Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) LEZZI VITO N. IL 19/08/1963
avverso la sentenza n. 441/2008 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 30/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO
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MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.

che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 27/11/2012

1. Con sentenza del 29.5.2007 il GUP del Tribunale di Taranto,
all’esito di giudizio abbreviato, condannava Lezzi Vito alla pena di
anni due di reclusione perché giudicato colpevole del reato di cui
agli artt. 110, 424 e 425 n. 1 c.p. per avere, in concorso con Ricatti
Domenico, Lezzi Fabrizio e Di Molfetta Silvana, per i quali si è
proceduto separatamente, su mandato di quest’ultima, illegalmente
detenuto e portato in luogo pubblico una bottiglia incendiaria, che il
Ricatti lanciava contro le strutture dello stabilimento balneare
denominato “Capitan Morgan”, le cui strutture per questo si
incendiavano venendone danneggiate.
Argomentava il giudice di prime cure che verso le ore tre del 6
agosto 2005 i CC. di Pulsano erano intervenuti sul luogo
dell’azione incendiaria, ove ne avevano constatato l’origine dolosa;
in tale contesto il guardiano dello stabilimento forniva agli
operatori il numero di targa dell’autovettura dell’auto con la quale
gli autori dell’azione delittuosa si erano dileguati, auto che risultava
intestata all’imputato. Questi veniva rintracciato la mattina
successiva, verso le ore 11.30, ed i suoi vestiti, oltre ad emanare, a
giudizio degli operatori, odore di gasolio, risultavano macchiati
dello stesso liquido. Si accertava altresì che il Lezzi, la sera prima,
si era allontanato dal parcheggio antistante il suo luogo di lavoro (la
casa circondariale di Taranto) insieme al fratello Fabrizio ed a
Ricatti Domenico. Lezzi Frabrizio, infine, aveva ammesso i fatti di
causa ed il movente dell’azione delittuosa, indicato nella volontà di
dare una punizione al titolare della struttura incendiata per punirlo
del diverbio avuto con la Di Molfetta pochi giorni prima. Presso
l’abitazione di quest’ultima, ove l’imputato era ospite, veniva infine
rinvenuta una tanica di liquido infiammabile.
2. Avverso la sentenza di condanna proponeva appello l’imputato e
la Corte distrettuale di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con
sentenza del 30 maggio 2011, pur riducendo la pena inflitta ad anni
uno e mesi otto di reclusione, confermava nel resto la sentenza
impugnata.
Tenuto conto dei motivi di gravame di diretto interesse nel presente
giudizio di legittimità, osservava la Corte che le dichiarazioni rese
da Lezzi Fabrizio nell’imminenza del fatto (il mattino successivo al
raid notturno, alle ore 13.54) erano da intendersi come dichiarazioni

//

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

spontanee e che delle medesime è precluso l’utilizzo processuale
soltanto in sede dibattimentale, secondo disposto del settimo
comma dell’art. 350 c.p.p..
Anche in relazione alla denunciata violazione dell’art. 199 c.p.p.,
rilevava la corte di merito la natura spontanea delle dichiarazioni e
comunque la loro utilizzabilità in sede di giudizio abbreviato anche
in costanza di omesse avvertenze, secondo l’insegnamento di Cass.
34521/2009.
Nel merito il giudice territoriale richiamava il quadro probatorio a
carico dell’imputato acquisito al processo, l’autovettura di sua
proprietà utilizzata per il trasporto degli attentatori, la circostanza
che poche ore dopo i fatti gli abiti del prevenuto emanavano odore
di gasolio e fossero di esso imbrattati, il legame sentimentale con la
ritenuta mandante dell’impresa.
La gravità del fatto e le sue motivazioni, infine, inducevano la corte
territoriale a negare la concessione delle circostanze attenuanti
generiche e ad infliggere la pena ritenuta di giustizia di cui al
dispositivo.
3. Ricorre per cassazione chiedendo l’annullamento della pronuncia
di secondo grado l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, a tal
fine illustrando tre motivi di cesura.
3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione della
legge processuale in relazione al disposto degli artt. 63, 64 e 199
c.p.p., sul rilievo che l’impianto accusatorio si fonda sulle
dichiarazioni auto ed etero accusatorie di Lezzi Fabrizio, fratello
dell’imputato, sentito nell’immediatezza dei fatti senza la presenza
del difensore e senza gli avvisi imposti dall’art. 199 c.p.p.. Deduce
altresì il difensore che Lezzi Fabrizio non ha affatto reso
dichiarazioni spontanee, come erroneamente ritenuto dai giudici di
merito e come viceversa smentito dall’esame del relativo verbale
redatto dalle forze dell’ordine (verbale allegato al ricorso) e che il
denunciato vizio procedimentale, in quanto rilevabile in ogni stato e
grado del processo dappoichè espressivo di una inutilizzabilità
patologica, si imponeva anche in costanza del rito speciale prescelto
dall’imputato, il giudizio abbreviato.
3.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente
l’insufficienza della motivazione impugnata una volta venute meno
le accuse di Lezzi Fabrizio, giacchè, al netto di esse, a carico
dell’imputato rimaneva l’ indizio dell’ autovettura utilizzata

