Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5874 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5874 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Vaccaro Giuseppe

n. il 21 aprile 1977

avverso
la sentenza 19 marzo 2013 — Corte di Appello di Catania;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr. Ni-

cola Lettieri, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle
Ammende;

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Data Udienza: 11/12/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata in data 19 marzo 2013, depositata in cancelleria il
26 marzo 2013, la Corte di Appello di Catania, confermava la sentenza 12 luglio
2012 del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Modica che aveva dichiarato Vaccaro Giuseppe responsabile dei reati di detenzione e porto illegale di pistola
clandestina e ricettazione della medesima condannandolo alla pena di giustizia.

2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Maria Isabella Coppola, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione Vaccaro Giuseppe
chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
In particolare è stato rilevato dal ricorrente l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. nonché
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.; il giudice ha errato nel ritenere che l’abrogazione del registro nazionale della armi comuni da sparo non influisse sul concetto
di clandestinità essendo la norma medesima che lega il concetto di arma clandestina ai registro nazionale. Veniva altresì censurato il fatto che fosse sufficiente anche
solo l’abrasione di un solo numero di matricola per poter integrare la condizione di
clandestinità. Veniva poi censurata l’argomentazione del giudice secondo cui non è
stato possibile ascrivere al prefato il reato di alterazione piuttosto che quello di ricettazione. Veniva contestata la ritenuta sussistenza del profilo soggettivo mancando la prova della volontà in capo all’imputato di violare la normativa in materia di
armi. Veniva quindi censurata la motivazione del giudice che attiene alla sussistenza del porto abusivo dell’arma per il solo fatto di averla tenuta all’interno di un furgone; veniva infine criticata la mancata valutazione di assorbimento della detenzione dell’arma nel porto abusivo, così come veniva contestata la motivazione in punto
di negatoria delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione
3. — Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
3.1 — Il ricorso contiene per vero la reiterazione di censure in ordine alle quali il
giudice di merito ha già adeguatamente risposto. Va pertanto ravvisata non solo la

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

reiterazione inammissibile di argomentazioni fattuali non proponibili in questa sede
di legittimità, stante la valutazione argomentata del giudice della cognizione, ma
altresì la mancanza della reale correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione davanti a questa
Corte. Con il riproporre le doglianze già scrutinate il ricorrente non tiene inoltre
conto che il sindacato di questo Supremo Collegio ha un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esi-

ta, senza possibilità di effettuare una rilettura degli elementi di fatto posti a suo
fondamento, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (v.

ex pluribus, Cass., Sez. 5, 27 gennaio 2009, n. 19399, Fiozzi).
3.2 – Occorre inoltre rilevare, in merito alla censura difensiva concernente il
collegamento tra il concetto di clandestinità e l’abrogazione del registro nazionale
delle armi comuni da sparo, che la clandestinità di un’arma, ai sensi dall’art. 23 della legge 18 aprile 1975 n. 110, può ritenersi integrata con la mancanza anche di
uno solo dei quattro elementi prescritti dall’art. 11 della L. 18 aprile 1975 n. 110,
vale a dire: sigla o marchio del produttore, numero di iscrizione nel catalogo nazionale delle armi, numero progressivo di matricola e contrassegno speciale del Banco
nazionale di prova di Gardone Val Tronnpia rende le armi prodotte in Italia clandestine (Cass., Sez. 1, 10 febbraio 1999, n. 1283, rv. 212792, Colantonio e altri);
con l’abrogazione del Catalogo Nazionale delle Armi Comuni da sparo, rimane quindi sufficiente, per concretare il reato detto, che l’arma non rechi il numero progressivo di matricola o la medesima risulti abrasa.
È inoltre appena il caso di rammentare che le finalità della catalogazione e quella della immatricolazione sono tra loro differenti posto che la prima era volta a distinguere le armi comuni da sparo da quelle da guerra e la seconda è funzionale a
sottoporre a costante controllo tutte le armi e le persone legittimate a detenerle (e
a portarle), in modo da consentire agli organi di polizia di seguire gli eventuali trasferimenti e di identificare in ogni momento i detentori (Sez. 1, 1 marzo 2002, n.
16127, rv. 221328, Lattuada).
3.3 – Non rileva inoltre, in fatto di clandestinità, che solo uno o più siano i numeri abrasi della matricola, importando piuttosto il fatto che tale abrasione non
consenta alla matricola impressa di assolvere alla funzione che le è propria, così
come in concreto avvenuto. Anzi, ai fini della clandestinità dell’arma, è sufficiente
che l’alterazione o la mancanza dei dati sia tale da rendere anche solo più difficolto-

