Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5871 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5871 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Vella Orazio

n. il 19 luglio 1976

2) Vella Marco

n. il 19 dicembre 1983

avverso
la sentenza 27 luglio 2012 — Corte di Assise di Appello di Caltanissetta;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr. Ni-

cola Lettieri, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto, per Vella Marco, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti alla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta per nuovo giudizio e per Vella Orazio, il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;
uditi i difensori delle costituite parti civili avv. Paolo Savio, Orazio Scicolone (anche

in sostituzione dell’avv. Giovanni Milazzo) e Fabio Calderoni anche in sostituzione
dell’avv. Lorenzo Marchese che hanno chiesto la declaratoria di inammissibilità dei
ricorsi degli imputati o in subordine il rigetto;

Data Udienza: 11/12/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

udito il difensore avv. Danilo Tipo, che ha concluso per Vella Marco per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
udito il difensore avv. Giovanni Aricò, per entrambi gli imputati, ha concluso per

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Pubblica udienza: 11 dicembre 2013 – Vello Orazio – RG: 8101/13, RU: 08;

l’accoglimento dei motivi di ricorso.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata in data 27 luglio 2012, la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, confermava la sentenza 15 luglio 2011 che aveva dichiarato Vella Orazio e Vella Marco responsabili del reato di omicidio volontario in concorso e,
applicate le attenuanti generiche ex art. 62 bis cod pen., e l’attenuante di cui
all’art. 61 n. 2 cod pen., applicata la diminuente del rito abbreviato, condannava

di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali del giudizio e di quelle relative alla custodia cautelare in carcere condannandoli altresì al pagamento delle
spese processuali del grado sostenute dalle costituite parti civili.
1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, Vella
Orazio e Vella Marco, titolari del bar Rouse sito in Gela, aggredivano con due bastoni all’interno del proprio locale, Cannizzo Benito infliggendogli lesioni gravissime
dall’esito mortale.
1.2. — Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del
giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle svolte indagini di polizia
giudiziaria, dalle ammissioni dei prevenuti (in particolar si appurava che Vella Orazio aveva mandato via dal locale il fratello, in vista della volontà di affrontare la vittima e poi, armato di due bastoni, aveva aggredito il Cannizzo, una volta che questo uscì dalla toilette del locale, venendo però in un secondo momento aiutato dal
fratello Marco, nei frattempo ritornato nel bar, che munitosi di uno dei due bastoni
caduti a terra, si metteva a sua volta a percuotere il Cannizzo per aiutare il germano in difficoltà) e dalle dichiarazioni dei testimoni escussi.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite i propri rispettivi difensori avv.ti
Danilo Tipo unitamente all’Avv. Giovanni Aricò per Vella Marco e Nicoletta Cauchi,
unitamente all’Avv. Giovanni Aricò per Vella Orazio, hanno interposto tempestivo
ricorso per cassazione i prefati proponendo due distinti ricorsi.
a) con la prima doglianza veniva rilevata l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla esclusione della
scriminante della legittima difesa quanto meno sotto il profilo della putatività ovvero della fattispecie colposa ai sensi dell’art. 55 cod. perì.; il giudice ha per vero errato nella esclusione di detta scriminante non avendo considerato che i due Vella
erano oggetto di continue vessazioni da parte del Cannizzo che non mancava di essere con loro prevaricatore e violento, addirittura, per Vella Orazio, anche il giorno

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Vella Orazio alla pena di anni otto di reclusione e Vella Marco alla pena di anni sette

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del fatto; e questa è un’ipotesi paradigmatica di legittima difesa; il giudice ha altresì errato trattando congiuntamente la posizione dei due fratelli senza operare alcun
distinguo nella loro condotta; se è certo che il giudice ha fondato la ricostruzione
del fatto sulla base delle prime dichiarazioni rese agli inquirenti da Vella Orazio, doveva allora tener conto che quest’ultimo aveva allontanato il fratello Marco per affrontare da solo il Cannizzo, sicché la scriminante in parola doveva essere quantomeno per lui ravvisata allorquando, vedendo soccombere il fratello, gli aveva dato

presentato dall’aver voluto affrontare la vittima. Il giudice avrebbe dovuto poi ritenere quantomeno sussistente la scriminante putativa ovvero l’eccesso colposo nella
legittima difesa;
b) con la seconda censura veniva eccepita la violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.;
la sentenza, in punto di omicidio preterintenzionale, tiene conto del solo numero dei
colpi inferti e della regione corporea attinta senza individuare l’esistenza di un accordo preventivo tra i fratelli o, prima ancora, della volontà omicida in capo a Vella
Orazio. Non è dato comprendere dalla motivazione quando i due agenti avrebbero
mutato il loro atteggiamento psicologico quantomeno sul piano rappresentativo
dell’evento morte.

