Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5912 del 22/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5912 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
MORETTI Domenico, nato a Santa Maria Imbaro il 21/11/1963
DI PAOLO Giovanni, nato a Fossacesia il 3/7/1950
PASQUINI Nicola, nato a Lanciano il 3/2/1950
CARAVAGGIO Giuseppe, nato a Lanciano il 5/9/1973
CARAVAGGIO Alessandro, nato a Lanciano il 11/3/1975
PASQUINI Anna Maria, nata a Lanciano il 19/12/1956
avverso la sentenza del 30/11/2012 della Corte di appello di L’Aquila che, in
parziale riforma della sentenza emessa il 17/11/2010 dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Lanciano, ha:

Dichiarato non doversi procedere in ordine al capo C nei confronti di Nicola
Pasquini per essere il reato estinto per prescrizione;

Rideterminato la pena nei confronti del medesimo in ordine al capo A nella
misura, concesse le circostanze attenuanti generiche, di un mese e dieci
giorni di arresto e 20.000,00 euro di ammenda;

Confermato nel resto la sentenza di primo grado e condannato i rimanenti
imputati al pagamento delle spese processuali;

Data Udienza: 22/01/2014

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza senza rinvio per
prescrizione dei reati;
uditi per gli imputati gli avv. Nicola Sisti Antonio, Marco Di Domenico, Tito
Codagnone e Giuliano Milia, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei

RITENUTO IN FATTO
1. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano promosse
l’azione penale nei confronti degli odierni ricorrenti perché rispondessero:
i siag. Caravaggio quali originari proprietari del terreno e sottoscrittori della
D.i.a. depositata il 2/9/2004;
Nicola Pasquini quale progettista e direttore dei lavori;
Anna Maria Pasquini quale acquirente del terreno,titolare della D.i.a. e del
permesso di costruire n.47 del 27/4/2005;
Giuseppe D’Amico quale proprietario del terreno a far data dal 19/9/2006 e
titolare del permesso di costruire trasferito col terreno, nonché esecutore delle
opere;
Giovanni Moretti quale responsabile del procedimento e tecnico che ha concorso
al rilascio del permesso di costruire;
Giovanni Di Paolo quale responsabile del 4° settore dell’ente territoriale e quale
tecnico che ha concorso al rilascio del permesso di costruire;
dei seguenti reati:
tutti
A) Artt.110 cod. pen. e 44, lett.a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 in
relazione alla illecita realizzazione (art.67 e art.28 del P.R.G.) di un
immobile di 570 mc in area soggetta a vincolo paesaggistico e
ambientale; nell’ottobre 2007, con permanenza;
Moretti e Di Paolo
B) Artt.110 cod. pen. e 323 cod. pen. In relazione al rilascio del permesso di
costruire n.44 del 24/4/2005 avente ad oggetto la “ristrutturazione” di un
fabbricato in realtà inesistente su area soggetta a vincolo;
Nicola Pasquini
C) Art 481 cod. pen. in relazione alla falsa attestazione dello stato dei luoghi
contenuta nella relazione tecnica descrittiva da lui redatta.

2

rispettivi ricorsi.

2. Con sentenza in data 17/11/2010 emessa al temine di rito abbreviato,
previa effettuazione di perizia in ordine al procedimento amministrativo di
rilascio del permesso di costruire e al suo iter, il Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Lanciano ha dichiarato:
i sigg. Carvaggio e Anna Maria Pasquini colpevoli del reato contestato al capo A;
i sigg. Moretti e Di Paolo colpevoli dei reati contestati ai capi A e B, uniti dal
vincolo della continuazione;

della continuazione;
la falsità della relazione tecnica descrittiva e dello sviluppo planimetrico allegati
alla richiesta di concessione edilizia proposta dai sigg. Caravaggio;
3. Con sentenza del 30/11/2012 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale
riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare, ha:
Dichiarato non doversi procedere in ordine al capo C nei confronti di Nicola
Pasquini per essere il reato estinto per prescrizione;
Rideterminato la pena nei confronti del medesimo in ordine al capo A nella
misura, concesse le circostanze attenuanti generiche, di un mese e dieci
giorni di arresto e 20.000,00 euro di ammenda;
Confermato nel resto la sentenza di primo grado e condannato i rimanenti
imputati al pagamento delle spese processuali.
4. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso i sigg. Moretti, Di Paolo,
Nicola Pasquini, i sigg. Caravaggio, la sig.ra Anna Maria Pasquini.
4.1 – Con atto sottoscritto dall’avv.Nicola Antonio Sisti i sigg. Moretti

