Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5849 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5849 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARTOLI CATALDO N. IL 30/07/1979
CALABRESE FRANCESCO N. IL 22/07/1986
CALDAROLA LORENZO N. IL 24/05/1973
DE GIGLIO TOMMASO N. IL 08/11/1984
RAGGI GIOVANNI N. IL 19/10/1986
RAGGI VITO N. IL 29/08/1979
RAGGI VITO NICOLA ANTONIO N. IL 15/12/1977
TELEGRAFO NICOLA N. IL 14/08/1976
avverso la sentenza n. 3618/2010 CORTE APPELLO di BARI, del
17/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI LBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott
che ha concluso per

Data Udienza: 18/12/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi di Bartoli
Cataldo, Raggi Vito, Raggi Vito Nicola Antonio e Telegrafo Nicola e il
rigetto dei ricorsi di Calabrese Francesco, Caldarola Lorenzo, De Giglio
Tommaso e Raggi Giovanni.
Per il ricorrente Calabrese Francesco, è presente l’Avvocato Quaranta, il
quale chiede l’accoglimento del ricorso.
Per i ricorrenti Caldarola Lorenzo, Calabrese Francesco e Raggi Vito è

quale chiede l’accoglimento dei ricorsi.
Per i ricorrenti Raggi Giovanni e Telegrafo Nicola è presente l’Avvocato
Chiariello, il quale chiede l’accoglimento dei ricorsi.
Per il ricorrente Raggi Vito Nicola Antonio, è presente l’Avvocato
Fiormonti, il quale chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Bartoli Cataldo, Calabrese Francesco, Caldarola Lorenzo, De Giglio

Tommaso, Raggi Vito, Raggi Vito Nicola Antonio e Telegrafo Nicola sono
imputati del reato di cui all’articolo 416-bis del codice penale per aver
partecipato, nonostante lo stato di detenzione, all’associazione di stampo
camorristico-mafioso denominata clan Strisciuglio nel

periodo

intercorrente tra il gennaio 2007 e l’attualità (capo D).
2.

Raggi Giovanni è imputato dei reati di violazione aggravata della

legge sulle armi (capi B e C); Raggi Giovanni e Caldarola Lorenzo sono
imputati del reato di tentato omicidio aggravato ai sensi dell’articolo 7
della legge 203-1991, in danno di Lovreglio Giovanni e Raggi Angela
(capo A).
3.

La sentenza di primo grado, emessa dal gip del tribunale di Bari,

ha ritenuto gli imputati responsabili dei reati ascritti e li ha condannati
alle pene di legge. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 17 aprile
2012, in riforma di quella di primo grado, ha: -assolto Caldarola Lorenzo
dal reato contestato al capo A (tentato omicidio), rideterminando la pena
inflitta per la residua imputazione in anni cinque di reclusione; rideterminato le pene nei confronti di Bartoli Cataldo, Calabrese
Francesco, De Giglio Tommaso, Raggi Vito, Raggi Vito Nicola Antonio e
Telegrafo Nicola, previo riconoscimento della continuazione tra il reato
agli stessi ascritto al capo D e quelli giudicati con la sentenza emessa

1

presente l’Avvocato Quarta, anche in sostituzione dell’avv. Carrieri, il

dalla prima sezione della Corte di assise di appello di Bari il 16/4/2010,
irrevocabile il 12 gennaio 2012 (per Raggi Vito il 28/3/2012); rideterminato la pena nei confronti di Raggi Giovanni, previa esclusione
della circostanza aggravante di cui all’articolo 7 della legge 203-91.
4.

Contro la predetta sentenza propongono ricorso per Cassazione gli

imputati per i seguenti motivi:
5.

Bartoli Cataldo

129 del codice di procedura penale e conseguente assenza di
motivazione in ordine all’aumento sanzionatorio ai sensi
dell’articolo 81 del codice penale. Secondo il ricorrente la
Corte avrebbe omesso di motivare in ordine alla verifica della
sussistenza di cause di immediata declaratoria di non
punibilità, nonché in ordine al ragionamento sotteso
all’aumento di pena in riconoscimento del vincolo della
continuazione.
6.