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nell’impresa delittuosa, a lui intestata, e la valutazione olfattiva e
soggettiva dei CC., i quali avrebbero percepito odore di benzina sui
vestiti dell’imputato, circostanza inverosimile a nove ore di distanza
dal fatto e considerato il minimo quantitativo di benzina utilizzato
per appiccare il fuoco, come rilevato dai VV.FF. intervenuti. Di qui
la conclusione che rimarrebbe a carico dell’imputato il solo indizio
dell’uso della sua autovettura, di per sé insufficiente a sostenere
l’accusa.
3.3 Col terzo ed ultimo motivo di impugnazione denuncia la difesa
istante omessa motivazione in relazione alla determinazione della
pena ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche, in
particolare osservando che l’essersi discostato di molto, quanto alla
sanzione, dal minimo edittale, imponeva una congrua motivazione
da parte del giudicante e che lo stato di incensuratezza e le
motivazioni sentimentali del gesto avrebbero imposto, anche in
questo, un maggiore sforzo motivazionale in concreto neppure
tentato.
4. 11 ricorso è infondato.
4.1 Infondato, in particolare, è il primo motivo di impugnazione,
posto che, quelle rese da Fabrizio Lezzi poche ore dopo i fatti di
causa, sono state correttamente considerate dai giudici di merito
come dichiarazioni spontanee, in quanto tali sottratte alla disciplina
di garanzia di cui agli artt. 63 e 64 c.p.p.. Né sul punto possono
condividersi le censure difensive, giacchè, proprio l’esame dell’atto
assunto, evidenzia che i verbalizzanti lo hanno denominato “verbale
di spontanee dichiarazioni” e che il contenuto delle stesse ne
evidenzia la spontaneità, in quanto sviluppate logicamente dal
dichiarante in assenza di qualsivoglia domanda degli operatori.
La confermata natura dell’atto impugnato esclude, altresì, la
violazione delle disposizioni di garanzia di cui all’art. 199 c.p.p.,
applicabile infatti esclusivamente in costanza di deposizioni e non
già anche di spontanee dichiarazioni alla P.G., e tenuto conto,
altresì, del rito speciale nelle cui forme il giudizio è stato svolto.
La scelta del rito abbreviato infatti, come opportunamente osservato
dalla corte distrettuale, determina l’utilizzabilità delle dichiarazioni
rese dal prossimo congiunto dell’imputato anche in assenza
dell’avvertimento circa la facoltà di astenersi dal deporre.
4.2 Manifestamente infondato si appalesa invece il secondo motivo
di impugnazione, sia perché, appunto, pienamente utilizzabile la

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.7.11.1 0.

chiamata in correità del fratello dell’imputato, sia perché comunque
logicamente e diffusamente ricostruito dal giudice di merito un
quadro probatorio idoneo a sostenere l’ipotesi accusatoria, sia
perché sufficiente detto quadro probatorio anche non considerando
le dichiarazioni di Lezzi Fabrizio, come puntigliosamente precisato
nella sentenza impugnata.
A carico dell’imputato infatti la corte territoriale ha richiamato
l’uso della sua autovettura da parte degli attentatori, il suo rintraccio
dopo poche ore, mediante uno stratagemma attesa la sua
irreperibilità, con la constatazione, in tale circostanza, dell’odore di
gasolio promanante dai suoi pantaloni ancora sporchi di carburante,
il suo rapporto sentimentale con la ritenuta mandante dell’impresa
delittuosa, il ritrovamento presso l’abitazione della coimputata, ove
l’imputato era ospitato, di una tanica di gasolio.
Trattasi di un insieme probatorio avverso il quale la difesa muove
censure generiche e comunque in fatto, inidonee ad inficiarne la
robustezza dimostrativa.
4.3 Del pari manifestamente infondata si appalesa, altresì, la
censura relativa al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle
circostanze attenuanti generiche.
Quanto alla pena, rammenta il Collegio, seguendo l’accreditata
lezione ermeneutica di questa Corte, che in tema di determinazione
della misura della sanzione, il giudice del merito, con la
enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o
più) tra i criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione,
infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica
esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Cass.,
Sez. Il, 19/03/2008, n. 12749).
Orbene, nel caso in esame il giudice territoriale è addirittura
pervenuto ad una riduzione della pena inflitta in prime cure,
peraltro sottolineando la gravità e la gratuità dell’azione delittuosa,
dati, questi ultimi, altresì richiamati per giustificare e motivare il
diniego, per questo legittimamente argomentato, delle attenuanti
generiche. Il giudice, infatti, non è tenuto a prendere in
considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo
sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere
discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni
ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di
preponderante rilievo (Cass., Sez. II, 23/11/2005, n. 44322).

4

P. T. M.
la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute
nel grado dalla parte civile Lippolis Guglielmo, che liquida in euro
2000,00 (duemila) oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, addì 27.11.2012

5. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso deve essere
rigettato ed il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., condannato al
pagamento delle spese processuali, alle quali vanno aggiunte quelle
in favore della parte civile costituita per l’onere sopportato nel
grado, spese, queste ultime liquidate ai sensi di legge nella misura
infra precisata.

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