e Di Paolo in sintesi lamentano:
a.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. degli
artt.157 e 158 cod. pen. in relazione al reato ex art.44 del d.P.R. 6 giugno
2001, n.380: contrariamente all’assunto della Corte di appello che fissa
all’ottobre 2007 la data di consumazione della contravvenzione e le
attribuisce natura permanente, è palese che le condotte dei due tecnici si
esaurirono col rilascio del permesso, e dunque in data 27/4/2005 e che solo
per gli latri imputati si può ipotizzare una permanenza nel reato fino al
momento del sequestro penale, con la conseguenza che alla data del
30/11/2012 il reato risulta prescritto almeno nella parte contestata ai due
ricorrenti;

b.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. con
riferimento agli artt.3, comma 1, lett.d), e 44 del d.P.R. 6 giugno 2001,

3

il sig. Nicola Pasquini colpevole dei reati contestati ai capi A e C, unti dal vincolo

n.380 e delle disposizioni contenute nelle N.T.A. al P.R.G. In particolare i
ricorrenti evidenziano: 1) hanno sempre sostenuto di avere perseguito una
condotta attenta e prudente, sollecitando pareri e consulenze degli organi
tecnici regionali e di esperti legali prima di accedere alla interpretazione del
testo introdotto con la lett.d) dell’art.3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 in
tema di ristrutturazione e di modificare la valutazione negativa espressa in
data 8/3/2002 rispetto all’originaria richiesta dell’8/10/2001 di rilascio di
concessione edilizia; a fronte di tutto questo la sentenza della Corte di

censure difensive nella parte in cui sottolineano come la richiesta di pareri e il
successivo mutamento di indirizzo da parte degli indagati siano indicativi di
scrupolo e di buona fede e di come sia pienamente giustificato detto
mutamento di indirizzo; 2) difetta, poi, qualsiasi motivazione in ordine
all’elemento oggettivo del reato e agli elementi probatori che impongono di
ritenere preesistente un edificio rurale con caratteristiche tali da rientrare
nella previsione della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione;
c. errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. con
riferimento all’art.323 cod. pen. e vizio motivazionale ai sensi dell’art.606,
lett.e) cod.proc.pen.: la Corte di appello ha erroneamente qualificato il
permesso di costruire come un atto “macroscopicamente illecito” e
altrettanto erroneamente ha addebitato ai ricorrenti un spasmodica ricerca di
soluzione favorevole ai richiedenti, cioè due elementi in fatto assenti e
travisati e neppure “orientati” rispetto a una soluzione per la quale i ricorrenti
si sarebbero spesi senza alcun apparente motivo, motivo che la Corte di
appello non individua.
4.2 – Con atto a firma del ricorrente dell’avv. Marco M. Di Domenico,

il sig. Nicola Pasquini, dopo ampia ricostruzione della vicenda processuale
(pagg.1-15) nel corso della quale si insiste sul concetto di “preesistenza
giuridica” del rudere; si evidenzia che non vi fu alcuna falsa rappresentazione
della realtà in quanto la relazione tecnica comprende sia le fotografie storiche
rappresentanti l’immobile ancora integro sia quelle riproducenti la situazione
esistente al momento dell’avvio della procedura; si ribadisce che la sig.ra
Pasquini, che si è avvalsa dell’ausilio tecnico del ricorrente, è divenuta
proprietaria del fondo nell’anno 2004 e ha alienato la proprietà il 19/9/2006 e
non ha avuto alcun ruolo (e con lei il ricorrente) nella condotta edificatoria; in
sintesi lamenta:
a. errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. in
relazione all’art.44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e vizio motivazionale ai