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Motivi della decisione

3. — Il ricorso di Vella Marco è fondato e va accolto, mentre quello avanzato da
Vella Orazio deve essere respinto.
3.1 — Dalla lettura della sentenza gravata si ravvisano per vero alcune argomentazioni attinenti alla posizione di Vella Marco che si profilano illogiche. Una volta infatti che il giudice di merito ha ritenuto che tra le diverse ricostruzioni fattuali
possibili fosse da privilegiare unicamente quella secondo cui Vella Marco si era allontanato dal bar, perché così comandato dal fratello in vista dell’aggressione al
Cannizzo, per poi farvi ritorno poco dopo, ma solo a colluttazione con la vittima in
corso (dando così il giudicante ulteriore credito al fatto che il secondo bastone fosse stato raccolto dal Marco per terra, là dove era caduto al fratello, nel frattempo
soccombente) non si poteva che separare tra loro la sorte dei due imputati non potendo essere più accomunati dallo stesso giudizio essendo diversa la relativa condotta non più sovrapponibile.

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manforte, senza tuttavia aver preventivamente creato la situazione di pericolo rap-

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Se dunque, avuto riguardo alla prospettazione della scriminante della legittima
difesa (anche putativa), la Corte di appello ha correttamente evidenziato, quanto
all’Orazio, che la ricostruzione dei fatti secondo cui fu Vella Orazio ad aggredire il
Cannizzo autorizzava l’applicazione del principio secondo cui “la determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la configurabilità della legittima difesa non
per la mancanza del requisito dell’ingiustizia dell’offesa, ma per difetto del requisito
della necessità della difesa, sicché l’esimente non è applicabile a chi agisce nella

riamente la situazione di pericolo da lui determinata” (cfr. Cass., sez. 1, 14 febbraio
2006, n. 15025, D. P., rv. 234040; Cass., sez. 1, 9 novembre 2011, n. 2654, M.,
rv. 251834; Cass., sez. 1, 7 dicembre 2007, n. 2911, M., rv. 239205), parimenti
analoga argomentazione non poteva essere spesa in via di automatismo al fratello
Marco, se era stata sposata la versione, così come ha concretamente fatto il giudice, che quest’ultimo è intervenuto solo in un secondo momento per difendere il
germano ritenuto in chiara difficoltà, per di più al di fuori di ogni logica di aggressività primaria preventivamente deliberata da riferirsi al solo Orazio.
3.1.1 — All’evidenza, in presenza di una risoluta condotta aggressiva dell’Orazio, quale è quella accertata ed innanzi descritta, e come correttamente valutato
dal giudice, non era neppure configurabile per il medesimo imputato, la legittima
difesa putativa che postula i medesimi presupposti di quella reale con la sola differenza che, nella prima, la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è
supposta dall’agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti. Tale errore che
ha efficacia esimente se è scusabile e comporta responsabilità ai sensi dell’art. 59
c.p., u.c., quando sia determinato da colpa – deve trovare adeguata giustificazione
in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al
pericolo attuale di un’offesa ingiusta; sicché la legittima difesa putativa non può valutarsi alla luce di un criterio esclusivamente soggettivo e desumersi, quindi, dal
solo stato d’animo dell’agente, dal solo timore o dal solo errore, dovendo, invece,
essere considerata anche la situazione obiettiva che abbia determinato l’errore. Essa, pertanto, può configurarsi se e in quanto l’erronea opinione della necessità di
difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale ma tali da giustificare nell’animo dell’agente la ragionevole persuasione di
trovarsi in una situazione di pericolo, persuasione che, peraltro, deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze oggettive in cui l’azione della
difesa venga a estrinsecarsi. E tali principi, proprio per la differenza temporale di

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ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva, accettando volonta-

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ingresso nel violento alterco da parte del Marco nel teatro dell’omicidio e per tutte
le conseguenze che ne derivavano, dovevano essere riesaminati partitamente dal
giudice attagliandoli alla diversa situazione psicologica e materiale della situazione
riguardante il compartecipe, argomentando di conseguenza.

