 aprile 2016 con
la quale è stata respinta, nel corso del giudizio di primo grado, la richiesta di

relazione al diritto di partecipazione all’associazione mafiosa «Cosa Nostra»
operante nel territorio di Niscemi, a norma dell’articolo 416-bis, cod. pen.,
nonché in relazione al delitto di tentata estorsione nei confronti di imprenditore.
2. Ricorre Alessandro Ficicchia, personalmente, che chiede l’annullamento
della ordinanza impugnata in relazione a due motivi di ricorso.
2.1. Osserva, con il primo motivo concernente l’inosservanza o erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener
conto nell’applicazione della legge penale, a norma dell’art. 606, comma 1, lett.
b), cod. proc. pen., in riferimento alla violazione dell’art. 273, cod. proc. pen.,
nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, a
norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione
all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che il Tribunale avrebbe errato
nel non considerare il nuovo elemento costituito dalle dichiarazioni rese nel corso
del processo da parte di Giancarlo Giugno, elemento in grado di superare la
preclusione processuale derivante dal giudicato cautelare formatosi
sull’ordinanza genetica nella quale non erano in alcun modo utilizzate le
dichiarazioni.
2.2. Osserva, con il secondo motivo concernente l’inosservanza o erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener
conto nell’applicazione della legge penale, a norma dell’art. 606, comma 1, lett.
b), cod. proc. pen., in relazione agli articoli 274 e 275, cod. proc. pen., nonché
concernente la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in
relazione alle esigenze cautelari, che il Tribunale avrebbe errato nel non valutare
l’esistenza di nuovi elementi, sempre derivanti dalla dichiarazione di Giugno, in
ragione dei quali era possibile escludere la pericolosità del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare nel complesso inammissibile.
2

revoca della misura cautelare della custodia cautelare in carcere applicata in

1.1. Va, preliminarmente, osservato che entrambi i motivi di ricorso
formulati in relazione alla violazione di legge appaiono inammissibili, poiché
viene formalmente censurata l’interpretazione dell’art. 273, cod. proc. pen., e
quella degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., mentre di fatto è criticata la
motivazione dell’ordinanza impugnata, tanto che il ricorso si dilunga

valutazione delle dichiarazioni di Giugno, sia con riferimento agli indizi di
colpevolezza, sia con riguardo alle esigenze cautelari, in specie sotto l’angolo
visuale della sopravvenuta insussistenza delle stesse.
1.2. Passando all’esame del primo motivo di ricorso, attinente la motivazione
dell’ordinanza per quanto riguarda gli indizi di colpevolezza, deve essere
evidenziato che il Tribunale di Caltanissetta ha correttamente dato conto, con
adeguata e logica motivazione, degli elementi in ragione dei quali le dichiarazioni
di Giugno, pur correttamente valutate quale nuovo elemento sopravvenuto
rispetto al panorama indiziario risultante dall’ordinanza genetica, non sono state
concretamente ritenute idonee a superare gli elementi di accusa in relazione ai
quali – con l’esperimento di tutti i mezzi di impugnazione – si è stabilizzato il cd.
giudicato cautelare, consistente nella preclusione di una nuova valutazione
rispetto a quella effettuata dal Giudice per le indagini preliminari e poi dal
Tribunale in sede di riesame (la vicenda cautelare del ricorrente è stata già
esaminata da questa Corte Sez. 2, Sentenza n. 20281 del 18/02/2016, Ficicchia,
non massimata; Sez. 1, Sentenza n. 11153 del 24/11/2015, Ficicchia, non
massimata; Sez. 5, Sentenza n. 1252 del 04/11/2014, Ficicchia, non
massimata).
Appare, in particolare, logicamente ineccepibile il percorso motivazionale che
ha preso le mosse dalla natura di mero dichiarante e non di collaboratore di
giustizia di Giugno, nonché dall’esame delle dichiarazioni accusatorie rese nel
medesimo processo da Pitrolo.
Le censure sono, quindi, generiche e, perciò, inammissibili.
1.3. Essendosi così sgombrato il campo dalla questione concernente il
carattere innovativo della dichiarazione di Giugno, risulta parimenti inammissibile
anche il secondo motivo di ricorso, nella parte in cui censura l’ordinanza con
riferimento alla motivazione attinente le esigenze cautelari.
3

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(

nell’evidenziare gli elementi di critica all’apparato motivazionale in punto di

Sotto tale profilo, infatti, appare corretto l’apparato motivazionale del
Tribunale di Caltanissetta il quale ha ritenuto insussistenti i dedotti elementi di
novità suscettibili di produrre effetti in relazione alle esigenze cautelari, con
specifico riferimento alla necessità che in forza di tali elementi non sia
ragionevole escludere la pericolosità dell’indagato, posto che la innovatività degli

Peraltro, il giudizio attinente le esigenze cautelari è stato, in seguito,
modificato dal giudice competente, tanto che il ricorrente si trova sottoposto al
divieto di dimora ed all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.500 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2016.

elementi è stata esclusa.

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