4

appello (pagg.17 e 18) offre una motivazione illogica che non risponde alle

sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. per avvenuto travisamento della
prova. Premesso che non vi è stata contestazione di concorso nel reato
contestato al capo Bai pubblici funzionari e che nessun ruolo egli ha avuto
nell’attività di edificazione, che fu realizzata successivamente alla cessione
della proprietà da parte della sig.ra Pasquini, costituisce travisamento della
prova la conclusione della Corte di appello in ordine alla falsa
rappresentazione dei luoghi che il ricorrente avrebbe offerto nella propria
relazione, e ciò per i profili di fatto esposti alle pagg.21 e 22 del ricorso, non

che la Suprema Corte ha adottato nel 2007 in sede di controllo sulla misura
cautelare e che risulta superata dagli accertamenti dibattimentali. Così
accertato che il rudere esistente poteva essere ricondotto alle precedenti
condizioni sulla base della documentazioni fotografica e catastale esistente,
viene in luce l’art.35 delle N.T.A., citate, che autorizza espressamente tale
operazione in ipotesi che un edificio sia “fatiscente o distrutto da eventi
bellici”: si tratta di previsione non in contrasto con la disciplina contenuta
nell’art.3, lett.d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380;
b. errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio
motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen.

con riferimento

all’asserito concorso del ricorrente nel reato e alla ritenuta esistenza
dell’elemento soggettivo. Posto che durante la fase di proprietà della sig.ra
Pasquini (25/10/2004-19/9/2006) non furono eseguiti interventi edificatori,
avviati solo all’inizio dell’anno 2007 dagli acquirenti del terreno e nuovi
titolari del permesso di costruire, così che il ricorrente non ha mai svolto
attività di direttore dei lavori, il ricorrente esclude di avere in alcun modo
concorso alla realizzazione del reato sub A e lamenta come su tale profilo la
Corte di appello abbia omesso qualsiasi motivazione sulle ragioni di
corresponsabilità nel fatto altrui;
c.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e
violazione degli artt.157 cod. pen. e 529 cod. proc. pen. a seguito di errata
individuazione della consumazione del reato; posto che il ricorrente concorse
alla presentazione della D.i.a. del 2/9/2004 e ha operato successivamente
solo fino alla cessione dell’area da parte della sig.ra Pasquini (19/9/2006),
l’eventuale reato contestato al capo deve essere considerato prescritto alla
data del 30/11/2012: anche volendo applicare la disciplina attuale in tema di
prescrizione e calcolando il periodo di sospensione dei termini, fissato dai
giudici di merito in nove mesi e cinque giorni, il reato si è prescritto il
24/6/2012;

5

potendo tali circostanze essere superate mediante il richiamo alla decisione

d. vizio motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. in relazione
.

alla determinazione della pena.
4.3 – Con atto a firma dell’avv.Tito Codognone i sigg. Alessandro e

Giuseppe Caravaggio in sintesi lamentano:
a.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. con
riferimento agli artt.157 e 158 cod. pen. in relazione al reato sub A, per
avere i giudici di appello omesso di considerare che i ricorrenti, originari

rispettando l’ingiunzione dell’ente territoriale, e hanno quindi ceduto alla
sig.ra Pasquini il terreno prima che il Comune rilasciasse il permesso di
costruire, con la conseguenza che ogni condotta rilevante può dirsi cessata
per i ricorrenti alla data del 28/10/2004;
b.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio
motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen.

in relazione

all’elemento soggettivo del reato e alla sussistenza dei presupposti del
concorso di persone nel reato, posto che la sentenza collega la responsabilità
dei ricorrenti al solo elemento della loro originaria titolarità del terreno e
nessun contributo causale è stato individuato a loro carico rispetto alla
violazione edilizia.
4.4 – Con atto a firma dell’avv. Giuliano Milia la sig.ra Anna Maria

Pasquini, dopo ampia esposizione della vicenda processuale (pagg.1-17 del
ricorso) in sintesi lamenta:
a.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio
motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. nonché travisamento
della prova on riferimento all’elemento oggettivo del reato sub A. Difettano
tanto la falsa rappresentazione della realtà ad opera della relazione tecnica
dell’arch. Pasquini, che ha allegato sia le fotografie storiche rappresentanti
l’immobile ancora integro sia quelle riproducenti la situazione esistente al
momento dell’avvio della procedura, quanto la violazione dell’art.35 delle
N.T.A. al P.R.G. e dell’art.3, lett.d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380, quanto,
infine, ogni irregolarità nel rilascio del permesso di costruire;

b.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio
motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. con riferimento
all’elemento soggettivo del reato e del concorso nel reato altrui che, per il
capo A, ha avuto eventualmente avvio nel mese di febbraio 2007 e, dunque
successivamente alla cessione del terreno;

6

proprietari del terreno, non hanno dato corso ad alcuna opera edilizia, in ciò

c.

errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. degli
artt.157 cod. pen. e 529 cod. proc. pen. Si tratta di motivo di contenuto
identico al terzo motivo del sig. Pasquini;

d.

vizio motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. con riferimento
alla determinazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

ricostruzione operata in sede processuale dei pochi passaggi essenziali della
vicenda storica. Può sul punto ritenersi provato che:
a)

i sigg. Caravaggio, quali eredi del terreno interessato dalla contestazione, nel
mese di ottobre 2001 chiesero il rilascio di concessione per la fedele
ricostruzione di un fabbricato rurale in stato di abbandono; l’istanza era
corredata dai pareri favorevoli in relazione al vincolo gravante sulla zona e da
relazione tecnica dell’arch. Pasquini corredata da materiale fotografico;

b) tale istanza fu rigettata nel corso dell’anno 2002 dai responsabili del Comune
di Fossacesia, sigg. Di Paolo e Moretti;
c)

in data 2/9/2004 (nel frattempo entrata in vigore la disciplina del d.P.R. 6
giugno 2001, n.380) i sigg. Caravaggio depositarono D.i.a. con la quale
riproponevano l’intervento edificatorio non approvato due anni prima;

d)

con note del settembre e dicembre 2004 il Comune ha richiesto i pareri della
Regione Abruzzo e dell’Unione dei Comuni;

e)

nelle more, in data 25/10/2004 i sigg. Caravaggio hanno ceduto il terreno
alla sig.ra Pasquini;

f)

in data 27/4/2005 il Comune, alla luce dei pareri ricevuti, ha ritenuto di
autorizzare l’intervento mediante rilascio di permesso di costruire in favore
della nuova proprietaria;

g)

in data 19/9/2006 la sig.ra Pasquini ha ceduto il terreno, corredato di

1. L’esame degli articolati motivi di ricorso deve prendere le mosse dalla

permesso di costruire, alla “Edilizia Generale D’Amico S.r.l.”, e tale
trasferimento è stato comunicato al Comune in data 22/2/2007;
h)

in data 28/2/2007 la nuova proprietà ha comunicato al Comune il mutamento
della ditta incaricata di eseguire le opere;

i)

in data 14/12/2007 il cantiere è stato sottoposto a sequestro.
2. Movendo da tali premesse in fatto, la Corte ritiene di poter fissare alcuni

principi relativi all’applicazione della disciplina al caso in esame. In particolare:
I.

Il vincolo apposto sull’area interessata dall’intervento edilizio aveva
caratteristiche tali da precludere nuove costruzioni, con la conseguenza
che l’unica possibilità di realizzare un immobile sul terreno di proprietà

7

\,

Caravaggio era quella di prospettare la ristrutturazione integrale di un
edificio esistente o, come sostengono le difese, già esistente; prospettiva
che fu oggetto della istanza avanzata dai proprietari nell’anno 2001 e
motivatamente (e fondatamente aggiunge la Corte) rigettata nell’anno
2002;
II.

La disciplina introdotta col d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e successive
modifiche non risulta, quanto alle procedure di ristrutturazione, più
favorevole di quanto lo fosse la disciplina previgente per i richiedenti che

III.

Detta

disciplina,

tra

l’altro,

all’art.10

include

gli

interventi

di

ristrutturazione fra quelli che necessitano di permesso di costruire e che
non possono essere realizzati mediante semplice dichiarazione di inizio
attività, a dimostrazione della necessità di preventiva verifica da parte
dell’ente autorizzante (non a caso alla iniziale D.i.a. presentata dai sigg.
Caravaggio fece seguito il rilascio di permesso di costruire in favore della
sig.ra Pasquini);
IV.

Va, poi, rilevato che la lett.d) dell’art.3 ricomprende nella categoria della
ristrutturazione sia le modifiche parziali apportate a un edificio in essere
sia la “demolizione e ricostruzione” di un edificio esistente, ponendo però
il limite che l’edificio risultante dall’intervento abbia la stessa volumetria e
la stessa sagoma di quello preesistente (fatti salvi gli adeguamenti
antisismici);

V.

Si tratta, con ogni evidenza, di una tipologia di intervento non applicabile
alla situazione che caratterizzava il terreno dei sigg. Caravaggio, ove è
stata accertata la presenza di una sola porzione assai ridotta delle mura
perimetrali;

VI.

