Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5992 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5992 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) NDOJ ALBERT N. IL 29/06/1983
avverso la sentenza n. 3230/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/09/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore nerarsona del Dott. C: \-Netbre-A7-4K )
che ha concluso per

Udito, per la parte vile, l’Avv
Udit i difens

Data Udienza: 27/11/2012

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20/9/2011, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del
Tribunale di Milano che aveva condannato Ndoj Albert alla pena di mesi otto di reclusione per il
reato di cui all’art. 13, comr.na 13 D. L.vo 286 del 1998 per essere rientrato nel territorio dello
Stato da cui era stato espulso in forza di Decreto del Prefetto di Milano del 29/1/2010, eseguito
il 15/7/2010 con accompagnamento coattivo alla frontiera; fatti accertati il 14/3/2011.
L’atto di appello sosteneva l’illegittimità del decreto di espulsione in forza dell’efficacia

conto che detto decreto prevedeva un divieto di reingresso per dieci anni, e riteneva che il
giudice penale avrebbe dovuto disapplicare il provvedimento amministrativo illegittimo;
rilevava, inoltre, che, prima di dare esecuzione al decreto di espulsione, l’Autorità
Amministrativa avrebbe dovuto chiedere il nulla asta all’A.G. in relazione ad una denuncia del
2007 a carico del ricorrente.
La Corte territoriale osservava che, al momento dell’emissione, il decreto di espulsione era
legittimo; inoltre, avendo l’imputato fatto rientro nel territorio dello Stato alcuni mesi dopo la
sua espulsione coattiva, non si poneva il problema della violazione dei principi base della
Direttiva europea, atteso che il rientro non era avvenuto dopo il quinquennio; il reingresso
dopo l’espulsione era ancora previsto come reato.
Quanto alla mancata richiesta del Nulla osta dell’A.G., il decreto prefettizio doveva essere
interpretato nel senso che il nulla osta era stato richiesto e che l’A.G. non aveva provveduto
nei sette giorni successivi.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Art Ndoj, richiamando i motivi esposti nell’atto di
appello: la Direttiva n. 115 del 2008 esprime il principio generale secondo cui non è consentito
agli Stati membri di utilizzare la sanzione penale detentiva nei confronti del migrante al solo
scopo di rafforzare ordini di allontanamento o divieti di ingresso sul territorio dello Stato;
inoltre, al momento del reingresso nel territorio dello Stato, il decreto prefettizio non era più
conforme alla disciplina comunitaria e andava, pertanto, disapplicato; l’atto di appello
contestava, infine, il richiamo alla disciplina del silenzio assenso sulla richiesta di nulla osta
all’espulsione da parte dell’A.G., atteso che non sussisteva alcuna traccia della richiesta di nulla
asta.
Nei motivi aggiunti era stata richiamata una recente sentenza del Tribunale di Roma, che
aveva disapplicato il decreto di espulsione del Prefetto – e quindi assolto l’imputato per
insussistenza del fatto – in una situazione identica a quella dell’odierno imputato. Secondo
quella pronuncia, la normativa dettata dal D. L.vo 286 del 1998 differiva notevolmente dalla
disciplina comunitaria sia per la mancanza di gradualità, sia per la durata del divieto di
reingresso, sia per i casi in cui si prevede che, contestualmente all’ordine di espulsione, sia
emesso anche il divieto di reingresso, che la legislazione italiana prevede automaticamente.
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diretta della Direttiva dell’Unione Europea n. 215 del 2008 a far data dal 24/12/2010 e tenuto