Calabrese Francesco
a.

mancanza e manifesta illogicità della motivazione, risultante
dal testo del provvedimento impugnato; violazione
dell’articolo 192, comma 3, cod. proc. pen.. Secondo il
ricorrente l’apparato motivazionale sviluppato dalla Corte di
appello di Bari, ai fini dell’asserito accertamento della
responsabilità penale del Calabrese, sarebbe del tutto carente,
illogico e contraddittorio, non avendo i giudici individuato
alcuna condotta di partecipazione, tale non potendosi ritenere
la mera ricezione di denaro in carcere.

b.

Erronea applicazione di legge e difetto di motivazione in
ordine al diniego delle attenuanti generiche ed all’entità
dell’aumento ex articolo 81 capoverso del codice penale (il
Calabrese propone un motivo di ricorso che sarà fatto proprio
anche da Raggi Vito; sostiene, cioè, che sia immotivato e
sproporzionato l’aumento per la continuazione (anni tre e
mesi nove di reclusione, ridotta per il rito ad anni due e mesi
sei di reclusione) con la medesima condotta associativa
giudicata nel processo ECLISSI, laddove in quest’ultimo
processo per la partecipazione all’associazione dal 2003 al
gennaio 2007 è stato applicato un aumento molto inferiore

2

a. nullità della sentenza per erronea applicazione dell’articolo

(un anno di reclusione, ridotto per il rito a mesi otto di
reclusione).
Con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, ritiene
la difesa che la Corte avrebbe dovuto valutare la concedibilità
delle stesse anche in relazione al reato unificato.
7.

Caldarola Lorenzo
a. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione

sub capo D della rubrica. Violazione degli articoli 192 e 546,
lett. E, cod. proc. pen.. Sotto tale profilo si contesta che la
Corte d’appello, pur avendo assolto il ricorrente
dall’imputazione di mandante di tentato omicidio (capo A) si
sia appiattita su dichiarazioni generiche come quelle dei
collaboratori Querini e Valentino, che non individuano alcuna
condotta di partecipazione; a tal fine la difesa riporta alcuni
stralci delle prove ed osserva, in particolare, che il mandato
per la riorganizzazione delle attività illecite del sodalizio risale
ad epoca anteriore al 2007 e sarebbe quindi fuori del periodo
oggetto di contestazione (che va dal gennaio 2007 al 2010). Il
ricorrente contesta, poi, la mancanza di riscontri esterni alle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed osserva che la
corrispondenza epistolare aveva superato il controllo della
censura ed era comunque intervenuta con parenti o con
soggetti estranei al sodalizio.
8.

De Giglio Tommaso
a. erronea applicazione della legge processuale in relazione agli
articoli 546, lett. E, 101, 254, 365, 366, 603, comma tre,
codice di procedura penale, 18 ter ordinamento penitenziario,
articolo 15 Cost., articolo 8 della CEDU, riguardo alla
utilizzazione indiretta (attraverso il richiamo ad essa nella
comunicazione di notizia di reato) di corrispondenza epistolare
illegittimamente acquisita, in violazione del divieto di
utilizzazione di prova acquisita contra legem. Con riferimento
alla corrispondenza del periodo 2006-2008, dice la difesa, la
Corte elude la questione sulla legittimità dell’acquisizione,
affermando di non poter effettuare tale verifica dato che il
contenuto della corrispondenza veniva richiamato nella

