Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5993 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5993 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) DALIPAJ ROVENA N. IL 26/07/1986
avverso la sentenza n. 1880/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
26/03/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCH1
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Udito il Procuratore Gerale in persona de Dott.
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Udito, per

arte civile, l’Avv

Udit i difensor Avv. 013,5514 CM:31‘‘

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Data Udienza: 30/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 26/3/2009, confermava la
sentenza con cui il Tribunale di Lucca aveva condannato Dalipaj Rovena alla
pena di giustizia in relazione ai reati di cui agli artt. 6, comma 3 e 13, comma 13
e 13 ter D.L.vo n. 286 del 1998 per essere stata sorpresa senza documenti di
identificazione o permesso di soggiorno e per avere fatto rientro nel territorio
dello Stato dopo essere stata espulsa con accompagnamento alla frontiera.

all’illegittimità del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, al difetto di
traduzione in lingua straniera del provvedimento di accompagnamento alla
frontiera del Questore e alla illegittimità di detto provvedimento per omessa
indicazione delle modalità di impugnazione e delle conseguenze penali derivanti
dalla sua violazione; respingeva, inoltre, le censure relative al reato di cui all’art.
6, comma 3, cit. ritenendo che la condizione di clandestinità dello straniero non
costituisse giustificato motivo per la mancata esibizione dei documenti di
identificazione.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Dalipaj Rovena, deducendo distinti
motivi.
Con un primo motivo si denuncia l’inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale o di altre norme giuridiche ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. e) cod. proc. pen., con riferimento al reato di cui all’art. 13 cit..
Essendo entrata in vigore il 25/12/2010 la Direttiva Comunitaria in materia
di immigrazione n. 115 del 2008, la norma dell’art. 13, comma 13 D. L. vo 286
del 1998, che stabilisce un divieto di reingresso nel territorio dello Stato per un
periodo di dieci anni, si pone in conflitto con tale normativa; inoltre la direttiva
non prevede alcun automatismo tra la decisione in ordine al rimpatrio e il divieto
di reingresso e la durata del divieto deve essere valutata tenendo debitamente
conto di tutte le circostanze del caso concreto; ancora, il divieto di reingresso è
revocabile quando lo straniero dimostri di avere adempiuto spontaneamente
all’ordine di rimpatrio. Il Giudice deve, quindi, disapplicare la normativa
nazionale contraria a quella comunitaria.
Il momento dei reingresso non può modificare il giudizio sull’atto
amministrativo emesso all’epoca: se si tratta di atto in contrasto con la
normativa europea, deve essere ritenuto illegittimo e disapplicato, con
conseguente assoluzione dell’imputato.

Con un secondo motivo, si deduce l’inosservanza ed erronea applicazione
2

La Corte riteneva infondate le censure dell’appellante in ordine

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della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in
relazione all’art. 6, comma 3, D. L.vo 286 del 1998 e la mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
La Corte d’appello non aveva assolto l’imputata, priva di documenti e di
permesso di soggiorno, nonostante lo straniero clandestino non abbia alcun
obbligo giuridico di munirsi di documenti, tenuto conto che la norma dell’art. 6
cit. si rivolge agli stranieri regolari sul territorio nazionale. Questa Corte a

la legge 94 del 2009 ha determinato Vabolitio criminis del reato in oggetto.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

Il reato di inottemperanza all’ordine di esibizione del passaporto o di altro
documento di identificazione e del permesso di soggiorno o dell’attestazione della
regolare presenza nel territorio dello Stato è configurabile soltanto nei confronti
degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, e non anche
degli stranieri in posizione irregolare, a seguito della modifica dell’art. 6, comma
terzo, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recata dall’art. 1, comma ventiduesimo,
lett. h), L. 15 luglio 2009, n. 94, che ha comportato una abolitio criminis, ai
sensi dell’art. 2, comma secondo, cod. pen., della preesistente fattispecie per la
parte relativa agli stranieri in posizione irregolare (Sez. U, n. 16453 del
24/02/2011 dep. 27/04/2011, P.M. in proc. Alacev, Rv. 249546), per i quali il
legislatore ha descritto un iter diverso (identificazione ai fini del trattenimento
e/o dell’espulsione).

