Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5906 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5906 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Gorgoni Donato Lorenzo, nato a Cutrofiano il
19.11.1934;
avverso la sentenza emessa il 18 ottobre 2012 dalla corte d’appello di Lecce;
udita nella pubblica udienza del 15 ottobre 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Aldo Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Ubaldo Macrì;
Svolgimento del processo
1. Gorgoni Donato Lorenzo venne rinviato a giudizio per rispondere, in
concorso con altri soggetti (Melissano Elio, Notaro Benito, Giuseppe, Miccoli
Donato) dei reati di cui all’art. 416 c.p., all’art. 516 cod. pen., all’art. 5, lett. a),
legge 30 aprile 1962, n. 283 (per avere promosso e organizzato una associazione per delinquere finalizzata alla illecita produzione e distribuzione di vino adulterato con zuccheri di canna e mais annacquato, prodotto nello stabilimento
vinicolo da lui gestito), all’art. 349 c.p. (per avere violato i sigilli apposti a detto
stabilimento al fine di proseguire nella illecita attività di distribuzione del prodotto adulterato), all’art. 40, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 504 del 1995 e 8 d. lgs.
10 marzo 2000, n. 74 (per avere utilizzato per il trasposto autobotti e rimorchi
alimentati con gasolio destinato a uso agricolo, acquistato emettendo fatture e
documenti fiscali per operazioni inesistenti, così sottraendosi al pagamento
dell’accisa sugli oli minerali).
Con sentenza del 19.10.2011 il tribunale di Lecce dichiarò Gorgoni Dona-

Data Udienza: 15/10/2013

2. Gorgoni Donato Lorenzo, a mezzo dell’avv. Ubaldo Macrì, propone
ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione degli artt. 516 cod. pen. e 76 del d.P.R. 12.2.1965,
n. 162. Osserva che come reato fine non poteva essere contestato quello di cui
all’art. 516 cod. pen., che contiene una norma generale che punisce le frodi in
commercio, bensì quello previsto dalla norma speciale di cui all’art. 76 del
d.P.R. 12.2.1965, n. 162, diretta specificamente alla «repressione delle frodi
nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini ed aceti». Tale norma speciale, che prevedeva un reato tipico in materia di “vini ed aceti”, è stata però trasformata in illecito amministrativo dall’art. 1 del d.lgs. 30.12.99 n. 507, in attuazione della delega contenuta nella 1. 25.06.99 n. 205. Non poteva quindi, in sua
vece, essere contestata altra norma, certamente di carattere generale, come l’ art.
516 c.p., che si riferisce genericamente a tutti i prodotti alimentari (ad eccezione
quindi del vino ed altri prodotti alimentari per i quali è prevista una legislazione
speciale) e comunque alla “vendita di sostanze alimentari non genuine come
genuine”. Del resto, l’entità della pena prevista originariamente, fino a cinque
anni, è sintomatica della specialità della norma del 1965, rispetto alla norma generale che già esisteva nel codice penale di cui all’art. 516 c.p. che prevede addirittura una pena alternativa della multa fino ad C.1.032 ed una reclusione fino
a sei mesi. Osserva poi che non vi è alcuna prova che vi sia stata una frode in
commercio perché il prodotto sequestrato, e fatto analizzare, non era ancora stato posto in commercio; lo stesso si trovava ancora in cantina e pertanto manca
l’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 516 c.p., il quale tutela la correttezza dei rapporti commerciali e non la salute dei cittadini. La norma non contiene
l’espressione “detenere per il commercio” e da ciò deve desumersi che la semplice detenzione con il fine di vendere non costituisce violazione dell’art. 516
c.p.; in tali casi deve trovare applicazione solo la sanzione (penale o amministrativa prevista dalla legge speciale). In particolare non vi era alcuna prova per
sostenere che vi era stata la vendita di tali prodotti e sul punto manca una qualsiasi motivazione in relazione al residuo episodio del 19-20.1.2005 ascritto a titolo di concorso al Calò Antonello.
2) erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen. perché l’avvenuta depenalizzazione del reato di cui all’art. 76 cit., reato fine oggetto del sodalizio crimi-