3

al giudizio di colpevolezza espresso con riferimento al reato

comunicazione notizia di reato (CNR) della polizia giudiziaria,
in cui nulla si diceva sulle modalità di acquisizione. Secondo il
ricorrente la Corte d’appello avrebbe dovuto compiere d’ufficio
la verifica sulla legittima acquisizione della corrispondenza,
non spettando alla difesa richiedere tale documentazione;
inoltre, le modalità di acquisizione della corrispondenza
utilizzate nel 2009 evidenziavano la consapevolezza da parte
della procura della Repubblica della illegittimità della

anche la corrispondenza acquisita nel 2009 sarebbe, secondo
la difesa, inutilizzabile, essendosi applicata in via analogica la
disciplina in tema di intercettazioni, invece che seguirsi le
forme del sequestro di corrispondenza di cui agli articoli 254 e
353 del codice di procedura penale, nonché le particolari
formalità stabilite dall’articolo 18-ter dell’ordinamento
penitenziario.
b. Violazione di legge e vizio di motivazione per mancanza di
riscontri esterni alla chiamata in reità

de relato

del

collaboratore di giustizia Valentino Giacomo; secondo la difesa
vi sarebbe manifesta contraddittorietà ed illogicità della
motivazione laddove la Corte territoriale, nell’affermare la
ricorrenza del principio di circolarità delle notizie, lo fonda sul
fatto che si verte in tema di notizie assunte nell’ambito
associativo, la cui fonte sarebbe Marino Catacchio (e tale dato
sarebbe in contrasto con quanto affermato nella sentenza
ECLISSI). L’argomentazione della Corte d’appello si
fonderebbe, inoltre, su un dato erroneo e cioè sull’intraneità
del Marino Catacchio; con la conseguenza che il collaboratore
Valentino riferisce notizie apprese da soggetto non intraneo e
dunque de relato, che non possono riscontrarsi con altra
chiamata in correità.
9. Raggi Vito

a. violazione dell’articolo 125, comma 3, del codice di procedura
penale nonché difetto assoluto, contraddittorietà ed illogicità
della motivazione in ordine all’entità dell’aumento della pena
per effetto della continuazione. Lamenta il ricorrente che nel
calcolo dell’aumento, per il reato giudicato in questo processo,
con la condanna inflitta nel procedimento “ECLISSI”, sia stata
4

precedente acquisizione (relativa agli anni 2006-2008). Ma

applicata una pena pari al triplo (anni tre, ridotti per il rito ad
anni due) di quella che era già stata applicata come aumento
“interno” nel predetto procedimento ECLISSI (anni uno,
ridotta per il rito a mesi otto), pur essendo il periodo di
partecipazione all’associazione oggi in esame pari a circa la
metà di quello che aveva formato oggetto della continuazione
interna. Ciò che manca, dunque, secondo il ricorrente, è una
valutazione comparativa, in termini di maggiore o minore

2007 e quella del periodo 2007-2010.
b. Violazione dell’articolo 125 cod. proc. pen. in ordine alla
negata riduzione della pena conseguente al diniego delle
attenuanti generiche; difetto, illogicità e contraddittorietà
della motivazione. Il ricorrente lamenta che la Corte abbia
omesso il giudizio sulla concedibilità delle attenuanti
generiche, sulla considerazione che esse erano già state
concesse nel processo “ECLISSI”, con la condanna per il reato
ritenuto più grave, sul quale è stata applicata la continuazione
per il fatto oggi giudicato.
10. Raggi Vito Nicola Antonio
a. omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in ordine alla
richiesta di riduzione della pena; secondo il ricorrente il
giudice di appello non ha minimamente illustrato le ragioni in
fatto e in diritto poste a fondamento del suo convincimento,
sia in punto pena, che per la mancata concessione delle
attenuanti generiche.
11. Raggi Giovanni
a. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli
articoli 546, lett. E, 192, commi 1 e 3; 187, 195, 210, 197
bis, 371, comma 2, lett. B, 194, 267 e seguenti, 533 del
codice di procedura penale. Il difensore dell’imputato sostiene
che la motivazione della sentenza impugnata sia inficiata da
plurimi errori in giudicando ed in procedendo, che si
ripercuoterebbero sul procedimento di ricostruzione e
valutazione del compendio probatorio. In particolare, si
lamenta l’asservimento delle conversazioni ambientali ad una
opzione decisoria precostituita e si contesta la ritenuta

