Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5856 del 20/12/2013

Penale Sent. Sez. 5 Num. 5856 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
T.P.
avverso la sentenza n. 766/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
29/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.

Data Udienza: 20/12/2013

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29/01/2013 la Corte d’appello di Trieste ha confermato la decisione di
primo grado che aveva condannato T.P. alla pena di anni tre di reclusione,
avendolo ritenuto responsabile, quale amministratore di fatto della E. s.r.l. in
liquidazione, fallita in data 29/03/2007, di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione e
documentale (capo a) nonché dei reati di cui agli artt. 8, ult. co ., e 2 d. Igs. n. 74 del 2000
(capi b e c). Alla determinazione della pena si è giunti, applicando sulla pena base di anni tre
di reclusione per la bancarotta per distrazione, l’aumento sino a quattro anni per la

infine, la riduzione di un terzo, per l’adozione del rito abbreviato.
2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, con riferimento
alla condanna intervenuta in relazione alla violazione degli artt. 2 e 8 d. Igs. n. 74 del 2000.
Al riguardo, rileva il ricorrente: a) che la fattispecie di cui all’art. 2 cit. riguarda l’utilizzo di
documenti oggettivamente e non soggettivamente falsi e che, nel caso di specie, le opere
affidate dalla società fallita erano state eseguite; b) che non poteva essergli imputata
l’irregolare gestione contabile e societaria da parte delle imprese che avevano eseguito i
lavori; c) che irrilevante era la mancata conoscenza, da parte dei committenti della società
fallita, delle imprese che operavano in subappalto, dal momento che i primi avevano un
rapporto contrattuale diretto solo con la prima; d) che nessun rilievo poteva essere
assegnato all’importo di alcune fatture rispetto al totale contrattualmente stabilito, giacché si
trattava di una scelta imprenditoriale scaturente dalla necessità di rivolgersi a terzi per
onorare gli impegni assunti con i clienti; e) che le stesse committenti avevano, peraltro,
riconosciuto che in cantiere era presente il titolare di alcune delle imprese subappaltatrici,
ossia R.L., mentre l’eventuale inadeguatezza di esse non escludeva che anche
esse si fossero awalse di terzi.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta erronea applicazione degli artt 42 e 43 cod. pen., per
avere la Corte territoriale attribuito all’imputato il ruolo di amministratore di fatto,
principalmente in ragione della delega conferitagli dalla madre, senza considerare che non
era emerso alcun elemento dal quale desumere il titolare effettivo delle scelte economiche
ed aziendali. Il ricorrente, al riguardo, rileva: che i clienti, fornitori e dipendenti lo avevano
conosciuto proprio in ragione dei poteri derivanti dalla delega ricevuta; che egli aveva solo
interloquito con loro di aspetti tecnici e mai imprenditoriali; che, in definitiva, egli aveva solo
aiutato la madre — che infatti aveva avuto rapporti col commercialista della società -, alla
quale aveva presentato rendiconti orali. Anche alcune delle distrazioni contestate vengono
dal ricorrente svalutate, nel loro significato probatorio, attesa l’assenza di qualunque
compenso in suo favore.

1

bancarotta documentale, l’ulteriore aumento di mesi sei per le ipotesi di cui ai capi b) e c) e,

2.3. Con il terzo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale (art. 157 cod.
pen.), sottolineando che il 29/12/2012 si era estinto per prescrizione il reato di cui al capo c)
d’imputazione, con riguardo alla dichiarazione presentata in data 29/06/2005.

Considerato in diritto
1. Esaminando, preliminarmente, il terzo motivo di ricorso, va rilevato che, in assenza di
evidenti cause di inammissibilità, risultano estinti per prescrizione i due reati contestati sub b
(art. 8, ult. comma, d.lgs. n. 74 del 2000), in relazione all’emissione, in data 30/11/2005 e
25/01/2006, di due fatture per operazioni inesistenti. Così come risulta estinto per