Anche per la norma in questione vale il principio affermato dalla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, secondo cui la sanzione penale non può essere adottata quando lo Stato
deve attivarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, atteso che detta sanzione rischia
di compromettere la realizzazione dell’obbiettivo perseguito dalla Direttiva. Non vale, secondo
quella pronuncia, il principio

tempus regit actum

con riferimento ai provvedimenti

amministrativi che violassero la normativa comunitaria, anche se sopravvenuta; poiché
l’espulsione dello straniero non poteva più essere disposta secondo la procedura prevista dagli
artt. 13 e 14 D. L.vo 286 del 1998, non era sanzionabile penalmente il soggetto che non aveva

emanato sulla base di tali norme, perché ciò Io discriminerebbe rispetto ad altri soggetti
raggiunti oggi dal medesimo provvedimento e che non potrebbero essere puniti per la
violazione delle prescrizioni in esso contenute. La soluzione sarebbe anche in contrasto con il
principio di offensività.

Il ricorrente chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto
non è previsto dalla legge come reato o perché il fatto non sussiste o, in subordine,
l’annullamento con rinvio per carenza e/o manifesta illogicità della motivazione.
In un primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione al contenuto
della Direttiva dell’Unione Europea n. 115 del 2008.
Secondo il ricorrente, il richiamo alla nuova normativa introdotta dal d.l. n. 89 del 2011 e
al fatto che essa continua a sanzionare penalmente il divieto di reingresso è inconferente: se
dal 24/12/2010 la Direttiva aveva efficacia diretta nell’ordinamento italiano e se l’art. 13
comma 13 del D. L.vo 286 del 1998 contrastava con essa, tale norma dovrebbe essere
considerata abrogata o comunque disapplicata.
In ogni caso, l’assoluzione del ricorrente doveva essere disposta previa disapplicazione del
decreto di espulsione del Prefetto di Milano del 29/1/2010 per sopravvenuta illegittimità dello
stesso: infatti, poiché detto provvedimento costituisce il presupposto della fattispecie
incriminatrice, per configurare la responsabilità penale per il reato contestato esso deve essere
legittimo ed efficace anche al momento della commissione del fatto; e la disciplina dettata dal
D. L.vo 286 del 1998 prima della riforma del 2011 violava in più punti la Direttiva, tra cui
quello della durata del divieto di reingresso.
Il principio della necessità di disapplicare i provvedimenti amministrativi divenuti illegittimi
per sopravvenuto contrasto con la disciplina comunitaria nel giudizio riguardante la legittimità
della sanzione penale irrogata per l’inosservanza delle norme nazionali è stato affermato dalla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Né, secondo il ricorrente, si può sostenere che gli effetti
del decreto di espulsione siano esauriti con la sua emanazione: esso, infatti, è il presupposto
amministrativo di fattispecie penale e, quindi, continua a produrre effetti. Le norme procedurali
concernenti l’emanazione del decreto di espulsione devono ritenersi norme extrapenali
integratrici del precetto penale e, quindi, in base alla sopravvenienza della normativa
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ottemperato alle prescrizioni contenute in un precedente provvedimento amministrativo

comunitaria incompatibile con la normativa interna, deve trovare applicazione l’art. 2, comma
2, codice penale.
La Corte territoriale aveva, quindi, errato nel ritenere insussistente il contrasto con la
normativa europea, atteso che il ricorrente è rientrato in Italia solo otto mesi dopo l’avvenuta
espulsione: aveva, infatti, ignorato gli altri elementi di illegittimità del decreto e aveva ritenuto
che l’avvenuto reingresso dopo otto mesi potesse sanare l’illegittimità del decreto di espulsione
determinata dalla previsione di un divieto di reingresso per un periodo di dieci anni.
In un secondo motivo il ricorrente deduce la mancanza e/o manifesta illogicità della