5

gravità, tra la condotta di partecipazione nel periodo 2000-

sussistenza di un rilevante, ai fini di causa, patrimonio di
conoscenza interno alla compagine criminale. Il ricorso, poi,
insiste particolarmente sulla questione relativa all’avvenuto
riconoscimento degli aggressori da parte di Raggi Angela e
Lovreglio Giovanni. In diritto, rileva che le dichiarazioni del
coimputato devono essere confermate da riscontri esterni
individualizzanti e sostiene che la chiamata in reità de relato
non possa essere riscontrata da altra dichiarazione de relato.

articoli 546, lett. E, 62 bis, 69, 133 del codice penale, per
assoluto vuoto motivazionale in ordine al trattamento
sa nzionatorio.
12. Telegrafo Nicola

a. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli
articoli 62 bis e 133 del codice penale; lamenta il ricorrente
che nonostante la presenza di uno specifico motivo di appello
in ordine alla concessione delle attenuanti generiche con
giudizio di prevalenza, la Corte nulla abbia detto sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di Bartoli Cataldo è inammissibile, quanto alla prima
censura, in ossequio al seguente principio di diritto, più volte
affermato da questa Corte: “È inammissibile il ricorso per cassazione
avverso la decisione del giudice di appello che, rilevata la rinuncia
dell’imputato ai motivi di appello diversi da quelli relativi alla
riduzione di pena, dichiari, in virtù degli art. 589, commi secondo e
terzo e 591, comma primo, lett. d) cod. proc. pen., l’inammissibilità
sopravvenuta dei motivi oggetto di rinuncia, omettendone l’esame ai
fini dell’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., considerato che la
rinuncia ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi
compreso il giudizio di legittimità. Pertanto, poiché, ex art. 597,
comma primo, cod. proc. pen., l’effetto devolutivo dell’impugnazione
circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della
decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, una volta che essi
costituiscano oggetto di rinuncia, non può il giudice di appello
prenderli in considerazione, né può farlo il giudice di legittimità sulla

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b. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli

base di un’ipotetica implicita revoca di tale rinuncia, stante
l’irrevocabilità di tutti i negozi processuali, ancorché unilaterali”
(Sez. 2, n. 3593 del 03/12/2010, Izzo, Rv. 249269; conf. Sez. 2, n.
46053 del 21/11/2012, Lombardi, Rv. 255069). In merito
all’aumento per la continuazione, si rileva che il giudice di appello,
nell’ambito dei poteri discrezionali di merito a lui riservati, ha dato
conto delle proprie conclusioni con idonea, anche se succinta,
motivazione alla pagina nove della sentenza, tenendo conto dei

personalità dell’imputato, ruolo svolto all’interno del sodalizio nel
periodo di detenzione).
2. Il primo motivo di ricorso di Calabrese Francesco è infondato;
sebbene difetti un preciso riscontro di Valentino alle dichiarazioni di
Querini, occorre rilevare che la carcerazione non fa venir meno
automaticamente il rapporto del sodale con l’associazione, per cui al
fine di valutare la permanenza di tale rapporto è sufficiente la precisa
chiamata di un correo, incombendo alla parte che invoca la
rescissione del vincolo mafioso fornire elementi di prova sul punto,
che nel caso di specie sono totalmente mancati. Non è vero, poi, che
la ricezione di una provvidenza economica da parte del clan non sia
determinante, essendo anzi un chiaro ed inequivocabile sintomo della
permanenza del vincolo associativo.
3.

Per il resto, il primo motivo di ricorso costituisce reiterazione delle
difese già disattese dai Giudici di merito, ma soprattutto costituisce
una non consentita censura in punto di fatto della sentenza
impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi
di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la
decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del
giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di
legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e
congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.