di elementi passivi fittizi nella dichiarazione presentata in data 29/06/2005.
2. Con riguardo al restante reato contestato sub c, relativo all’esposizione di elementi passivi
fittizi indicati nella dichiarazione presentata in data 29/06/2006 (per il quale il termine di
prescrizione era destinato a maturare in data 29/12/2013), il primo motivo di ricorso è
infondato.
Va, infatti, rilevato — e siffatte considerazioni valgono ad escludere con riferimento ai reati
indicati sub 1 l’esistenza di evidenti cause idonee a giustificare una pronuncia ex art. 129
cod. proc. pen. — che il motivato apprezzamento dei giudici di merito muove dalla
considerazione del carattere assolutamente generico delle giustificazioni delle fatture e dalla
sostanziale assenza in capo ad alcune imprese emittenti (la M & M, la Safety and Noise
Control, la ditta R.L. Costruzioni) di un’adeguata struttura organizzativa in grado di
affrontare qualunque commessa. Quanto alla R.L. Costruzioni è poi emerso che i
previsti lavori di intonacatura presso un cantiere erano ancora in corso ad opera di soggetto
diverso. Con riferimento ad altra società (la Quarta Costruzioni, peraltro in scioglimento) si è
appurato che essa non disponeva dei mezzi necessari ad effettuare le opere di trattamento,
demolizioni varie e di trasporto e che altre imprese avevano eseguito lavori siffatti. Ciò
senza considerare che le date di due fatture non erano cronologicamente congruenti.
Quanto, infine, alla società F. si è sottolineato, al di là dell’assenza di ogni
documentazione dell’attività svolta, che l’importo totale della fatture ascendeva ad un
importo di euro 350.000, a fronte di una commessa di euro 800.000.
Non casualmente i rappresentanti delle imprese committenti che avevano appaltato i lavori
alla E. s.r.l. avevano riferito di avere effettuato controlli periodici nei cantieri per
verificare la corrispondenza tra i lavoratori presenti e la loro iscrizione nel libro matricola e
avevano escluso di conoscere le società M & M, Q., F. s.r.l. e avevano
affermato di avere conosciuto A.R.L. come tecnico della E.  e mai come
soggetto di impresa.
Tali elementi fattuali non oggetto di alcuna critica dimostrano l’assoluta inverosimiglianza
della ricostruzione alternativa prospettata dal ricorrente, in ordine all’effettiva esecuzione
delle opere descritte nelle fatture e per gli importi documentati.

2

prescrizione il reato di cui al capo c (art. 2 d. Igs. n. 74 del 2000), in relazione all’esposizione

L’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale il T.P. non era stato in grado di
indicare alcun collegamento tra quanto indicato in fattura e le opere effettivamente eseguite
(dall’emittente le fatture o da altri) è rimasta priva di una smentita fondata sulle risultanze
processuali.
Consapevole di tale realtà, il T.P. giunge a sostenere che la diseconomicità di alcuni
subappalti si giustificherebbe con il proposito di soddisfare comunque il cliente, come se un
imprenditore potesse sottrarsi all’esigenza di garantirsi un profitto dalla propria attività.
Inoltre, proprio il riscontro operato dalle committenti in ordine ai lavoratori presenti esclude

ipotizzarsi che il ricorrente, mosso dal vantato desiderio di soddisfare i clienti e soprattutto
tenuto all’adempimento dei contratti conclusi (e ciò senza dire degli obblighi di garantire la
sicurezza nei cantieri), potesse disinteressarsi della struttura delle imprese subappaltrici, che,
come s’è visto, s’è rivelata nella maggior parte dei casi assolutamente inesistente.
3. Il secondo motivo è, invece, inammissibile, per l’assoluta genericità delle censure che
investono l’accertamento di merito in ordine al ruolo di amministratore di fatto del T.P. , il
quale, già dichiarato fallito in precedenza e in costanza delle inibizioni all’esercizio dell’attività
imprenditoriale, operava in forza di una delega generale da parte della madre e non si
limitava, come sostiene in ricorso, a disquisire di aspetti meramente tecnici con clienti,
fornitori e dipendenti.
Al riguardo, il commercialista della società fallita ha infatti riferito che la gestione della
società faceva capo al T.P. , il quale aveva anche proposto al primo delle operazioni di
“compensazione” contabilmente non corrette e gli aveva assicurato che avrebbe dato
disposizione all’ufficio amministrativo di redigere “prospetti di rimborso spese per quei
maggiori importi ricevuti”. Del resto, la sentenza impugnata ha aggiunto che la madre del
T.P. aveva ammesso al curatore fallimentare di essere all’oscuro della gestione della
società, in tal modo confermando quanto riferito in sede di verifica alla Guardia di Finanza,
quanto al fatto che la gestione di fatto era demandata al figlio.
4. In conseguenza dell’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione ai
reati sopra ricordati sub 1, occorre procedere alla eliminazione della relativa pena di tre
mesi, risultante dall’aumento per continuazione disposto dai giudici di merito.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui al capo b) e di cui al
capo c) commesso il 29 giugno 2005, perché estinti per prescrizione ed elimina la relativa
pena di mesi tre di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 20/12/2013

Il Componente estensore

Il Presidente

l’intervento di terzi, rimasti sconosciuti, nell’esecuzione delle opere. Né può verosimilmente

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