Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5879 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5879 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
CALDARELLI Francesco, nato a Somma Vesuviana il 16 aprile 1969,

avverso l’ordinanza n. 1131/2013 del Tribunale del riesame di Napoli in data 25
febbraio 2013.

Letti gli atti;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in
persona del sostituto procuratore generale, Antonio Gialanella, il quale ha chiesto
il rigetto del ricorso;
rilevato che il difensore del ricorrente non è comparso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, -et:gtituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 312 e 313 dello stesso codice, con ordinanza deliberata il 25
febbraio 2013, ha applicato a Caldarelli Francesco, sottoposto ad indagini per
danneggiamento aggravato seguito da incendio, commesso il 29 marzo 2012, la
misura della libertà vigilata in sostituzione dell’assegnazione ad una casa di cura

Data Udienza: 23/10/2013

e di custodia disposta con l’impugnata ordinanza del Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Noia in data 1° febbraio 2013.
Precedentemente lo stesso Tribunale, con provvedimento del 19 giugno
2012, pur confermando i gravi indizi di colpevolezza a carico del Caldarelli, aveva
annullato la prima ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, in data 28
maggio 2012, di applicazione provvisoria della misura di sicurezza detentiva

approfondito accertamento sull’eventuale infermità di mente del Caldarelli e sul
suo stato di cronica intossicazione da alcool o da stupefacenti.
La nuova misura, seppure attenuata rispetto a quella applicata dal Giudice,
era invece giustificata dall’esito della consulenza tecnica disposta dal pubblico
ministero dopo il detto annullamento, da cui emergeva il disturbo della
personalità di tipo paranoide, aggravato dall’abuso di alcool, sofferto dal
Caldarelli, tale da determinare l’incapacità di contenere le proprie reazioni
rispetto ad un comportamento percepito come persecutorio e da renderlo
socialmente pericoloso.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Caldarelli personalmente solo per riproporre alcune eccezioni in rito, a suo
avviso, illegittimamente respinte dal Tribunale.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. c) ed e), in relazione agli artt. 405, comma 2, e 407, comma 3, cod.
proc. pen., che il Tribunale avrebbe illogicamente motivato in merito alla
eccezione di inutilizzabilità degli atti investigativi compiuti dopo la scadenza del
termine delle indagini preliminari.
In particolare, avrebbe errato nel ritenere che la consulenza tecnica sulla
sua capacità di intendere e di volere, disposta dal pubblico ministero il
29/11/2012 e depositata il 24/01/2013, mentre

l’iscrizione del Caldarelli nel

registro degli indagati risaliva al 10/04/2012, fosse un atto non riconducibile
all’attività di indagine, ritenendolo pertanto utilizzabile anche se espletato dopo
la scadenza del termine semestrale di durata delle indagini.
2.2. Con il secondo motivo deduce i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. c)
ed e), in relazione agli artt. 359 cod. proc. pen., 116 e 117 d.lgs. n. 271 del
1989, per violazione dell’art. 360 cod. proc. pen. ed illogica e contraddittoria
motivazione.
La consulenza tecnica sulla capacità di intendere e di volere del Caldarelli
sarebbe stata effettuata senza le garanzie previste dall’art. 360 cod. proc. pen.,
pur dovendo ritenersi un accertamento irripetibile, tenuto conto altresì delle
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della casa di cura e custodia, ritenendo che non fosse stato compiuto un

contrastanti diagnosi sulla patologia del ricorrente, come in atti documentate. E
anche dall’omissione delle suddette garanzie discenderebbe l’inutilizzabilità della
consulenza psichiatrica affidata dal pubblico ministero al dottor Ciro Paudice.

3. Il Procuratore generale, nell’odierna udienza, ha chiesto il rigetto del
ricorso, richiamando i precedenti giurisprudenziali di questa Corte che