2. E, invece, infondato il primo motivo di ricorso.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, la condotta di reingresso,
senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario, già
destinatario di un provvedimento di rimpatrio, ha conservato rilevanza penale
pur dopo l’emissione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio
dell’Unione europea del 16 dicembre 2008 e la conseguente pronuncia della
Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso El Dridi, perché i principi affermati
con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della
valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione (Sez. 1, n.

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Sezioni Unite ha stabilito che la modifica della norma incriminatrice adottata con

35871 del 25/05/2012

dep. 19/09/2012, Pg in proc. Mejdi, Rv. 253353);

l’unico punto in cui si registra il contrasto con la citata Direttiva è quello del
termine fissato per il divieto di reingresso, che non può essere superiore a cinque
anni, ai sensi dell’art. 11, par. 2, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, che ha acquisito diretta efficacia nell’ordinamento
nazionale a partire dal 25 dicembre 2010 per mancato adeguamento della citata
direttiva: di conseguenza, il reingresso nel territorio dello Stato del soggetto già
espulso che abbia a verificarsi oltre il termine di cinque anni dall’avvenuta

14276 del 12/04/2012 – dep. 16/04/2012, P.G. in proc. Khemiri, Rv. 252235)

La sentenza della Corte di giustizia nel caso El Dridi non ha inciso sulla
fattispecie astratta disciplinata dall’art. 13, comma 13, d. L.vo. n. 286 del 1998
né si può ritenere che la modificazione di un dato esterno, implicato dalla
fattispecie penale (nel caso in esame la sopravvenuta pronuncia della Corte di
giustizia che ha affermato l’incompatibilità della norma incriminatrice di cui
all’art. 14, comma 5 ter, D. L.vo n. 286 del 1998 e successive modifiche, riferita
alla condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del
questore, posta in essere prima della scadenza dei termini per il recepimento
della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16
dicembre 2008), possa assumere rilevanza ai fini della perdurante configurabilità
del delitto di cui all’art. 13, comma 13 cit.
Tale operazione esegetica comporterebbe, infatti, una non consentita
invalidazione a posteriori del provvedimento amministrativo di espulsione a suo
tempo legittimamente adottato che, oltre a non costituire elemento strutturale
della fattispecie penale di cui all’art. 13, comma 13, ha esaurito i suoi effetti con
l’avvenuta espulsione del cittadino extracomunitario dal territorio dello Stato.

I principi affermati dalla Corte europea di giustizia, dettati con riguardo alle
modalità della procedura di rimpatrio, non possono, pertanto, assumere rilievo ai
fini del reato di cui si tratta che consiste nel nuovo ingresso nel territorio dello
Stato in assenza di autorizzazione.

3. In conseguenza dell’annullamento senza rinvio della sentenza di
condanna per il reato di cui all’art. 6 D. L.vo 286 del 1998, questa Corte può
procedere alla determinazione della pena residua ai sensi degli artt. 620, comma
1, lett. I) e 621 cod. proc. pen., tenendo conto del calcolo esposto nella sentenza
dì primo grado, confermato in quella di appello: tale pena residua, tenuto conto
della diminuzione di un terzo per il rito alternativo, ammonta a mesi cinque e

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espulsione deve ritenersi condotta non più prevista come reato. (Sez. 1, n.

giorni ventitre di reclusione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo B
dell’imputazione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; rigetta il
ricorso sul resto e determina la pena per il reato residuo in cinque mesi e 23

Così deciso il 30 novembre 2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

giorni di reclusione, eliminando la sanzione irrogata per il capo B.

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