4. Con un secondo motivo, il Calabrese propone una questione che sarà
fatta propria anche da Raggi Vito; sostiene, cioè, che sia immotivato
e sproporzionato l’aumento per la continuazione (anni tre e mesi
nove di reclusione, ridotta per il rito ad anni due e mesi sei di
reclusione) con la medesima associazione giudicata nel processo
ECLISSI, laddove in quest’ultimo processo per la partecipazione alla
medesima associazione dal 2003 al gennaio 2007 è stato applicato

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criteri di cui all’articolo 133 del codice penale (precedenti penali,

un aumento molto inferiore (un anno di reclusione, ridotto per il rito
a mesi otto di reclusione). Il motivo è infondato; la valutazione di
gravità del singolo episodio criminoso è rimessa ai giudici di merito e
non può formare oggetto di controllo in sede di legittimità, né è
possibile operare un confronto con provvedimenti emessi da altri
giudici in altro procedimento, proprio per le implicazioni di merito che
tale valutazione comporta. La Corte d’appello di Bari ha determinato
l’aumento per la continuazione facendo riferimento ai numerosi

in sentenza, nonché dei criteri di cui all’articolo 133 del codice
penale, con particolare riferimento alla personalità dell’imputato ed al
ruolo svolto all’interno del sodalizio nel periodo di detenzione, come
in sentenza delineato. Trattasi di motivazione che soddisfa i requisiti
minimi di sufficienza e che non evidenzia alcun vizio logico.
5. Infine, con riferimento alla valutazione di concedibilità delle
attenuanti generiche anche per il reato in continuazione, (motivo
comune a Raggi Vito e Raggi Vito Nicola Antonio), la mancata
concessione delle predette attenuanti deve ritenersi giustificata dal
giudizio negativo implicito nell’elencazione dei gravi precedenti penali
dell’imputato e nell’indicazione del ruolo svolto all’interno del
sodalizio (cfr. pag. 24). D’altronde, Il dovere di motivazione sulla
ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche è adempiuto dal giudice ove, con una pur
sintetica espressione, dia dimostrazione di avere valutato la gravità
del fatto, che è uno degli indici normativi per la determinazione del
trattamento sanzionatorio (Sez. 3, n. 11963 del 16/12/2010, Picaku,
Rv. 249754).
6. Il ricorso di Caldarola Lorenzo è infondato. In diritto, si ricorda che in
tema di valutazione della chiamata in reità i necessari riscontri
individualizzanti possono essere offerti anche da elementi di natura
logica e da un’altra dichiarazione, persino “de relato” (Sez. 1, n.
1560 del 21/11/2006, Missi, Rv. 235801); proprio su quest’ultimo
punto si sono recentemente pronunciate le sezioni unite, affermando
che la chiamata in correità o in reità “de relato” può avere come
unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale
dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore (Sez. U, n.
20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255143). Per il resto il motivo
costituisce, con tutta evidenza, reiterazione delle difese già disattese
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precedenti per gravi reati e tenendo conto delle valutazioni espresse

dai Giudici di merito, ma soprattutto una inammissibile censura in
punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente
alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni
ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che
rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui
apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto,
come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente
da vizi logico-giuridici. Il motivo, dunque, è inammissibile, in quanto

un apparato giustificativo della decisione, che invece esiste; non
consentito per la parte in cui pretende di valutare, o rivalutare, gli
elementi probatori al fine di trarne conclusioni in contrasto con quelle
del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio
di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di
cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di

manifestamente infondato, per la parte in cui contesta l’esistenza di

legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente 1244eitAzo

più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Più in
particolare, con riferimento alla asserita incongruenza temporale
relativa al momento di conferimento dell’incarico di riorganizzazione
delle attività illecite del sodalizio, il vizio di motivazione non sussiste
affatto, posto che, secondo la stessa prospettazione difensiva,
l’incarico fu conferito non il 3 agosto 2006 (data di scarcerazione),
ma successivamente (pag. 5 del ricorso e pag. 77 della sentenza: “a
seguito della sua scarcerazione per indulto