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to, Notaro Benito Giuseppe e Miccoli Donato colpevoli dei reati loro in concorso ascritti, fatto salvo il reato di cui all’art. 5) lett. a) 1. n. 283/1962 perché estinto per prescrizione. Inoltre Miccoli Donato venne assolto dal delitto di cui
all’art. 349 c.p. per non aver commesso il fatto; il Gorgoni, il Notaro ed il Miccoli dall’art. 8 d.lgs. n. 74/2000 perché il fatto non costituisce reato.
La corte d’appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma
della sentenza di primo grado, dichiarò non doversi procedere contro Gorgoni
Donato Lorenzo, Notaro Benito Giuseppe e Miccoli Donato per il reato di cui
all’art. 516 c.p. per gli episodi del giugno 2004, per il reato previsto dall’art. 349
c.p. e per quello previsto dall’art. 40, primo comma, lett. c), d.lgs. 504/1995,
perché tali reati sono estinti per prescrizione. Rideterminò poi la pena per il
Gorgoni in anni tre e un mese di reclusione.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene che avrebbe dovuto applicarsi
non la norma generale di cui all’art. 516 cod. pen., ma quella speciale di cui
all’art. 76 del d.P.R. 12.2.1965, n. 162. Sul punto devono essere fatte le seguenti osservazioni.
L’art. 516 cod. pen. prevede il reato di «Vendita di sostanze alimentari non
genuine come genuine», il-quale punisce con la reclusione fino a sei mesi o con
la multa fino a 1.032 euro «Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in
commercio come genuine sostanze alimentari non genuine». Trattasi evidentemente di una norma generale che si riferisce genericamente a tutti i prodotti alimentari. Successivamente, con il d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, vennero poste specifiche «Norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel
commercio dei mosti, vini ed aceti». L’art. 76 di questo testo normativo (ora abrogato) introduceva il c.d. reato di sofisticazione di vini, prevedendo, al primo
comma, che «Chiunque, fuori dei casi consentiti nelle operazioni di vinificazione o di manipolazione dei vini, impiega in tutto o in parte alcole, zuccheri o
materie zuccherine o fermentate diverse da quelle provenienti dall’uva fresca o
leggermente appassita, ovvero impiega antibiotici ovvero impiega antifermentativi non consentiti ovvero impiega ferrocianuro di potassio in modo diverso
da quello stabilito, è punito con la reclusione da tre mesi a cinque anni e con la
multa di lire 100 mila per ogni quintale o frazione di quintale di prodotto sofisticato». Il precedente art. 22, poi, disponeva che «Sono vietati la detenzione a
scopo di commercio ed il commercio dei mosti e dei vini non rispondenti alle
definizioni stabilite o che abbiano subito trattamenti ed aggiunte non consentiti

-3 noso, eliminando l’antigiuridicità della condotta associativa, esclude la configurabilità del reato di associazione a delinquere ex art. 416 c.p. La corte d’appello
ha ritenuto che il reato associativo persiste perché era stato contestato come finalizzato non soltanto alla illecita produzione di vino adulterato ma anche alla
sua distribuzione, alla sottrazione al pagamento dell’accisa sugli oli minerali del
gasolio ad uso agricolo, utilizzato per movimentare tale merce attraverso il trasporto in gomma, alla emissione di fatturazioni per operazioni inesistenti. Tuttavia, la corte d’appello ha dichiarato la prescrizione di tutti gli altri reati e
quindi non è entrata nel merito dei singoli motivi d’appello residuando così solo
la violazione dell’art. 516 c.p. per l’episodio del 19.1.2005. Osserva poi che non
vi era alcun elemento concreto per affermare con certezza che tra i vari imputati
era stata costituita una associazione con un accordo per la consumazione dei reati-fine contestati tanto diversi tra loro e che il Gorgoni ne fosse il capo promotore.
3) erronea applicazione dell’art. 159 cod. pen. sulle sospensioni della prescrizione. Deduce che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto validamente
sospeso il procedimento nel primo grado e quindi dei termini di prescrizione,
per un periodo di giorni 154 in relazione ai due rinvii disposti per impedimento
del difensore all’udienza del 1.2.2011 (fino al 6.4.2011) ed a quella .del
27.6.2011 (sino al 26.09.2011).

