Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5896 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5896 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALAFATI GIUSEPPE N. IL 26/08/1962
avverso la sentenza n. 348/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 17/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ag\l’icry.A..che ha concluso per Al

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Data Udienza: 17/12/2013

Udito, per la parte civile, l’Avv ‘/Z
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Ritenuto in fatto
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ell’estratto corito

CALAFATI Giuseppe ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella
di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di detenzione illecita di sostanze

Con il ricorso ripropone le questioni già sollevate in secondo grado e rigettate in tale
sede.

Censura, con il primo motivo, gli argomenti valorizzati a supporto della destinazione
illecita della droga [principalmente, le circostanze del sequestro, avvenuto durante il
controllo dell’imputato, fermo in auto sulla pubblica via, con il rinvenimento della droga
suddivisa in dosi celata sotto i calzini; la quantità della sostanza stupefacente – tra l’altro,
un quantitativo di eroina pari a 30 dosi, oltre a marijuana e metadone;;Lrinvenimento
nella disponibilità dell’imputato di una somma di denaro, di cui si riteneva smentita la
provenienza lecita dalla moglie].

Con il secondo motivo lamenta che la Corte di merito aveva errato nell’escludere che il
denaro rinvenuto all’imputato fosse quello datogli dalla moglie la stessa mattina del fermo
per il versamento in banca e si assume che tale dato avrebbe ricevuto conferma dalle
risultanze dell’estratto conto bancario, contrariamente a quanto assunto dalla decisione
impugnata.

Lamenta, con il terzo motivo, che la natura stupefacente sia stata basata solo sugli esiti
del test speditivo effettuato dalla p.g.

Censura, infine, la ritenuta tardività della eccezione sulla mancata astensione del giudice
monocratico di primo grado e sulla mancata formulazione dell’istanza di ricusazione,
sostenendo che nello specifico l’imputato non avrebbe potuto articolare prima l’istanza di
ricusazione vuoi perché alla prima udienza sarebbe stato assente giustificato ed alla
successiva udienza il processo era stato definito in assenza dell’imputato e del difensore
di fiducia, sostituito da difensore di ufficio.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

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stupefacenti.

Quanto al primo motivo di ricorso, in punto di configurazione della detenzione come ad
uso personale, e non come destinata allo spaccio, è pacifico in proposito che, ai fini della
configurabilità del reato previsto dall’articolo 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, non è la
difesa a dover dimostrare l’uso personale della droga detenuta, ma è invece l’accusa,
secondo i principi generali, a dover provare la detenzione della droga per uso diverso da
quello personale. Infatti, la destinazione della sostanza allo “spaccio” è elemento
costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale, deve essere provata

personale della sostanza stupefacente di cui sia stato trovato in possesso (Sezione VI, 10
gennaio 2013, Proc. gen. App. Catanzaro in proc. Grillo).

Così come è altrettanto pacifico che, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine
alla destinazione della droga va effettuata dal giudice di merito, ogni qualvolta la
condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, tenendo conto di tutte le
circostanze oggettive e soggettive del fatto e, in particolare, dei parametri indicati
nell’articolo 73, comma 1 bis, lettera a), del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 (“quantità”,
“modalità di presentazione”, “altre circostanze dell’azione”), che appunto costituiscono
criteri probatori idonei ad orientare la valutazione del giudice in ordine alla dimostrazione
della destinazione “ad un uso non esclusivamente personale”, tale da integrare l’illecito
penale (cfr. tra le altre, Sezione IV, 15 giugno 2010, Mennonna ed altro).

In questa prospettiva, allora, gli elementi indicati dall’articolo 73, comma 1 bis, lettera a),
del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 quali parametri utili al fine di apprezzare la destinazione
all’uso non esclusivamente personale delle sostanze stupefacenti (“quantità”, “modalità di
presentazione” e “altre circostanze dell’azione”) non vanno valutati isolatamente, ma alla
luce delle complessive risultanze del caso concreto, giacchè la decisione sarà logicamente
motivata solo se risulti in sintonia con l’intero compendio probatorio.