intervenuta in data 3

agosto 2006 – aveva ricevuto da parte del Caldarola il mandato …”).
7. Il ricorso di De Giglio Tommaso; entrambe le censure del primo
motivo di ricorso sono accomunate da una assoluta genericità circa il
vizio che in concreto affliggerebbe i due procedimenti acquisitivi della
corrispondenza; la difesa si limita ad enunciare i principi affermati da
una recente sentenza delle sezioni unite (28.997-2012) ed a svolgere
considerazioni in puro diritto, ma non dice come è perché, nel caso di
specie, sarebbero stati violati i suddetti principi. Nemmeno dice in
quale modo (asseritamente illegittimo) sarebbe avvenuta
l’acquisizione della corrispondenza. A fronte di una tale genericità
dell’assunto, questa Corte non è in grado di effettuare il controllo di
legittimità sulla corretta applicazione delle norme di diritto, non

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potendo certo procedere ad un generalizzato esame sul procedimento
formativo delle prove.
8. Il secondo motivo di ricorso si fonda sulla impossibilità di riscontrare
una chiamata in correità de relato con un’altra chiamata in correità;
tale presupposto, però, è fallace, avendo le sezioni unite di questa
Corte affermato (curiosamente il giorno precedente alla
sottoscrizione del ricorso in esame, e cioè il 29 novembre 2012) che
“La chiamata in correità o in reità “de relato” può avere come unico

altra o altre chiamate di analogo tenore (Sez. U, n. 20804 del
29/11/2012 – dep. 14/05/2013, Aquilina, Rv. 255143). In più, la
censura si fonda su considerazioni di fatto (la intraneità o meno di
Marino Catacchio) che non solo non possono essere oggetto di
valutazione in sede di legittimità, ma che sono altresì irrilevanti ai fini
del giudizio, posto che la sentenza non afferma affatto (come
sostiene il ricorrente) che la fonte delle notizie sarebbe il Marino
Catacchio; sul punto il ricorso è generico e non autosufficiente, non
individuando con precisione il passaggio motivazionale ove si
attribuirebbe al

Catacchio la natura di fonte delle notizie. Al

contrario, la Corte sostiene che il Valentino riferisce notizie apprese
nell’ambito associativo e facenti parte di un patrimonio comune (cfr.
pag. 29). Inoltre, il ricorso afferma che il dato erroneo della
intraneità del Catacchio sarebbe rilevabile dal testo impugnato,
ancora una volta senza indicare il passo della sentenza cui si
riferisce; né può ritenersi che la contraddittorietà della motivazione
della sentenza sia riferibile ad una considerazione contenuta in una
sentenza di un diverso processo, giacché il vizio di motivazione
rilevante ai sensi dell’articolo 606 del codice di procedura penale è
solamente quello che risulta dal testo del provvedimento impugnato,
ovvero da altri atti dello stesso processo. Che, poi, il Marino
Catacchio non sia stato ritenuto partecipe dell’associazione fino al
gennaio 2007, non significa automaticamente che egli non abbia fatto
parte del sodalizio nel periodo successivo.
9. Il ricorso di Raggi Vito; il primo motivo è, innanzitutto, privo della
necessaria autosufficienza perché fa riferimento alla sentenza
ECLISSI di appello, senza produrla. Pertanto, questa Corte non può
verificare se effettivamente in quella sede era stato applicato un
aumento di mesi otto, per quale reato e quale fosse la durata

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riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato,

temporale dello stesso. In ogni caso, poiché la gravità del fatto non
può discendere unicamente dalla durata della condotta criminosa,
dovendosi valutare tutti gli elementi di cui all’articolo 133 cod. pen.,
il giudizio comparativo richiesto a questa Corte, al fine di valutare la
censurabilità della sentenza impugnata, comporta valutazioni di
merito sulla gravità dei due episodi e sulla personalità dell’imputato
che non sono consentite in sede di legittimità; senza considerare che,
in linea generale, la reiterazione della condotta criminosa dimostra