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stenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugna-

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sa la ricostruzione degli elementi identificativi, non essendo invece necessario che
essa renda impossibile tale ricostruzione (Sez. 4, 18 novembre 1997. rv. 209401,
n. 477, Belli E. ed altri).
3.4 — Privo totalmente di pregio è anche il rilievo difensivo secondo cui il giudice avrebbe errato nel non ritenere che fosse da ritenersi sussistente il reato di alterazione di arma piuttosto che quello di ricettazione. La Corte sul punto ha chiarito

re autore dell’alterazione poteva essere peraltro data dall’imputato medesimo, il
quale ha invece fornito la versione, mai smentita, di aver rinvenuto l’arma, così
com’era, al mercato ortofrutticolo, sicché, alla luce del compendio di prova, è esatta la qualificazione data dal giudice del reato ex art. 648 cod. pen.
3.5 — Manifestamente infondata è la censura formulata in relazione alla mancata motivazione del giudice circa il profilo soggettivo del reato. È evidente nella fattispecie che la disponibilità di un oggetto, qual è un’arma, la cui detenzione e porto
sono vietati salvo apposita autorizzazione, doveva far sorgere immediatamente la
consapevolezza della illiceità connesse con il suo impossessamento.
3.6 — Manifestamente infondata è la censura che attiene alla sussistenza del
porto abusivo d’arma. Il ricorrente non tiene conto che prima ancora di trovarsi nel

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furgone, l’arma è stata portata dal Vaccaro all’interno di tale mezzo.
3.7 — In punto di assorbimento del delitto di detenzione in quello di porto si osserva che le norme incriminatrici della detenzione e del porto (illegale) d’arma non
si trovano in rapporto di specialità tra loro e, di regola, concorrono. Vi può essere
assorbimento nel solo caso in cui si riscontri piena coincidenza temporale tra la detenzione e il porto della medesima arma. Tale ipotesi è peraltro residuale e, anche
in pura linea di fatto, non rispondente all’id quod plerumque accidit, poiché è normale che l’agente acquisti prima la disponibilità dell’arma e poi, in relazione a situazioni contingenti sopravvenute, la porti con sé. Ne segue che solo l’acquisita
prova del contrario può giustificare l’assorbimento; in proposito non si configura un
onere probatorio a carico dell’imputato, incompatibile con il sistema processuale,
bensì un onere di allegazione, nel senso che, in mancanza di specifica deduzione
della concreta contemporaneità delle due condotte, il giudice non è tenuto a effettuare verifiche e può attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione sul porto (cfr. Cass., Sez. 1, 20 dicembre 2001, n. 4490, rv. 220647, Lo
Russo; Sez. 1, 11 giugno 1996, Zavettieri).

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che non vi è prova dell’alterazione dell’arma da parte del Vaccaro. La prova di esse-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

3.8 — Inammissibile, infine, sono le doglianze in punto di trattamento sanzionatorio. Deve valere qui il rilievo che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far
emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento

censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni
difensive dell’appellante, non è neppure tenuto ad un’analitica valutazione di tutti
gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale
di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (v., tra le
tante, Sez. 3, 8 ottobre 2009, Esposito): il giudice si è attenuto a tale principio valorizzando negativamente, tra i criteri valutativi tratteggiati dall’art. 133 cod. pen.,
non solo l’assenza in atti di un qualsivoglia elemento suscettibile di positiva valuta-

zione a tali fini, ma anche la gravità del fatto derivante dalla circostanza che l’arma
era clandestina e carica.
4. — Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende

per questi motivi
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 11 dicembre 2013
Il

sigliere estensore

algroornlemil

residente

della pena concreta alla gravita effettiva del reato ed alla personalità del reo, non è

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