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o che, anche se rispondenti alle definizioni e ai requisiti del presente decreto,
provengono da vitigni diversi dalla vitis vinifera». I commi 2 e 3 prevedevano
altre ipotesi per le quali si applicava il divieto, mentre il comma 5 stabiliva che
«Si intendono detenuti a scopo di commercio i mosti ed i vini che si trovano
nelle cantine o negli stabilimenti o nei locali dei produttori e dei commercianti». L’art. 84 puniva quindi la violazione delle disposizioni di cui all’art. 22,
commi 1 e 2, con la multa di lire 35 mila per ogni quintale o frazione di quintale
di prodotto detenuto, posto in vendita o somministrato (con una pena minima di
lire 200 mila).
Successivamente, con l’art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), i suddetti reati
previsti dagli artt. 76 e 84 del d.P.R. 12.3.1965, n. 162, sono stati depenalizzati
e trasformati in illeciti amministrativi, puniti con una sanzione amministrativa
pecuniaria.
Va anche ricordato che il d.P.R. 12.3.1965, n. 162 è stato abrogato
dall’art. 47 della legge 20 febbraio 2006, n. 82 (Disposizioni di attuazione della
normativa comunitaria concernente l’Organizzazione comune di mercato
(OCM) del vino), che, in attuazione della normativa comunitaria, ha posto una
nuova organica disciplina della materia concernente la produzione ed il commercio del vino. In particolare, l’art. 6 indica le sostanze la cui detenzione è vietata negli stabilimenti enologici e nelle cantine; l’art. 10, vieta la detenzione a
scopo di commercio dei mosti e dei vini non rispondenti, tra l’altro, alle definizioni stabilite o che hanno subito trattamenti e aggiunte non consentiti o che
provengono da varietà di vite non iscritte ad uva da vino nel Registro nazionale
delle varietà di vite; l’art. 11 vieta di vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio, nonché comunque somministrare mosti e vini che contengono i componenti o presentano le caratteristiche ivi indicati. Le violazioni di
queste prescrizioni sono tutte punite con sanzioni amministrative. In particolare,
l’art. 33, comma 2, dispone che «Chiunque, fuori dai casi consentiti, nelle operazioni di vinificazione o di manipolazione dei vini, impiega in tutto o in parte
prodotti non consentiti, quali alcol, zuccheri o materie zuccherine o fermentate
diverse da quelle provenienti dall’uva fresca anche leggermente appassita, è
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria di 250 euro per ettolitro di
prodotto sofisticato; in ogni caso, la sanzione non può essere inferiore a 2.500
euro». L’art. 35, poi, prevede le sanzioni amministrative per le violazioni alle
disposizioni «relative alla produzione, detenzione e commercializzazione di
mosti e di vini». In particolare, il comma 5 dispone che «Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque detiene a scopo di vendita o di somministrazione o comunque di commercio mosti e vini di cui all’art. 10, commi 1 e 2, e all’art. 11,
comma 1, lettere a), c) f), h) e i), e comma 2, senza procedere alla denaturazione e alla distillazione previste ai sensi del medesimo art. 11, comma 3, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria di 105 euro per ettolitro o frazione di ettolitro detenuto a scopo di vendita o di somministrazione»; mentre il
comma 6 prevede, tra l’altro, alla lett. b), la sanzione amministrativa per «chiunque detiene a scopo di vendita o di somministrazione o comunque di commercio mosti e vini di cui all’art. 11, comma 1, lettere b), d), e) e g), senza pro-

