Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5916 del 22/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5916 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

VISKOVIC Dario, nato a Trieste il 1/11/1965
avverso la sentenza del 10/7/2013 della Corte di appello di Trieste, che, in
parziale riforma della sentenza emessa in data 19/2/2013 al termine di rito
abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale in sede, ha
confermato il giudizio di responsabilità per il reato previsto dagli artt.81 cod.
pen. e 73, riconosciuta l’ipotesi di cui al comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n.309, commesso nelle date del 13 agosto e del 15 settembre 2012, con recidiva
ex art.99 cod. pen.; la Corte di appello ha quindi ridotto la pena a un anno e sei
mesi di reclusione e 3.000,00 euro di multa e rigettato la censura relativa alla
mancata sostituzione della pena detentiva con la misura del lavoro di pubblica
utilità;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Maurizio Cochi, che ha concluso chiedendo accogliersi
il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 22/01/2014

1. Con sentenza del 10/7/2013 la Corte di appello di Trieste, in parziale
riforma della sentenza emessa in data 19/2/2013 al termine di rito abbreviato
dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale in sede, ha confermato il
giudizio di responsabilità per il reato previsto dagli artt.81 cod. pen. e 73,
riconosciuta l’ipotesi di cui al comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309,
commesso nelle date del 13 agosto e del 15 settembre 2012, con recidiva ex
art.99 cod. pen.; la Corte di appello ha quindi ridotto la pena a un anno e sei
mesi di reclusione e 3.000,00 euro di multa e rigettato la censura relativa alla

utilità.
2. Avverso tale decisione il sig. Viskovic propone ricorso personalmente in
sintesi lamentando:
Vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. in relazione alla
mancata sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica
utilità: i giudici di merito hanno valutato fatti e condotte risalenti nel tempo e
omesso di considerare che nel recente passato e nell’attualità il ricorrente ha
puntualmente rispettato gli obblighi derivanti dagli arresti presso il domicilio e ha
positivamente seguito il programma di recupero, ivi compreso lo svolgimento di
attività di pubblica utilità, tanto che a far data dal mese di luglio 2013 gli arresti
domiciliari sono stati sostituti dalla stessa Corte di appello con quelli dell’obbligo
di dimora: si tratta di circostanze inconciliabili col giudizio negativo formulato su
una realtà ormai superata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva la Corte che il ricorrente propone censure che introducono
contestazioni in punto di fatto e che sollecitano la Corte a rivisitare le valutazioni
operate nel merito dal giudicante; si tratta di richieste estranee al giudizio di
legittimità alla luce di quanto affermato dalla costante giurisprudenza, secondo
cui è “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza
n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
2. Appare evidente alla Corte che gli elementi portati a giustificazione della
censura del ricorrente (e peraltro non documentati) sono stati giudicati dalla
Corte di appello soccombenti rispetto alla complessiva condotta e alla vita
anteatta del sig. Viskovic. Gli argomenti posti a fondamento della decisione
adotta dalla Corte di appello non possono essere qualificati né privi di rilevanza
obiettiva né viziati sul piano logico, con la conseguenza che questa Corte non

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mancata sostituzione della pena detentiva con la misura del lavoro di pubblica

può sostituire la propria valutazione di merito a quella effettuata con la sentenza
impugnata.
3. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere
respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/1/2014

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