imputabilità dagli atti di indagine, con il conseguente legittimo espletamento di
essa a termini di indagini scaduti; e, inoltre, escludendo l’irripetibilità della
valutazione tecnica circa la capacità di intendere e di volere dell’indagato, con la
conseguente legittimità del suo espletamento senza contraddittorio con la
persona sottoposta alle indagini.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere respinto nei termini che seguono.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Ai fini della sanzione di inutilizzabilità, prevista dall’art. 407, comma 3, cod.
proc. pen., per “atto di indagine” compiuto dopo la scadenza del termine per le
indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, deve intendersi
solo quello con efficacia probatoria. E tale non può ritenersi la consulenza
disposta dal pubblico ministero sulla capacità di intendere e di volere della
persona sottoposta alle indagini e sulla sua pericolosità sociale, in funzione della
richiesta di applicazione provvisoria di misura di sicurezza ai sensi degli artt. 312
e 313 cod. proc. pen., vuoi per la natura intrinseca dell’accertamento che si
risolve in un giudizio, sia pure tecnicamente qualificato, inerente alla persona
indiziata di reato che proviene da un esperto nominato dalla parte pubblica ed è,
comunque, suscettibile di essere nuovamente espletato su disposizione, anche
d’ufficio, del giudice, non costituendo una fonte di prova cristallizzata; vuoi per la
funzionalità di tale valutazione all’applicazione interinale di misura di sicurezza,
espressamente equiparata alla custodia cautelare dall’art. 313, comma 3, cod.
proc. pen.
E, in proposito, giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo
cui la sanzione dell’inutilizzabilità per le acquisizioni tardive riguarda solo gli atti
di indagine del pubblico ministero e non gli elementi di prova acquisibili
indipendentemente da qualsivoglia impulso della parte pubblica (Sez. 5, n.
15844 del 05/02/2013, dep. 05/04/2013, M., pertinente ad incidente probatorio
e Sez. 6, n. 34570 del 19/06/2012, dep. 11/09/2012, Lo Bartolo, Rv. 253435,
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deporrebbero a favore dell’esclusione della consulenza tecnica in tema di

specificamente inerente all’accertamento dell’imputabilità non condizionato dalla
richiesta delle parti ed espletabile anche d’ufficio dal giudice di merito); e negli
atti di indagine non utilizzabili, perché compiuti dopo la scadenza dei termini
previsti dagli artt. 405, comma 2, e 407, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non
rientrano quelli attinenti alle richieste di misure cautelari cui sono equiparate le
istanze di applicazione provvisoria di misure di sicurezza, ai sensi degli artt. 312

provvedimento incidentale in tema della libertà personale della persona
sottoposta ad indagini per contenerne la pericolosità (Sez. 6, n. 1304 del
31/10/1997, dep. 04/02/1998, Sarto, Rv. 210439, con riguardo a richiesta di
misura cautelare; Sez. 2, n. 45988 del 28/11/2007, dep. 07/12/2007, Tripodi,
Rv. 238519, relativa all’adozione di provvedimento di sequestro preventivo).
Nel caso di specie, la consulenza in tema di imputabilità disposta dal
pubblico ministero il 29/11/2012, dopo la scadenza del termine semestrale delle
indagini nei confronti del ricorrente, compiutasi -ai sensi dell’art. 405, comma 2,
cod. proc. pen.- il 10/10/2012, è stata strettamente funzionale alla richiesta di
applicazione provvisoria di misura di sicurezza sul presupposto della
seminfermità psichica dell’indagato e della sua pericolosità sociale, con la
conseguente esclusione, in applicazione dei parametri interpretativi sopra
indicati, di efficacia probatoria della medesima consulenza e corretta
considerazione di essa da parte del giudice della misura di sicurezza interinale
unitamente alle altre emergenze documentali in tema di imputabilità e
pericolosità (c.f.r., al riguardo, le note dei medici dell’U.O.S.M. -Unità operativa
di salute mentale- di Terzigno richiamate nell’ordinanza impugnata e,
segnatamente, la relazione psichiatrica del 19/02/2013 e la relazione
dell’assistente del 26/04/2012 circa la presa in carico del Caldarelli presso il
Centro di igiene mentale di quel Comune, con terapia farmacologica domiciliare e
costante assistenza dello stesso da parte della madre).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
E, invero, non è atto irripetibile l’accertamento tecnico, mediante
consulenza, sullo stato psichico di una persona, allorquando riguardi una
condizione costante e non contingente e, per tale ragione, non suscettibile di
modificazione (Sez. 3, n. 8427 del 16;02/2011, dep. 03/03/2011, H., Rv.
249365; conformi: n. 9734 del 1999 Rv. 214375; n. 19397 del 2006 Rv.
234168). E tale deve ritenersi lo stato patologico del Caldarelli costantemente
assistito dal servizio pubblico sanitario, come si è detto.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
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e 313 cod. proc. pen., le quali mirano esclusivamente ad ottenere un

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, in Roma, in data 23 ottobre 2013.

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