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cedere alla denaturazione e alla distillazione previste ai sensi del medesimo
art. 11, comma 3».
In sostanza, la legge 20 febbraio 2006, n. 82, in attuazione della normativa
comunitaria, ha regolato in modo più completo ed organico la materia relativa
alla produzione ed al commercio dei vini, ma non incide in modo decisivo sulla
questione che si presenta nel presente giudizio perché ha riproposto — per quanto qui interessa – in modo quanto meno analogo le medesime prescrizioni ed i
medesimi illeciti già previsti dal d.P.R. 12.3.1965, n. 162, ed ha confermato la
previsione delle violazioni alle sue prescrizioni come illeciti amministrativi.
Va ancora rilevato che la circostanza che le disposizioni del d.P.R.
12.3.1965, n. 162 — che originariamente prevedevano dei reati puniti ancor più
severamente di quanto facesse la norma generale dell’art. 516 cod. pen. — siano
state successivamente depenalizzate — con una precisa scelta del legislatore in
attuazione delle normative comunitarie; scelta poi ribadita con la legge 20 febbraio 2006, n. 82 — non può ovviamente incidere sulla relazione di specialità fra
le disposizioni in esame.
Ora, ritiene il Collegio che non possa negarsi che la norma di cui all’art.
516 cod. pen. si ponga come norma generale che si riferisce genericamente a
tutte le condotte di messa in vendita o di messa in commercio come genuina di
qualsiasi sostanza alimentare non genuina. Le norme di cui al d.P.R. 12.3.1965,
n. 162 ed ora alla legge 20.2.2006, n. 82, invece, in relazione a quella dell’art.
516 cod. pen., presentano il carattere di norme speciali che riguardano esclusivamente i vini e gli altri prodotti ivi indicati. Fra le due norme appare esistente,
infatti, un tipico rapporto di specialità, nel senso che la norma speciale regola
solo una parte delle fattispecie comprese nella norma generale, mentre questa
deve essere interpretata nel senso che (almeno fino a quando resterà in vigore la
norma speciale) si estende a tutte le condotte di frode, mediante messa in vendita o in commercio, relative a qualsiasi prodotto alimentare, ad eccezione di
quelle condotte previste e di quegli specifici prodotti indicati dalle norme speciali che disciplinano la produzione e il mercato del vino e prodotti analoghi.
Ciò tanto più, a parere del Collegio, dopo che la legge 20.2.2006, n. 82, in
espressa attuazione della normativa comunitaria, ha posto una disciplina specifica «concernente l’Organizzazione comune di mercato (OCM) del vino», esplicitando che si tratta di un mercato e di prodotti che hanno caratteristiche e necessità differenziate e quindi necessitano di una disciplina speciale.
Può quindi condividersi solo in parte la giurisprudenza più risalente che
escludeva un rapporto di specialità fra le norme degli artt. 22 e 25 d.P.R.
12.3.1965, n. 162 e quelle degli artt. 515 e 516 cod. pen. a causa del diverso interesse tutelato, essendo le prime dirette a tutelare la salute del consumatore e
garantire la genuinità dei mosti, vini ed aceti e le seconde a combattere la disonestà commerciale ed a tutelare il diritto del consumatore alla regolarità del
commercio (Sez. VI, 12.4.1976, n. 9773, Barbanera, m. 134514; Sez. VI,
11.10.1971, n. 822, Dragonetti, m. 119393). Considerazioni solo in parte analoghe possono essere fatte in ordine alla sentenza della Sez. I, 22.11.2005, n.
46138, Melissano (non massimata), secondo cui i delitti di cui agli artt. 515 e
516 cod. pen. e l’illecito amministrativo di cui all’art. 76 d.P.R. 12.3.1965, n.

