Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5925 del 22/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5925 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA

IL

7

r1

27 , 4

sul ricorso proposto da
BUONOCORE Antonio, nato a Quarto il 27/12/1961
avverso l’ordinanza del 16/9/2013 del Tribunale di Napoli,

che ha respinto

l’istanza di riesame proposta dal Sig. Buonocore, quale legale rappresentante
della “Petrinum Estrazione S.r.l.”, avverso il decreto di sequestro preventivo di
un’area ubicata in territorio del Comune di Mondragone (foglio 10, particella 121
del Catasto) emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale in sede in
data 12/6/2013 in relazione al reato ex art.256 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Pier Giacinto Di Fiore di Noia, che ha concluso
chiedendo accogliersi il ricorso .
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16/9/2013 il Tribunale di Napoli ha respinto l’istanza di
riesame proposta dal Sig. Buonocore, quale legale rappresentante della
“Petrinum Estrazione S.r.l.”, avverso il decreto di sequestro preventivo di un’area
ubicata in territorio del Comune di Mondragone (foglio 10, particella 121 del

Data Udienza: 22/01/2014

Catasto) emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale in sede in
data 12/6/2013 in relazione al reato ex art.256 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152.
Osserva il Tribunale che l’area interessata dal sequestro era stata in
passato utilizzata come cava, oggi dismessa; osserva, ancora, che nell’area e nel
sottosuolo della stessa sono stati rinvenuto molteplici materiali, fra cui materiali
contenenti cemento amianto (eternit), definitivamente smaltiti in assenza di
qualsiasi autorizzazione. Su tale base il Pubblico ministero in sede aveva
inizialmente ordinato il sequestro dell’area, qualificata come discarica abusiva; il

motivazione; a seguito dell’annullamento il Pubblico ministero aveva
nuovamente disposto il sequestro e sottoposto al Giudice delle indagini
preliminari il proprio decreto per la convalida, disposta dal giudice in data
12/6/2013 e seguita dall’emissione di autonomo decreto di sequestro preventivo.
Osserva, ancora, che la circostanza che il sito sia stato dichiarato non
contaminato dall’Arpac (difettando peraltro nella documentazione difensiva ogni
riferimento ai dati catastali e sussistendo così dubbi sulla riferibilità del
provvedimento amministrativo all’area in questione) non toglie che si sia in
presenza del “fumus” di reato, quale emerge dalla natura composita dei rifiuti
presenti, dalla molteplicità degli stessi, dalla presenza di rifiuti contenenti
amianto, dalle modalità di abbandono dei rifiuti che depongono per la definitività
dello stesso, dal degrado dell’area e dall’assenza di qualsiasi titolo abilitativo.
Palesi appaiono, infine, le esigenze cautelari attesi i rischi derivanti dalla libera
disponibilità dell’area e dalla obbligatoria confisca dell’area in caso di
accertamento di reato.
2. Avverso tal decisione propone ricorso il sig. Buonocore tramite il
Difensore, in sintesi lamentando:
errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. Difetta nel caso in
esame il necessario legame fra la cosa sequestrata e l’illecito ipotizzato, posto
che la relazione ARPAC depositata qualifica il sito come non contaminato e sul
punto il provvedimento impugnato omette ogni motivazione, così che deve
essere annullato sia per carenza dei presupposti della misura cautelare sia per
difetto assoluto di motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene che il ricorso non meriti accoglimento.
Come stabilito da questa Sezione con la sentenza n.32707 del 18 marzo
2013, Rubegni, il reato di realizzazione di discarica abusiva non implica

2

relativo decreto era stato annullato dal tribunale de riesame per difetto di

necessariamente l’esistenza di contaminazione del suolo rilevante ai fini della
obbligatoria bonifica. Sul punto appare univoca la disciplina del d.lgs. 13/1/2006
n.36, che fissa in modo chiaro i presupposti della legittima attività di
apprestamento, realizzazione e gestione della discarica, ivi comprese le
procedure di chiusura della discarica stessa e di ripristino ambientale; tali
presupposti rendono evidente la differenza esistente fra le previsioni degli
artt.255 e 256 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 (ipotesi di abbandono illecito dei
rifiuti e di realizzazione e gestione di una discarica) e quelle contenute

dei siti, di obbligo di segnalazione e attivazione e di responsabilità in caso di
omessa attivazione per la bonifica degli stessi.
2. Non vi è dubbio, dunque, che la mancanza di “contaminazione” di un sito,
quale emerge secondo il ricorrente dalla documentazione Arpac prodotta, non
priva di rilevanza la diversa circostanza, in sé non contestata coi motivi di
ricorso, che all’interno dell’area di cava fossero presenti rifiuti abbandonati in
modo indiscriminato e che fra tali rifiuti vi fossero lastre di cemento-amianto
(eternit); si tratta di circostanza che secondo il Giudice delle indagini preliminari
e il Tribunale, con giudizio di fatto non sindacabile in questa sede, presentano
caratteristiche di degrado tali da integrare l’ipotesi di realizzazione illecita di una
discarica.
3. Se questa è la situazione emergente nella fase iniziale delle indagini, tale
da giustificare il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari come sviluppato
nella parte conclusiva dell’ordinanza impugnata, spetterà al prosieguo delle
indagini approfondire la situazione di fatto e verificare l’incidenza degli atti
amministrativi cui il ricorrente si riferisce, così che sarà possibile al ricorrente
stesso sollecitare un provvedimento di restituzione dell’area qualora ne
sussistano i presupposti.
4. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere
respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/1/2014

nell’art.257 della medesima legge, che disciplinano l’ipotesi di contaminazione

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