Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5878 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5878 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
DOKU Ervis, nato a Lac (Albania) il 24/04/1984,

avverso l’ordinanza n. 1221/2012 della Corte di appello di Milano in data
6/02/2013.

Letti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale, Gabriele Mazzotta, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata la Corte di appello di Milano, giudice

dell’esecuzione, ha respinto la richiesta di revoca della sentenza di condanna
emessa il 18/05/2006 dal Tribunale di La Spezia nei confronti di Doku Ervis,
cittadino albanese, per il reato previsto dall’art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286 del
1998, sostenendo che il Doku, pur espulso e accompagnato alla frontiera con

divieto di rientrare in Italia per dieci anni, aveva fatto ritorno nel territorio dello
Stato meno di due anni dopo l’esecuzione dell’espulsione, con la conseguente
esclusione di incompatibilità tra la sanzione della reclusione prevista per

Data Udienza: 23/10/2013

l’illegittimo rientro e la direttiva dell’Unione europea in materia di rimpatri, la
quale pone solo un limite temporale al divieto di rientro che non deve essere
superiore a 5 anni, salve le eccezioni previste (paragrafo 11, comma 2, della
direttiva); e, nel caso di specie, tale limite non era stato superato.

2. Ricorre il Doku tramite il difensore, il quale deduce, ai sensi dell’art. 606,

mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità: la sentenza avrebbe dovuto
essere revocata perché emessa per un reato incompatibile con la suddetta
direttiva come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso El
Dridi ed altri.

3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso, escludendo il
contrasto tra la norma penale interna che sanziona con la reclusione la violazione
del divieto di reingresso nel territorio nazionale del cittadino straniero già espulso
e la direttiva dell’Unione europea in materia di rimpatri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la condotta di
reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino di un
paese terzo, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio con divieto di
rientro, ha conservato rilevanza penale pur dopo l’emissione della direttiva
2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea del 16 dicembre
2008 e la conseguente pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel
caso El Dridi, perché i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio
non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di
reingresso nel territorio dello Stato in violazione del divieto, per il quale la
suddetta direttiva, all’art. 11, paragrafo 2, prevede l’unico limite di durata non

eccedente i cinque anni (Sez. 1, n. 35871 del 25/05/2012, dep. 19/09/2012,
Mejdi, Rv. 253353; Sez. 1, n. 7912 del 04/02/2013, dep. 18/02/2013, Hidri, non
massimata sul punto).
Più diffusamente, all’esito di accurata ricognizione delle disposizioni della
predetta direttiva, questa Corte ha precisato che, ai fini dell’integrazione del
reato previsto dall’art. 13, comma 13, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero, abbreviato in T.U. imm.), la condizione del cittadino
2

comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione nel triplice profilo della

straniero in precedenza rimpatriato che faccia nuovamente ingresso nel territorio
dello Stato, senza la prescritta autorizzazione e prima del termine non eccedente
il quinquennio stabilito nel divieto d’ingresso che abbia accompagnato la
decisione di rimpatrio, non può essere equiparata a quella dello straniero che
permanga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento
(Sez. 1, n. 16634 del 26/03/2013, dep. 12/04/2013, Kajmaku, Rv. 255685).

paragrafo 1, secondo comma, e paragrafo 2, della direttiva 2008/115/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, in relazione alle
definizioni contenute nell’art. 3 della stessa direttiva, il reato previsto dall’art.
13, comma 13, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. imm.), consistente nel rientro
nel territorio dello Stato, senza la speciale autorizzazione del Ministro
dell’interno, dello straniero già rimpatriato sulla base di provvedimento della
competente autorità corredato di divieto d’ingresso, quando il reingresso
avvenga entro il quinquennio dall’allontanamento forzato o dalla partenza
volontaria, ancorché sia stata illegittimamente disposta nel provvedimento di
rimpatrio una durata del divieto superiore a cinque anni.
Nel caso di specie, quindi, correttamente la Corte di appello di Milano,
giudice dell’esecuzione, ha respinto, con motivazione sintetica ma adeguata e
coerente, la richiesta di revoca della sentenza di condanna emessa il 18 maggio
2006 dal Tribunale di La Spezia nei confronti del Doku, il quale, allontanato dal
territorio nazionale con accompagnamento alla frontiera in esecuzione del
decreto di espulsione emesso il 26 novembre 2002 dal Prefetto della Provincia di
Genova, fece arbitrariamente ritorno in Italia, come accertato il 22 settembre
2004, ben prima del decorso di cinque anni dal suo allontanamento forzato.

2. Segue il rigetto del ricorso e, a norma dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, in Roma, il 23 ottobre 2013.

Deve, in particolare, ritenersi conforme al diritto dell’Unione di cui all’art. 11,

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