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162, si pongono in relazione di specialità reciproca e possono pertanto concorrere, tutelando le norme del codice penale la correttezza e lealtà commerciale e
la legislazione speciale la qualità e genuinità dei prodotti venduti e, dunque, la
salute dei consumatori (la motivazione della sentenza, peraltro, si fonda sul richiamo a precedenti decisioni che però riguardano soprattutto il diverso reato di
cui all’art. 5 legge 30 aprile 1962, n. 283). Innanzitutto, invero, non pare che le
norme in esame tutelino beni giuridici del tutto differenti, in quanto in realtà
anche l’art. 516 cod. pen. tutela la qualità e la genuinità dei prodotti venduti. In
ogni modo, ciò che rileva ai fini del rapporto di specialità è soprattutto la struttura oggettiva delle norme e ed il loro ambito di applicazione. Va anche rilevato che le decisioni ora indicate riguardavano la vecchia normativa di cui al
d.P.R. 12.3.1965, n. 162 e non la vigente disciplina della legge 20.2.2006, n. 82.
Sembra quindi debba condividersi, se correttamente intesa, l’affermazione
della appena citata sentenza Sez. I, n. 46138 del 2005, Melissano, secondo cui
fra gli artt. 515 e 516 cod. pen. e le norme della legislazione speciale sui vini vi
è una «relazione di specialità reciproca». E difatti, così come la disciplina speciale sui vini non copre ovviamente l’intera estensione dell’art. 516, anche
quest’ultimo non copre l’intera estensione della legge 20.2.2006, n. 82 e del
d.P.R. 12.3.1965, n. 162, perché, ad esempio, ha ad oggetto solo la condotta di
chi pone in vendita o mette altrimenti in commercio il prodotto alimentare, e
non anche tutte le altre attività concernenti le operazioni di vinificazione e di
produzione del vino e prodotti assimilati. Pertanto, la possibilità di applicazione
di entrambe le discipline deriva dal fatto che le norme del d.P.R. 12.3.1965, n.
162 e della legge 20.2.2006, n. 82 hanno un ambito di applicazione che non è
interamente coperto da quello degli artt. 515 e 516 cod. pen. Se dunque una fattispecie concreta rientri totalmente nella sfera di applicazione sia della norma
del codice sia di quella speciale sulla produzione ed il commercio dei vini, in
forza del principio di specialità dovrà applicarsi solo quest’ultima. A meno che,
ovviamente, la norma speciale amministrativa non ponga una riserva di applicazione della norma generale penale, come avviene, ad esempio, nel caso, dianzi
ricordato, dell’art. 35, comma 5, della legge 20 febbraio 2006, n. 82, il quale
prevede espressamente che le sanzioni amministrative ivi indicate si applichino
«salvo che il fatto costituisca reato». Se invece il soggetto ponga in essere una
condotta complessiva che violi, per una parte, le norme della disciplina speciale
e, per altra parte, diverse ed ulteriori norme ricavabili dagli artt. 515 e 516 cod.
pen., allora non potrebbe escludersi l’applicazione delle due norme in relazione
alla condotta complessiva (in realtà alle due diverse condotte). Al contrario,
quando l’intera condotta violi la normativa speciale sul mercato del vino, troverà applicazione solo quest’ultima, tranne che nelle ipotesi per le quali questa
contenga la clausola «salvo che il fatto costituisca reato».

2. Venendo ora al caso di specie, dalla sentenza impugnata risulta che la
condanna per il reato di cui all’art. 516 cod. pen. è stata confermata dalla corte
d’appello unicamente per l’episodio del 19-20 gennaio 2005. Dalle sentenze di
merito non si comprende se questo episodio riguardi soltanto la violazione della
speciale normativa sulla produzione e commercio del vino, oppure anche altre e