La conferma di questa valutazione può rinvenirsi nella circostanza,
accertata dai giudici di merito e non soggetta a concreta contestazione in
sede di impugnazione, che il tecnico della parte privata fece ricorso a
indicazioni fattuali non rispondenti al vero, in particolare riferendo
falsamente della presenza di tre porzioni di mura perimetrali (osservando
la Corte che si tratta di numero sufficiente per ricostruire la pianta
dell’edificio, la sua superficie in proiezione e, dunque, per porre le basi di
un eventuale calcolo volumetrico) e allegando la fotografia di un diverso
edificio agricolo dell’epoca (potenzialmente interpretabile come fotografia
dell’edificio specifico non più esistente), quale riferimento che poteva
prestarsi a definire le caratteristiche anche volumetriche dell’opera da
realizzare;
8

sollecitassero la edificazione integrale di un edificio;

VII.

Solo con la recente modifica apportata al citato art.3 del d.P.R. 6 giugno
2001, n.380 dall’art.30 della legge n.98 del 2013 è stata introdotta la
possibilità di qualificare come ristrutturazione anche interventi che
modifichino la sagoma dell’edificio esistente o che comportino attraverso
la loro ricostruzione il “ripristino” di edifici “eventualmente crollati o
demoliti”;

VIII.

Si tratta di disposizione che, diversamente da quanto sostenuto dai
ricorrenti con le memorie depositate a far data dal mese di luglio 2013, la

citato art.30, infatti, consente di procedere a ristrutturazione di edificio
crollato o demolito a condizione che “sia possibile accertarne la
preesistente consistenza”. La norma non chiarisce attraverso quali
strumenti detto accertamento possa o debba essere compiuto, ma la
Corte considera indubitabile che il sistema in vigore escluda si possa
ricorrere a fonti non documentali o comunque prive dei caratteri di
certezza e verificabilità. Depone per questa conclusione tutta la disciplina
che regola il procedimento che conduce al permesso di costruire E’
comunque evidente, nel nostro caso, che non sussistono i presupposti
affinché possa ricostruirsi la consistenza di superficie e volumetria
dell’immobile che si assume gravante sulla proprietà originariamente in
capo ai sigg. Caravaggio. Se tale ricostruzione fosse stata possibile, gli
elementi fondanti sarebbero stati certamente allegati alle istanze dei
privati e non si sarebbe fatto ricorso ad attestazioni non rispondenti al
vero come quelle fondanti la contestazione di reato sub C), della quale i
giudici di merito hanno ritenuto provata la sussistenza e per la quale è
stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per estinzione del
reato. Del resto, la presenza della porzione di una soltanto delle mura
perimetrali e l’assenza di documentazione circa la base e le dimensioni
dell’immobile ormai crollato da tempo non lasciano dubbi sull’assenza dei
presupposti del necessario accertamento richiesto dalla legge.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene di poter
pervenire a due conclusioni.
3.1. In primo luogo, vanno respinti i motivi di ricorso nella parte in cui
sostengono che il permesso di costruire fu rilasciato in modo legittimo e che
l’intervento edificatorio era consentito dalla disciplina entrata in vigore nell’anno
2003. Sul punto giova ricordare, ad abundantiam, che proprio le argomentazioni
introdotte con riferimento all’art.30 della legge n.98 del 2013 dimostrano come
la modifica apportata all’art.3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e la retroattività
della nuova disciplina siano oggi invocate dai ricorrente perché in grado di
9

Corte non ritiene applicabile al caso in esame. La previsione contenuta nel

escludere dalla sfera dell’illecito amministrativo e penale le condotte oggetto dei
capi di imputazione.
3.2. In secondo luogo, vanno respinti i motivi di ricorso che tendono a escludere
la consapevolezza dell’illecito in capo ai richiedenti l’autorizzazione e a coloro che
gestirono la vicenda per conto dell’ente comunale. Tale giudizio negativo si
impone alla Corte in presenza di normativa del 2001 non certo più favorevole e
di una richiesta di autorizzazione coincidente con quella già rigettata; in
presenza, altresì, di una prospettazione della realtà da parte del tecnico di parte

permesso di costruire rilasciato.
4.