La Corte ha rispettato questi principi, avendo affrontato puntualmente il punto afferente
la destinazione della droga allo spaccio piuttosto che all’uso personale e lo ha risolto in
senso confermativo dell’apprezzamento del primo giudice di merito, attraverso il richiamo
puntuale alle seguenti circostanze : in primo luogo, quantità della sostanza stupefacente
in misura esorbitante le condizioni di reddito lecito del detentore ( il dato della marijuana
e del metadone trovati nell’abitazione in numero di 23 boccette, nonché dell’eroina, pari a
gr. 10,9, che aveva consentito il confezionamento delle 30 dosi; la suddivisione della
droga; le modalità di nascondimento della stessa e le circostanze del sequestro ( lo
stupefacente era custodito sulla persona dell’imputato, che indossava doppi calzini, al cui
interno aveva occultato una busta di cellophane dove erano custodite le trenta bustine di
droga).
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dalla pubblica accusa, non spettando all’imputato dimostrare la destinazione all’uso

Qui, nella sede di legittimità, la decisione non ammette censure. Sul punto va ricordato
il principio che il controllo della Corte di Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza
di merito, sotto il profilo della manifesta illogicità, non può condurre a conclusioni di
annullamento quando, come nel caso di specie, la valutazione delle risultanze processuali
sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza dei canoni logici
che presiedono alla forma del ragionamento e la motivazione fornisca una spiegazione

Quanto al secondo motivo, relativo alla circostanza per la quale non sarebbe stata
smentita la giustificazione della provenienza del denaro rinvenuto indosso all’imputatoderivante secondo la difesa dalla dazione fattane dalla moglie la stessa mattina del
fermo- , come invece assume la decisione impugnata, si osserva che tale dato non
assume certo in questa sede di legittimità il valore dirimente che il ricorrente pretende:
siffatto materiale dimostrativo è stato utilizzato solo come elemento rafforzativo, del tutto
marginale, rispetto agli altri elementi valorizzati dal giudice di merito, sopra indicati.
La decisione impugnata regge, pertanto, in ogni caso alla cosiddetta ” prova di
resistenza”, applicabile anche al giudizio di legittimità ( v. Sez. VI, 22 febbraio 2005, n.
10094, Ricco ed altro, rv.231832)

Quanto al terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta la mancanza di prova dell’effetto
drogante, in assenza di accertamento peritale, si rileva che il giudice ha risolto il tema
della natura della sostanza stupefacente, non solo attraverso il richiamo al riscontro
operato dalla polizia giudiziaria, ma anche all’evidenza considerando le circostanze della
vicenda che non consentivano dubbi in proposito.

Vale allora ricordare che il giudice può desumere il proprio convincimento della natura
stupefacente della sostanza addirittura anche da elementi diversi dalla perizia o dal
narcotest, quali le ammissioni degli imputati, gli accertamenti di polizia o qualsiasi altro
elemento di significato univoco ( v. da ultimo, Sezione V, 11 febbraio 2011, n. 5130,
Moltoni ed altri, rv. 249703; Sezione IV, 29 gennaio 2009, n. 4278, Bonforte, rv.
242516).

Nella specie, a fronte degli esiti del narcotest,

non risultavano rappresentati elementi di

dubbio concretamente apprezzabile tale da imporre lo svolgimento di una attività peritale,
che è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice.
Come è noto, la perizia è mezzo di prova neutro ed è sottratta al potere dispositivo delle
parti, che possono attuare il diritto alla prova anche attraverso proprie consulenze.

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plausibile e logicamente corretta delle scelte operate

La sua assunzione è pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice e non è
riconducibile al concetto di prova decisiva, con la conseguenza che il relativo diniego non
è sanzionabile ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera d), c.p.p. e, in quanto giudizio
di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità, anche
ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p.(v. Sezione VI, 25 novembre 2008,
Brettoni).

avere egli revocato una misura cautelare nell’esercizio delle funzioni di GIP del medesimo
procedimento, è infondato.

Assorbentemente va rilevato che il giudice di appello ha dato atto che dal verbale di
udienza del 2.3.2009 nulla risultava in ordine a manifestazioni di volontà di ricusare e che
tale questione fu sollevata solo con i motivi di appello.
Sul punto va, in ogni caso, ricordato che l’esistenza di cause di incompatibilità, non
incidendo sui requisiti di capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento
adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce esclusivamente motivo di
ricusazione da far valere con la specifica procedura prevista dal codice di rito; né ha
incidenza sulla capacità del giudice la violazione del dovere di astensione, che non è,
pertanto, causa di nullità generale ed assoluta ai sensi dell’art. 178 c.p.p ma costituisce
anch’essa esclusivamente motivo, per la parte, di ricusazione del giudice non astenutosi
( v.tra le altre, Sezione III, 14 novembre 2003, n. 01875, Jayasurya, rv. 227588).

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 17 dicembre 2013

Il Consigliere estensore

Anche il quarto motivo, in punto di mancata astensione di uno dei giudici del collegio per

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