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3. Il secondo motivo di ricorso è infondato, dal momento che, quand’anche
si accertasse che tutti gli episodi contestati come delitto ai sensi dell’art. 516
cod. pen. dovessero invece qualificarsi come illeciti amministrativi ai sensi del
d.P.R. 12.3.1965, n. 16 (ed ora della legge 20.2.2006, n. 82) resterebbe ugualmente configurabile, nel caso in esame, il delitto di associazione per delinquere
di cui all’art. 416 cod. pen.. E’ vero che, la giurisprudenza di questa Corte, in un
caso solo in parte analogo, ha affermato che «La sopravvenuta depenalizzazione
dei reati-fine di un’associazione per delinquere fa venire meno “ex tunc” la rilevanza penale dello stesso fatto associativo, perché, ferma restando l’autonomia del reato di associazione, è necessario che il relativo programma abbia carattere criminale. (Nella fattispecie la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna per il reato di associazione finalizzata esclusivamente alla
sofisticazione vinicola, per l’intervento “medio tempore” del D.Lgs. n. 507 del
1999 di depenalizzazione delle ipotesi criminose costitutive del programma associativo)» (Sez. I, 9.3.2005, n. 13382, Screti, m. 232491). Nel caso deciso da
questa sentenza era stato contestato un programma del sodalizio consistente esclusivamente nella sofisticazione dei vini (ipotesi prevista come reato dall’art.
76 d.p.R. n. 162/1965; ma poi depenalizzata, con effetto “ex tunc”, dal d.lgs. n.
507/1999). Nel caso di specie, invece, trattandosi della depenalizzazione solo di
alcune delle condotte oggetto del programma associativo, la sentenza impugnata
ha correttamente applicato il principio secondo cui «Per la sussistenza del reato
associativo non è necessaria l’effettiva commissione dei reati-fine, ma è sufficiente l’esistenza della struttura organizzativa e del carattere criminoso del
programma, il quale permane anche quando taluno dei reati fine non costituisce più illecito penale a seguito di “aboliti° criminis”» (Sez. VI, 27.11.2003, n.
7187 del 2004, Marchiani, m. 228600). La corte d’appello ha infatti posto in rilievo che nel presente processo l’associazione per delinquere era finalizzata non
soltanto alla illecita produzione di vino adulterato ed alla sua distribuzione, ma
anche alla sottrazione al pagamento dell’accisa del gasolio ad uso agricolo, utilizzato invece per movimentare la merce attraverso il trasporto in gomma, ed
alla violazione dei sigilli; con la conseguenza che anche successivamente all’in-

-7 diverse violazioni che rientrano nella sfera di applicazione dell’art. 516 cod.
pen. ma non anche in quella della disciplina speciale. Nemmeno è specificato se
si tratti di una di quelle ipotesi per le quali l’art. 35, comma 5, della legge 20
febbraio 2006, n. 82, prevede la clausola «salvo che il fatto costituisca reato».
Sul punto però la possibilità di un annullamento con rinvio perché venga
chiarita questa circostanza è impedita dal fatto che il reato di cui all’art. 516 è
ormai estinto per prescrizione, anche calcolando il periodo di sospensione del
decorso della prescrizione di 154 giorni per i rinvii disposti alle udienze
dell’1.2.2011 e del 27.6.2011 per impedimento del difensore.
Poiché dagli atti, come appena osservato, non emergono in modo evidente
cause di proscioglimento nel merito, la sentenza impugnata va dunque annullata
senza rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 516 cod. pen. perché estinto
per prescrizione, con conseguente eliminazione della relativa pena di un mese di
reclusione.

4. Il terzo motivo di ricorso è divenuto irrilevante e, comunque, resta assorbito dalla declaratoria di intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 516
cod. pen. Il reato di cui all’art. 416, comma 1, cod. pen., consumatosi
1’1.3.2005, ed avente un periodo massimo di prescrizione di 8 anni e 9 mesi,
non è invece ancora prescritto anche non considerando il detto periodo di sospensione di 154 giorni.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui
all’art. 516 cod. pen. perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena
di un mese di reclusione
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15
ottobre 2013.

-8 tervenuta depenalizzazione del reato di sofisticazione di vini permaneva il carattere criminale dell’associazione finalizzata alla commissione degli altri delitti.
La corte d’appello ha poi fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto provata la sussistenza di una associazione finalizzata alla commissione dei suddetti delitti, con un accordo tra i diversi
imputati per la consumazione dei reati-fine, e per le quali ha ritenuto che il
Gorgoni ne fosse uno dei promotori ed organizzatori. Sul punto, del resto, il
motivo di ricorso è del tutto generico.

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