Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5973 del 04/12/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5973 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIRIELLO MASSIMILIANO N. IL 03/06/1970
avverso l’ordinanza n. 429/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
18/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/sete le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

C9A; e,Ktc•

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Data Udienza: 04/12/2014

Ritenuto in fatto.
1.11 18 dicembre 2012, la Corte d’appello di Milano, in funzione di giudice

dell’esecuzione, rigettava l’istanza formulata da Massimiliano Ciriello, volta ad
ottenere il riconoscimento dell’attenuante del “fatto di lieve entità” in relazione al
delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione alla luce della declaratoria di
incostituzionalità dell’art. 630 c.p. nella parte in <> (sentenza n. 68 del 23 marzo 2012).
Il giudice dell’esecuzione osservava che, nel caso di specie, l’accoglimento della
domanda avrebbe comportato una non consentita nuova valutazione nel merito
circa la configurabilità di una circostanza attenuante, non prevista all’epoca del
giudizio di cognizione e che al giudice dell’esecuzione era preclusa nuova qualsiasi
valutazione del fatto.
2.Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite
il difensore di fiducia, Ciriello, il quale, anche mediante una memoria difensiva,
lamenta violazione ed erronea applicazione della legge penale e vizio della
motivazione, osservando, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità
anche a Sezioni Unite (Sez. U., n. 18821 del 24 ottobre 2013; Sez. U., n. 34472 del
19 aprile 2012; Sez. 1, n. 977 del 27 ottobre 2010), che, in coerenza con la funzione
rieducativa della pena sancita dall’art. 27 Cost., nessuno può essere tenuto a
scontare una sanzione, o frazione di essa, dichiarata costituzionalmente illegittima e
che lo strumento e che, in sede esecutiva, lo strumento giuridico cui occorre riferirsi
a tal fine non è quello dell’art. 673 c.p.p., bensì quello disciplinato dall’art. 30 della
legge n. 87 del 1953. In coerenza con tale impostazione il giudice dell’esecuzione
avrebbe dovuto verificare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento
dell’attenuante invocata, tenuto conto dei seguenti elementi già risultanti dalla
sentenza di condanna: durata del sequestro pari a circa 13 ore; accompagnamento a
casa dell’ostaggio da parte dei sequestratori; omessa esibizione di parti alla parte
offesa; rassicurazioni fornite a quest’ultima circa una pronta liberazione; rispetto
mostrato nei confronti della persona presa in ostaggio, trattata sempre con modi
gentili, sicché questa, per sua stessa ammissione, aveva avuto l’impressione di non
avere nulla da temere.

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circostanze dell’azione ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il

Osserva in diritto.

Il ricorso è fondato.
1.L’esecuzione della pena implica l’esistenza di un rapporto esecutivo che nasce
dal giudicato e si esaurisce soltanto con la consumazione o l’estinzione della pena.
Fino a quanto l’esecuzione della pena è in atto, quindi, il rapporto esecutivo non

illegittima sono ancora perduranti e debbono essere rimossi dal giudice
dell’esecuzione, cui è affidato il compito di decidere con efficacia giurisdizionale
su ogni questione inerente al rapporto esecutivo (Sez. U., n. 4687 del 20 dicembre
2005).
2.La declaratoria d’illegittimità costituzionale di una norma inficia fin
dall’origine la disposizione impugnata, affetta da un’invalidità originaria, determina
la cessazione di efficacia della norma che ne è oggetto (nella sua integralità o in
parte) e fa sorgere l’obbligo per il giudice, davanti al quale viene invocata la norma
di legge dichiarata illegittima, di non applicarla, salvo che si versi in un caso di
rapporto esaurito in modo definitivo e irrevocabile e non più suscettibile di alcuna
azione o rimedio (Corte Cost., sent. n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970). In altri
termini, la declaratoria d’incostituzionalità (integrale o parziale) di una norma ha
efficacia invalidante e non abrogativa (Sez. U., n. 7232 del 7 luglio 1984) e si
proietta sugli effetti ancora in corso di rapporti giuridici pregressi, già disciplinati
dalla norma dichiarata incostituzionale che, in quanto geneticamente invalida, viene
definitivamente espunta dall’ordinamento.
3.Tali principi, validi per tutti gli ambiti dell’ordinamento, hanno in campo
penale una portata ben maggiore in forza del disposto dell’art. 30, comma quarto,
della legge n. 87 del 1953 che, in attuazione del principio dettato dall’art. 25,
secondo comma della Costituzione, dispone che, <>.
Il suddetto art. 30 della I. n. 87 del 1953 si riferisce alle sole norme sostanziali,
per tali dovendosi intendere quelle che correlano la previsione di una sanzione ad
uno specifico comportamento e che stabiliscono una differenza di pena in
conseguenza di una determinata condotta.
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può ritenersi esaurito e gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente

