Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5851 del 15/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5851 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) PANICO SALVATORE N. IL 28/06/1964
avverso la sentenza n. 867/2008 CORTE APPELLO di SALERNO, del
12/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. v (T -u O ‘AMA. c$1 ,0
che ha concluso per i (1, ((A-1N b CL

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udijdifensor Avv. vi,/ ceet,-, rtifil-Miri

Data Udienza: 15/11/2012

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 12 dicembre 2011, la Corte d’appello di Salerno ha solo
parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 18 giugno 2007, con
la quale l’imputato era stato dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 474 e 517
cod. pen., per avere importato, quale titolare di un negozio, 4000 cinture in plastica,
contenute in 22 colli, riportanti l’indicazione mendace «vera pelle», destinate alla
rivendita e atte a indurre in inganno gli eventuali compratori sull’origine del prodotto,

distrettuale: ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 474 cod. pen., con la formula
«perché il fatto non sussiste»; ha confermato la condanna quanto al reato di cui
all’art. 517 codice penale, rideterminando la pena in diminuzione.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, rilevando, con unico motivo di doglianza, il travisamento della prova,
sull’assunto che, da quanto affermato dalla Corte d’appello, emergerebbe che i colli
contenenti le cinture in plastica con dicitura «vera pelle» erano stati pagati un prezzo
di circa C 1500,00 del tutto corrispondente, tenuto conto delle debite proporzioni, a
quello relativo ai 15 colli contenenti cinture in plastica senza dicitura «vera pelle», pari
a circa C 1400,00 e di molto inferiore al prezzo pattuito per le cinture genuine di vera
pelle indicato in fattura. Secondo la prospettazione difensiva, dalla fattura del 1°
gennaio 2003 e dal verbale di contestazione del 6 marzo del 2003 non emerge che per
i 22 colli contenenti le cinture in plastica con dicitura «vera pelle» sia stato pagato un
prezzo di circa C 1500,00, né che per i 15 colli contenenti cinture di plastica senza
dicitura «vera pelle» sia stato pagato il prezzo di C 1400,00 circa, né, tantomeno, che
l’imputato abbia effettivamente pattuito l’acquisto di dette cinture di plastica. La difesa
produce, poi, estratti degli atti di causa allo scopo di dimostrare la mancanza
dell’elemento soggettivo, affermando che da tali atti non si può evincere che
l’imputato abbia pattuito l’acquisto di cinture in plastica e non l’acquisto di cinture in
pelle.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché diretto ad ottenere da questa Corte una
rivalutazione del merito della responsabilità penale; rivalutazione preclusa in sede di
legittimità.
Deve, infatti, richiamarsi, sul punto, il principio affermato dalla giurisprudenza
di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di
legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art.

rinvenute da personale doganale durante un controllo. In particolare, la Corte

606, primo comma, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e
coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel
corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di
giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce
successive alle modifiche apportate all’art. 606 cod. proc. pen. dalla legge 20 febbraio

3, 19 marzo 2009, n. 12110; sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; sez. 3, 9 febbraio
2011, n. 8096).
Con una motivazione ampia e coerente, che si pone – per la parte che qui rileva
– in continuità con quella della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha desunto
la sussistenza della responsabilità penale dell’imputato, anche sotto il profilo
soggettivo, da una serie di elementi correttamente ritenuti univoci e concordanti: a) le
cinture rinvenute dal personale della dogana erano in plastica ma riportavano
l’indicazione «vera pelle»; b) dall’esame della fattura cui si richiama il ricorrente non
emerge la dicitura «vera pelle», che invece le cinture poi effettivamente recavano, con
la conseguenza che non risulta provato che l’imputato avesse pattuito l’acquisto di
cinture in pelle; c) dal complesso della documentazione in atti emerge che il prezzo
pagato per le cinture è irrisorio e corrisponde effettivamente al valore commerciale di
cinture in plastica e non in pelle; d) è implausibile che l’imputato abbia ricevuto un
aliud pro alio sotto la forma di cinture contraffatte il cui acquisto non era stato
pattuito.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile, con la
conseguenza che trova applicazione il principio, costantemente enunciato dalla
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la
prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta
alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di
un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez.
1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del

2006, n. 46: sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; sez.

versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2012.

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