Così fissate le ragioni che conducono a ritenere corretta e non

censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui individua i profili di
responsabilità dei sigg. Nicola Pasquini, Domenico Moretti e Giovanni Di Paolo,
debbono essere affrontate le censure mosse alla sentenza dai sigg. Caravaggio e
dalla sig.ra Anna Maria Pasquini. Sul punto giova premettere che il sig. Nicola
Pasquini operò come tecnico di parte sia in favore dei sigg. Caravaggio sia in
favore della sig.ra Pasquini, mentre non risulta avere svolto attività professionali
in favore dei successivi acquirenti.
5. Quanto ai sigg. Caravaggio si afferma in ricorso che ogni loro eventuale
responsabilità cesserebbe con la cessione del terreno, munito di pratica edilizia in
corso, e analoga impostazione è seguita dalla difesa di Anna Maria Pasquini. Si
tratta di affermazione che la Corte non condivide.
6. Come già la Corte ha avuto modo di considerare (Sez.3, n.23646 del
27/2/2013, Russo e altro), “le condotte di abusiva edificazione di un immobile
hanno carattere di permanenza che viene meno, in sintesi, o quando le condotte
cessano spontaneamente, o quando le opere edili vengono portate a ultimazione
o, infine, quando, si è in presenza di un provvedimento di sequestro che
interrompe effettivamente il rapporto di disponibilità del bene da parte
dell’autore delle condotte”.

Il tema oggetto della decisione era rappresentato

dall’incidenza dell’atto di sequestro sulla cessazione della permanenza
dell’edificazione e con riferimento a tale profilo la Corte ha esposto alcuni
argomenti che appaiono rilevanti anche per la presente decisione; in particolare
la motivazione affermava: “… Ciò significa che la sola circostanza che sia dia
corso al sequestro delle opere in atto non interrompe inevitabilmente il
continuum edificatorio e che l’eventuale violazione del sequestro al fine di
proseguire nella realizzazione delle opere può costituire sviluppo del progetto
criminoso e porsi in permanenza con quanto già realizzato. La natura
permanente di un processo edificatorio trova conferma nei principi fissati da

10

che è stata accertata infedele e che ha trovato, invece, accoglimento nel

Sez.3, n.25503 del 23/4/2009, Baldassarri e altro …. Nel caso in esame
sussistono condotte edificatorie che la contestazione provvisoria pone in
continuità con quelle già oggetto d’indagine e di provvedimento di sequestro,
così che la continuità edificatoria consente di ritenere sussistente una
“permanenza” non cessata alla data del sequestro del 2007; a ciò consegue che
le opere ulteriori accertate nel mese di novembre del 2011, dopo che nel maggio
dello stesso anno risulta rilasciata una autorizzazione che viene ritenuta
illegittima, potrebbero allo stato essere considerate in via di principio come

come condotte autonome (sul punto si rinvia per le diverse articolazioni a Sez. 3,
n.41079 del 20/09/2011, Latone, e n.340/2007, ud. 26/09/2006, P.M. in proc.
Pagliuca)”.
7.

L’adesione a tali principi conduce a ritenere che sussista una

progressione nella realizzazione dell’illecito, che muove dalla presentazione della
istanza di autorizzazione (nel caso in esame sotto forma di D.i.a.) e prosegue
fino al momento in cui non si verifica uno degli atti interruttivi che sono stati
sopra specificati e che, nel caso in esame, ha avuto luogo con l’atto di sequestro
che ha comportato la cessazione delle condotte di edificazione.
8.

L’applicazione dei principi ricordati non presenta particolari problemi

nell’ipotesi di reato monosoggettivo o di contestazione di una diretta e
contestuale cooperazione tra soggetti (ad esempio, nell’ipotesi di contestazione a
titolo di concorso di persone o di cooperazione colposa mossa a committente,
direttore lavori ed esecutori dei medesimi); merita, invece, un ulteriore
passaggio argomentativo allorché, come nel caso in esame, le condotte non
siano contestuali e si presentino possibili momenti di cesura.
9.