Come recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 22166
del 29 maggio 2014), all’operatività dell’art. 30 della 1. n. 87 del 1953 non è di
ostacolo il giudicato, atteso che tutto l’ordinamento è decisamente orientato a non
tenerne conto ogniqualvolta dal giudicato resterebbe sacrificato il buon diritto del
cittadino (Corte Cost., sent. n. 115 del 1987, n. 267 del 1987; Sez. U., n. 18821 del
24 ottobre 2013). Ne consegue che la conformità della pena a legalità in fase
esecutiva deve ritenersi costantemente sub iudice, non essendo tollerabile che uno

Carta fondamentale (Corte Cost. sent. n. 210 del 2013).
I suddetti principi di diritto hanno una valenza generale e comprendono l’ipotesi,
come quella in esame, in cui, per effetto della declaratoria, sia pure parziale,
d’illegittimità costituzionale di una norma penale sostanziale, sia in atto
l’esecuzione di una pena che si riveli “illegittima”. Rispetto a questa situazioni non
può, quindi, essere invocato l’avvenuto esaurimento del rapporto.
4.In base alle considerazioni sinora svolte, l’ordinanza impugnata non ha fatto
corretta applicazione dei principi in precedenza illustrati sotto plurimi profili.
Innanzitutto ha omesso di considerare la portata della declaratoria
d’incostituzionalità, sia pure parziale, di una norma, i suoi effetti, la sua valenza
rispetto ad una norma penale sostanziale che ha comportato l’applicazione di un
determinato trattamento sanzionatorio ancora in corso di espiazione. A tale ultimo
proposito occorre precisare che il limite non discutibile di “insensibilità” del
giudicato anche alla situazione di sopravvenuta declaratoria di illegittimità
costituzionale della norma applicata è costituito dalla non reversibilità degli effetti,
giacché l’art. 30 della legge n. 87 del 1953 impone di rimuovere tutti gli effetti
pregiudizievoli del giudicato non divenuti nel frattempo irreversibili, ossia quelli
che non possono essere rimossi, perché già “consumati”, come nel caso di
condannato che abbia già scontato la pena
In secondo luogo ha impropriamente evocato l’art. 673 c.p.p. piuttosto che l’art.
30 della legge n. 87 del 1953 quale strumento per dare concreta attuazione alla
dichiarazione d’incostituzionalità di una norma. Al riguardo occorre evidenziare
che l’art. 673 c.p.p. prevede che il giudice dell’esecuzione revochi la sentenza di
condanna irrevocabile e, quindi, determina la cancellazione del dictum del giudice
della cognizione, incidendo direttamente sul giudicato. L’art. 30 della legge n. 87
del 1953, al contrario, esaurisce la sua valenza demolitoria sull’esecuzione della
3

Stato democratico di diritto assista inerte all’esecuzione di pene non conformi alla

sentenza, invalidandone parzialmente il titolo esecutivo, senza alcuna efficacia
risolutiva della decisione divenuta irrevocabile (Corte cost., sentenze n. 230 del
2012 e n. 96 del 1996). L’art. 30, dunque, copre uno spettro più ampio rispetto allo
specifico potere concesso dall’art. 673 c.p.p., limitato al venir meno della
fattispecie criminosa.
L’ordinanza impugnata ha, inoltre, attribuito una diversa valenza alla
declaratoria d’incostituzionalità di una circostanza aggravante che ha

in corso, rispetto alla declaratoria d’incostituzionalità di una norma nella parte in
cui esclude l’astratta configurabilità di una circostanza attenuante, omettendo di
considerare l’identità di ratio sottesa alle due situazioni, entrambe idonee a incidere
sulla legalità di una pena ancora in corso di espiazione.
La mancata attribuzione di rilevanza alla circostanze attenuante del “fatto di
lieve entità” per effetto della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 630 c.p. con
pronunzia esplicante i suoi effetti

ex tune,

determinerebbe conseguenze

manifestamente irragionevoli sul piano sanzionatorio. Non sarebbe, inoltre,
rispettosa del principio di proporzionalità della pena (art. 27, terzo comma, Cost.),
in quanto la preclusione della rilevanza della circostanza attenuante realizzerebbe
«una deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività
commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione
della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo
finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al
caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze» (Corte Cost.
sent., n. 183 del 2011)
Il provvedimento oggetto del ricorso contiene, poi, rilievi non corretti in ordine
alle attribuzioni del giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo – come ha osservato la
Corte Costituzionale (sent. n. 210 del 2013) – <

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