Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5989 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5989 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 23/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Spada Esterina, nata il 14.4.1980; Piccolo Giuseppina,
nata il 10.9.1961, avverso la ordinanza del Tribunale della libertà di Napoli,
del 29.7.2013. Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di
Marzio; udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Sante Spinaci,
sul rigetto dei ricorsi. Udito il difensore di Piccolo Giuseppina, avv. Rosario
Marino, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Napoli, decidendo sulle
istanze di riesame nell’interesse di Spada Esterina e Piccolo Giuseppina
avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – che
aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere per la Spada e
quella degli arresti domiciliari per la Piccolo – ha rigettato le impugnative.
Nel ricorso presentato dalla Spada si contesta violazione di legge nonché
vizio di motivazione circa il giudizio sulla sussistenza di un grave quadro
indiziario in ordine alle imputazioni contestate, essendo stato tale giudizio
fondato sulle dichiarazioni della persona offesa (denunciate dalla ricorrente

come inaffidabili e prive di scontri), nonché dal riconoscimento fotografico
effettuato sempre dalla persona offesa: il quale riconoscimento – mai
accompagnato, come invece si afferma nel provvedimento impugnato, da un
riconoscimento personale – e comunque svoltosi senza il rispetto di
elementare esigenza di tutela del diritto di difesa, non avrebbe in ogni caso
potuto essere posto a fondamento della decisione, non costituendo prova
bensì un puro atto d’indagine finalizzato ad orientare l’investigazione.

valore probatorio del riconoscimento fotografico, la ricorrente eccepisce
l’illegittimità costituzionale dell’art. 361 cod. proc. pen. nella parte in cui non
prevede la inutilizzabilità nella fase preliminare del procedimento e al fine di
pronunciare una misura cautelare della individuazione fotografica, che in
null’altro si risolverebbe se non in un mero atto orientativo delle indagini.
Una ulteriore doglianza è svolta sulla violazione di legge consistente nella
mancata indicazione delle esigenze cautelari da assicurare con la misura
adottata.
Nel ricorso presentato da Piccolo Giuseppina (ulteriormente argomentato nella
memoria depositata in data 15.1.2014) si eccepiscono violazione di legge e
vizio di motivazione con riguardo al giudizio sulla gravità indiziaria circa la
commissione dei reati ascritti, particolarmente criticando il rilievo dato dai
giudici al contatto telefonico con la coindagata nella imminenza della
perpetrata rapina.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte
dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla
libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui

Dichiaratasi consapevole del consolidato orientamento giurisprudenziale sul

presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Il Collegio ritiene di dovere riaffermare in questa sede il principio, espresso da

19.7.2012,n. per il quale “le regole dettate dall’art. 192 cod. proc. pen.,
comma 3, non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della
parte offesa: queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a
base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e
dell’attendibilità intrinseca del racconto (cfr. ex multis e tra le più recenti Sez.
4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del
03/05/2011, C, Rv.251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/2010, dep. 2011, L. C,
Rv. 249136;Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524). Il vaglio
positivo dell’attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso
rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone, di talchè tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di
prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità
oggettiva e soggettiva. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali
dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita
parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui
soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato
(Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162
del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755). Costituisce, infine, principio
incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la
valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una
questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio
motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di
legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr.
ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del
22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005,
Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca,
Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232)”.
Il tribunale – tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti gli

un consolidato indirizzo esegetico, e di recente ribadito da Cass. sez. un.

elementi emersi nel corso del processo – ha spiegato, con iter argomentativo
esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente ancorato all’esame
delle singole emergenze processuali, le ragioni per le quali le dichiarazioni
rese dalla persona offesa dal reato sono da ritenere intrinsecamente e
oggettivamente attendibili (rilevando in particolare il breve lasso temporale
trascorso tra fatti e dichiarazioni rilasciate, la descrizione delle stesse delle
fattezze semantiche di due rapinatori) e trovano univoci e significativi

particolare nel ritrovamento presso l’abitazione dell’indagata di una
autovettura in tutto simile a quella utilizzata per la fuga dai rapinatori e
notata e descritta dalla persona offesa.
Segnalano inoltre i giudici del merito, a conforto della deposizione della
persona offesa, l’intervenuto riconoscimento fotografico e la individuazione
personale dell’indagata ad opera ancora della persona offesa.
Nel ricorso si contesta che sia mai avvenuta la individuazione personale, ma
con affermazione generica e nessun modo argomentata, come invece avrebbe
dovuto essere affermandosi un dato di fatto opposto a quello affermato
nell’ordinanza.
Quanto al riconoscimento fotografico, è sufficiente richiamare la
giurisprudenza di questa corte per cui l’individuazione fotografica, pur se
ribadita in dibattimento, può essere determinante, anche in difetto di ulteriori
riscontri, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al
fatto contestato, soltanto quando presenti caratteri di certezza assoluta e
risulti ancorata non soltanto a mere rappresentazioni o sensazioni del
dichiarante, ma ad elementi oggettivi (Cass. sez. II, 16.10.2012, n. 45787),
segnalare come ciò possa essere tanto più agevolmente sostenuto nel giudizio
cautelare, limitato alla valutazione della sussistenza della gravità indiziaria;
annotare infine che nel presente giudizio il riconoscimento fotografico è
peraltro utilizzato nell’ambito di ben più vasto compendio indiziario
logicamente ricostruito nel provvedimento impugnato.
Ne discendono l’irrilevanza, ma anche la manifesta infondatezza, della
sollevata questione di legittimità costituzionale, implausibilmente argomentata
con riguardo alla indimostrata lesione del diritto di difesa.
Manifestamente infondata è pure la doglianza circa il giudizio di adeguatezza
proporzionalità della misura cautelare adottata rispetto ai fatti in
contestazione, avendo il tribunale espressamente e dettagliatamente motivato
circa la gravità del fatto di reato per come emerso dalle indagini e circa la

elementi di convergenza negli altri elementi investigativi acquisiti e, in

personalità negative sul trasgressiva mostrata da entrambe le indagate
secondo quanto dettagliatamente illustrato alle pagine 2-3 del provvedimento
impugnato.
Anche con riguardo alla ricorso della Piccolo vale quanto esposto in ordine al
valore probatorio delle dichiarazioni rese dalla persona offesa; deve solo
aggiungersi che, quanto al contenuto delle stesse, del tutto logicamente il
tribunale abbia ritenuto di desumerne un quadro di sufficiente gravità

In tal senso i riferimenti della teste alla pregressa conoscenza con la
ricorrente, alla consapevolezza da parte di quest’ultima circa la presenza di
valori nella abitazione, all’atteggiamento mostrato dell’indagata in occasione e
successivamente ai fatti, e in particolare alla telefonata avvenuta tra le
indagate soltanto un’ora prima della rapina e della quale le stesse non hanno
fornito alcuna logica spiegazione.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna delle ricorrenti al
pagamento delle spese processuali nonché ciascuna al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dai ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuna al versamento della somma di euro 1000,00 in
favore della Cassa delle ammende. Si provveda ai sensi dell’art. 94, comma 1
ter disp. att. cod. proc. pen. nei confronti di Spada Esterina
Così deliberato il 23.1.2014

indiziaria circa la partecipazione dell’indagata ai delitti oggetto di imputazione.

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