Ebbene, la Corte ritiene che il caso in esame costituisca un chiaro

esempio di come nelle violazioni ex art.44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 la
perdita del rapporto diretto con la cosa non comporti la cessazione di ogni profilo
di responsabilità. E’ circostanza di comune esperienza che la presenza di
un’autorizzazione o l’esistenza di una pratica volta a ottenerla, soprattutto se
ragionevole è la possibilità di successo, costituiscono circostanze rilevanti anche
sul piano patrimoniale allorché si procede a fissare il valore del terreno come
edificabile in sede di compravendita. Sotto diverso profilo, deve ritenersi
indiscutibile che il trasferimento di un terreno edificabile su cui si sta ottenendo,
o si è ottenuto, il rilascio di permesso di costruire costituisce la premessa in fatto
e la condizione giuridica affinché l’acquirente possa procedere alla realizzazione
delle opere oggetto della procedura autorizzatoria. Il che conduce a ritenere che
nell’ipotesi di gestione di una pratica edilizia viziata da illegittimità, quale quella
in esame, sussiste un “continuum” storico e giuridico nel percorso che conduce

11

prosecuzione del processo edifica tono che insiste sul medesimo immobile e non

dalla richiesta di autorizzazione alla realizzazione delle opere; e tale “continuum”
chiama in causa l’originario dante causa anche per le condotte poste in essere
dal successivo acquirente allorché queste costituiscono il prolungamento e la
realizzazione operativa dell’originario progetto.
10. Può così affermarsi che gli atti di compravendita immobiliare intervenuti
il 25 ottobre 2004 e il 19 settembre 2006 non costituiscono ai nostri fini
momenti effettivi di cesura nella progressione dell’intervento abusivo che si

11.

Così fissati i principi interpretativi della disciplina del concorso di

persone e della cooperazione colposa in tema di realizzazione di opere abusive
con riferimento a persone che hanno posto in essere solo una frazione delle
condotte illecite, la Corte ritiene di dover differenziare le posizioni Caravaggio da
quella della sig.ra Pasquini.
12. Le censure mosse dai primi alla sentenza impugnata devono essere
rigettate alla luce dell’accertata presentazione di una D.i.a. sostenuta da
attestazioni non rispondenti al vero, fatto di cui il solo Nicola Pasquini è stato
chiamato a rispondere al capo C) ma che costituisce premessa essenziale della
contestazione contenuta anche per i due ricorrenti al capo A; sulla base di quella
istanza e della documentazione allegata e grazie alla condotta oggetto del capo B
della rubrica, venne rilasciato il permesso di costruire illegittimo che ha
giustificato l’inizio delle attività edificatorie.
13.

Merita, invece, di essere riconsiderata la posizione di Anna Maria

Pasquini. La motivazione della sentenza impugnata, infatti, non appare completa
e logicamente coerente nella parte in cui esamina il contesto in cui ella acquistò
e poi rivendette il terreno, mancando una valutazione delle relazioni esistenti col
tecnico che aveva redatto la D.i.a. ed ebbe ad assisterla, nonché dell’utilizzo che
ella fece del permesso di costruire; su quest’ultimo punto si osserva che, mentre
la ricostruzione dei fatti in sentenza sembra escludere che la ricorrente abbia
avviato i lavori prima di trasferire la proprietà al sig. D’Amico, a pag.22 della
motivazione si legge che deve condividesi l’assunto che la titolare del permesso
“era tenuta a informarsi, prima dell’avvio dei lavori, sulla normativa urbanistica
esistente…”.
14.

Osserva, infine, la Corte che i reati residui non sono attinti dalla

maturazione dei termini prescrizionali. Come correttamente rilevato a pag.23
della motivazione, per il reato contravvenzionale il termine decorre dalla data del
sequestro (14 dicembre 2007) e per il delitto dalla data del 24 maggio 2005;
detti termini hanno conosciuto nei gradi di merito periodi di sospensione pari a
mesi nove e giorni quindici che conducevano alla individuazione delle date del 19

12

sviluppa tra le condotte dei sigg. Caravaggio e la realizzazione delle opere.

settembre e del 29 luglio 2013 quali momenti di estinzione dei reati. In data 10
luglio 2013 il dibattimento avanti questa Corte è stato sospeso per adesione dei
Difensori all’astensione proclamata dall’organismo di categoria, con conseguente
ulteriore sospensione dei termini prescrizionali fino alla data odierna.
15. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte i ricorsi dei sigg.
Caravaggio Alessandro e Giuseppe, Moretti, Di Paolo e Nicola Pasquini devono
essere respinti e i ricorrenti condannati, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio. La sentenza deve, invece, essere

alla luce dei principi fissati con la presente decisione, proceda a nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al ricorso di Anna Maria Pasquini e
rinvia alla Corte di appello di Perugia. Rigetta i restanti ricorsi e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/1/2014

annullata nei confronti di Anna Maria con rinvio al giudice competente affinché,

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