3.1.2 — Infine, se è destituito di fondamento il motivo di impugnazione che
concerne l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 55 cod pen. non sussisten-

dell’Orazio (l’utilizzo di un’arma contro chi si presentò a mani nude non può costituire in alcun modo un errore di valutazione circa l’entità del pericolo anche ad aver
considerato la natura violenza della vittima), mutando il quadro di operatività per
altro fratello, necessitava anche in questo caso di una differente e più approfondita
motivazione che tenesse conto della disuguaglianza di prospettiva.
3.2 — Analoghe conclusioni vanno prese poi in punto di configurabilità del dolo
di preterintenzione. Va premesso che i giudici del merito, in relazione alla posizione
di Vella Orazio, sono stati ottemperanti alla consolidata lezione di questa Corte che
ha sempre insegnato come il criterio discretivo tra l’omicidio volontario e il reato ex
art. 584 cod pen. risieda nell’elemento psicologico, sul rilievo che nella figura preterintenzionale l’agente deve escludere qualsivoglia previsione, anche indiretta (per
dolo eventuale o alternativo), dell’evento morte (cfr., ex pluríbus, Cass., Sez. 1, 30
giugno 2009, n. 30304, rv. 244743, Montagnoli; Sez. 1, 4 luglio 2007, n. 35369,
rv. 237685, Zheng). È noto che l’omicidio preterintenzionale, secondo la nozione
fornitane dal precetto normativo in disamina, si configura allorquando l’azione aggressiva dell’autore del reato sia diretta soltanto a percuotere la vittima o a causarle lesioni, così che la morte costituisca un evento non voluto, ancorché legato da
nesso causale alla condotta dell’agente. Sul terreno dell’accertamento concreto,
quando la lesione produttiva dell’evento letale sia stata recata per mezzo di
un’arma, l’accertamento del fine perseguito dall’agente deve essere attuato tenendo conto del tipo dell’arma usata, della reiterazione e direzione dei colpi, della distanza di sparo, della parte vitale del corpo presa di mira e di quella concretamente
attinta (Cass., Sez. 5, 26 maggio 2011, n. 36135). Il criterio distintivo tra l’omicidio
volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede dunque nell’elemento psicologico
(essendo peraltro del tutto pacifico che l’esatta individuazione del dolo, elemento di
sua natura interno al soggetto, deve essere desunta da elementi esterni rivelatori o
sintomatici, e dunque da una rigorosa valutazione degli “elementi oggettivi desunti
dalle concrete modalità della condotta”), nel senso che nell’ipotesi della preterin-

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do le condizioni per riconoscere l’eccesso colposo nella legittima difesa da parte

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tenzione la volontà dell’agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre nell’omicidio volontario la volontà dell’agente è costituita dall’animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento è rimesso
alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della
condotta, quali il tipo e la micidialità dell’arma, la reiterazione e la direzione dei
colpi, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta (Cass.,

3.3 — Ciò posto, ribadendo come i giudici del merito si siano correttamente attenuti a tale tradizionale insegnamento giurisprudenziale, occorre rilevare come la
ricostruzione in fatto espressa dalla Corte territoriale, dalla quale desumere
l’interna direzione dell’animo del prevenuto, risulta logica e coerente e quindi non
censurabile in questa sede. È stata per vero ritenuta la sussistenza per l’Orazio del
dolo omicidiario nella forma del dolo diretto (con conseguente esclusione del paradigma dell’omicidio preterintenzionale) sulla base della relazione medico-legale che
ha evidenziato la violenza dei colpi inferti al capo della vittima, capaci di provocare
la frattura della calotta cranica con gravissime lesioni encefaliche; in altre parole il
dolo diretto aveva trovato specifica espressione nel tipo di arma usata (bastone),
nella forza impressa ai colpi, ma anche della ricognizione della sede corporea attin-

ta (i colpi erano stati diretti, con precisione, alla testa). Per quanto concerne la posizione del Marco, la già più volte sottolineata diversa configurabilità di ruolo, avrebbe anche in questo caso imposto una corrispondente motivazione di supporto
invece del tutto omessa.

4. — Sulle spese processuali sopportate dalle parti civili provvederà il giudice
del rinvio.
5. — Al rigetto del ricorso di Vella Orazio consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

per questi motivi
annulla la sentenza impugnata nei confronti di Vella Marco e rinvia per nuovo
giudizio alla Corte di Assise di Appello di Catania.
Rigetta il ricorso di Vella Orazio che condanna al pagamento delle spese processuali.

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Sez. 1, 4 luglio 20007, n. 35369).

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Riserva la decisione sulle spese delle parti civili al prosieguo.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, 1’11 dicembre 2013

Il Presidente

Il q4nsigliere estensore

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