mancata richiesta del nulla osta all’espulsione all’A.G. che indagava sul furto di auto per il
quale il Ndoj era stato denunciato nel 2007: la Corte, di fronte al motivo di gravame che
sottolineava la mancanza della prova della richiesta del nulla osta, avrebbe dovuto chiedere
all’Autorità amministrativa detta prova, mentre la motivazione si risolveva in una petizione di
principio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che la condotta di reingresso, senza
autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario, già destinatario di un
provvedimento di rimpatrio, ha conservato rilevanza penale pur dopo l’emissione della direttiva
2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea del 16 dicembre 2008 e la
conseguente pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso El Dridi, perché i
principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini
della valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione (Sez. 1, n. 35871
del 25/05/2012 dep. 19/09/2012, Pg in proc. Mejdi, Rv. 253353); l’unico punto in cui si
registra il contrasto con la citata Direttiva è quello del termine fissato per il divieto di
reingresso, che non può essere superiore a cinque anni, ai sensi dell’art. 11, par. 2, della
direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che ha acquisito diretta efficacia
nell’ordinamento nazionale a partire dal 25 dicembre 2010 per mancato adeguamento della
citata direttiva: di conseguenza, il reingresso nel territorio dello Stato del soggetto già espulso
che abbia a verificarsi oltre il termine di cinque anni dall’avvenuta espulsione deve ritenersi
condotta non più prevista come reato,/ (Sez. 1, n. 14276 del 12/04/2012 – dep. 16/04/2012,
P.G. in proc. Khemiri, Rv. 252235)’non si tratta, comunque, del caso dell’imputato.

L’interpretazione della Direttiva dell’Unione proposta in ricorso non convince: in
particolare, si deve escludere che il principio per cui la sanzione penale non può essere
applicata quando lo Stato deve attivarsi per eseguire il rimpatrio (principio in base al quale è
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motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., con riferimento alla

stata dichiarata la contrarietà all’ordinamento UE dell’art. 14 comma 5 ter D. L.vo 286/98) si
applichi anche all’ingresso seguito all’espulsione e al rientro. La Direttiva prevede
esplicitamente che il rimpatrio forzato possa essere corredato da un contestuale divieto di
ingresso: un “divieto” permette senza dubbio una “sanzione” per la violazione del divieto; né la
legge, che prevede sempre il divieto di reingresso in caso di espulsione, contrasta con la
Direttiva, che rende obbligatorio il divieto di reingresso in due casi e facoltizza gli Stati a porlo
in altre circostanze.

che gli Stati membri decidano di porre fine al soggiorno regolare e dispongano
contestualmente il rimpatrio e/o l’allontanamento e/o il divieto d’ingresso in un’unica decisione
o atto amministrativo o giudiziario in conformità della legislazione nazionale, fatte salve le
garanzie procedurali previste dal capo III e da altre pertinenti disposizioni del diritto
comunitario e nazionale”.

Esattamente, poi, la Corte territoriale distingue tra le condotte di cui all’art. 14 comma 5
ter e quelle di cui all’art. 13, comma 13 D. L.vo 286 del 1998, in quanto il presupposto che dà
origine alla violazione non è l’avvenuta condanna per un fatto non più previsto come reato, ma
un atto (il provvedimento di espulsione in sé) i cui effetti, al momento del rientro dell’imputato
in Italia, erano ormai definiti.
In effetti, il divieto di reingresso, per scelta del legislatore è stabilito direttamente dalla
legge, lasciando ora la normativa al Prefetto la discrezionalità di determinarlo nella durata.

2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato: sia perché, appunto, gli effetti del
decreto di espulsione, al momento del reingresso nel territorio nazionale, erano ormai esauriti,
sia perché la Corte territoriale, con motivazione niente affatto illogica, giunge alla conclusione
che, nei sette giorni successivi alla richiesta di nulla osta, l’A.G. che indagava sul reato nei
confronti del Ndoj non aveva provveduto sulla richiesta di nulla osta, così formandosi il silenzio
assenso previsto dall’art. 13, comma 3 D. L.vo 286 del 1998.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 27 novembre 2012

Il Consigliere estensore ,

Il Presidente

L’art. 6, comma 6, della Direttiva stabilisce infatti: ” 6. La presente direttiva non osta a

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