Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5898 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5898 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IAMONTE DOMENICO N. IL 01/04/1974
avverso l’ordinanza n. 94/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 04/11/2011
sentita la r lazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott. \A–) -3

1-\.-

Uditi difensor Avv.;

oueo

AA- cobo o

Data Udienza: 17/12/2013

Ritenuto in fatto

IAMONTE Domenico, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita nell’ambito di un
procedimento in cui aveva subito detenzione cautelare per il delitto di maltrattamenti in

perché il fatto non costituisce reato, in ragione della intossicazione da alcool, accertata
attraverso perizia svolta in dibattimento.

La Corte territoriale ha addebitato all’istante a titolo di colpa grave ex art. 314, comma 1,
c.p.p.,i comportamenti violenti, posti in essere dallo stesso nei confronti dei familiari, tali
da richiedere in più occasioni l’intervento dei Carabinieri, conseguenti allo stato di
ubriachezza in cui versava lo Iamonte ed ha sottolineato che, solo a seguito di perizia
disposta in dibattimento, era risultato lo stato di cronica intossicazione idoneo ad
escludere l’elemento soggettivo del reato.

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art.
314 c.p.p., sul rilievo che il giudice della riparazione aveva erroneamente attribuito valore
colposo allo stato di ebbrezza dell’istante riconducibile, invece, ad una cronica
intossicazione da alcool, che importa un’alterazione psicologica permanente e
l’insussistenza, pertanto, di una condotta riconducibile alla libera scelta dell’istante.

L’Avvocatura dello Stato ed il P.G. hanno concluso per la declaratoria di rigetto del
ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione, è connotato
da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e che possono portare a
conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta
riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto
ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.
In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella
loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a
determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato,

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famiglia, originato dalla denuncia presentata dalla madre, conclusosi con la formula

l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice. Invero il giudice della riparazione,
basandosi su fatti concreti, deve valutare non se la condotta integri estremi di reato, ma
solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore
dell’autorità procedente,la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale,
dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto ( v. tra le altre, Sez. IV, 10
giugno 2010, n. 34662, La Rosa, rv.248077).

utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti inequivocabilmente da
acquisizioni del processo dibattimentale. In tal caso, infatti, la verità acclarata nel pieno
contraddittorio tra le parti deve avere la prevalenza sulle acquisizioni probatorie captate
nella fase inquisitoria ( v. Sez. IV, 23 aprile 2009, n. 38181, Ferrigno).

Nel caso di specie la Corte di merito ha motivato in modo congruo e logico in ordine alla
condotta del ricorrente ed alla sua idoneità ad ingenerare nell’autorità, che aveva
disposto la privazione della sua libertà, la falsa apparenza della sua configurabilità come
illecito penale, così dando luogo alla detenzione.

In particolare, il giudice della riparazione ha evidenziato che le condotte descritte nel
capo di imputazione apparivano incontestate, sebbene non idonee ad una pronuncia di
condanna, essendo stata accertata -attraverso una perizia disposta in dibattimentol’incapacità di intendere e di volere dello Iamonte per cronica intossicazione da alcool.

Infondate sono, pertanto, le censure volte ad evidenziare la violazione dell’art. 314 c.p.p.
sul rilievo apodittico che lo stato di incapacità dello Iamonte era emerso sin da subito e
non era mai stato nascosto dall’interessato.

La condotta dello Iamonte, sopra descritta, come correttamente evidenziato dalla Corte di
merito, configura certamente un comportamento colposo, essendosi l’istante
reiteratamente posto in quella condizione di ebbrezza, dalla quale avevano tratto origine i
comportamenti violenti nei confronti del nucleo familiare, e come tale è stata
correttamente valutata ai fini della colpa ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione.
Tale conclusione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte ( v., Sezioni unite, 26
giugno 2002, Ministero Tesoro in proc. De Benedictis, rv. 222263) secondo la quale il
giudice della riparazione deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi,
esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà
personale, al fine di stabilire, con valutazione

ex ante

(e secondo un iter logico-

motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se

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In questa prospettiva è necessario che gli elementi di prova acquisiti nelle indagini e da

tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza
della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di
“causa ad effetto”.

In altri termini, il giudice dell’equo indennizzo, una volta appurato che quella certa
condotta dell’istante, valutata come gravemente colposa, abbia negativamente inciso

mantenimento dello stato di privazione, deve dare atto nel suo provvedimento che la
condotta in questione abbia assunto in concreto determinante rilevanza agli occhi del GIP
agli effetti dell’emanazione della misura cautelare.

In conclusione, l’ordinanza impugnata sfugge da censure in questa sede, perché fa
corretta applicazione dei principi di diritto operanti nella subiecta materia ed è assistita da
congrua motivazione.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p la condanna del

ricorrente al

pagamento delle spese processuali,oltre alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero
resistente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del Ministero resistente che si
liquidano in euro 750,00.
Così deciso nella camera di consiglio in data 17 dicembre 2013

Il Consigliere estensore

sulla libertà del medesimo, provocandone o contribuendo a provocarne la privazione o il

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