ingiustificato un aumento di pena in caso di reiterazione delle
condotte associative. Nel caso di specie, comunque, la Corte
d’appello di Bari pone l’accento sui numerosi precedenti penali
dell’imputato, anche per associazione a delinquere di stampo mafioso
finalizzata al traffico delle sostanze stupefacenti (pagina 11), nonché
sulla sua personalità e sul ruolo svolto all’interno del sodalizio nel
periodo di detenzione, così come delineato nella sentenza di primo
grado (pagina 12 della sentenza impugnata). Trattasi di motivazione
che, sebbene molto sintetica, dimostra comunque che il giudice ha
tenuto conto, nell’ambito dei propri discrezionali poteri di merito, dei
criteri di cui all’articolo 133 del codice penale; nessuna violazione di
legge, dunque, né vizio di motivazione sono riscontrabili nei limiti
imposti dal giudizio di legittimità.
10. Con riferimento alla valutazione di concedibilità delle attenuanti
generiche anche per il reato in continuazione, (motivo comune a
Calabrese e Raggi Vito Nicola Antonio), la mancata concessione delle
predette attenuanti deve ritenersi giustificata dal giudizio negativo
implicito nell’elencazione dei gravi precedenti penali dell’imputato
(cfr. pag.11).
11.11 ricorso di Raggi Vito Nicola Antonio; con riferimento alla
valutazione di concedibilità delle attenuanti generiche anche per il
reato in continuazione, (motivo comune a Raggi Vito e Calabrese
Francesco), la mancata concessione delle predette attenuanti deve
ritenersi giustificata dal giudizio negativo implicito nell’elencazione
dei gravi precedenti penali dell’imputato e nell’indicazione del ruolo
svolto all’interno del sodalizio (cfr. pag. 13). Quanto alla misura della
pena, la Corte d’appello di Bari pone l’accento sui numerosi e gravi
precedenti penali dell’imputato, anche per associazione a delinquere
finalizzata al traffico delle sostanze stupefacenti e al contrabbando

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sempre una maggior capacità a delinquere, per cui non appare

(pagina 13), nonché sulla sua personalità e sul ruolo svolto all’interno
del sodalizio nel periodo di detenzione, così come delineato nella
sentenza di primo grado (pagina 13 della sentenza impugnata). La
predetta motivazione dimostra che il giudice ha tenuto conto,
nell’ambito dei propri discrezionali poteri di merito, dei criteri di cui
all’articolo 133 del codice penale; nessuna violazione di legge,
dunque, né vizio di motivazione è riscontrabile nei limiti imposti dal
giudizio di legittimità.

nella parte in cui contesta le considerazioni di merito operate dalla
Corte e tende ad ottenere una ricostruzione dei fatti mediante criteri
di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale,
con motivazione esente da vizi logici giuridici, ha esplicitato le ragioni
del suo convincimento. Occorre ricordare, in proposito, che nel
controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la
decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma
deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e
compatibile con il senso comune; l’illogicità della motivazione, come
vizio denunciabile, deve essere, inoltre, percepibile “ictu oculi”,
dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze.
In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che
il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita
confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per
escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza
evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della
deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una
valida alternativa (cfr. sez. 2, n. 24847 del 5 maggio 2009,
Polimeni). Il dovere di motivazione della sentenza, cioè, è adempiuto,
ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale
delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo
necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette
ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il
convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto
decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese
le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n.
20092 del 04/05/2011, Schowick). La motivazione della sentenza di

12

12.11 ricorso di Raggi Giovanni: il primo motivo di ricorso è inammissibile

appello è, infatti, del tutto congrua se il giudice abbia confutato gli
argomenti che costituiscono l’ossatura dello schema difensivo
dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della
parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter
argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia
evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria
soluzione alle questioni prospettate dalla parte (Sez. 6, n. 1307 del
26/09/2002, Delvai). Ciò premesso, occorre rilevare che i giudici di

collaboratori ed hanno individuato e vagliato i necessari riscontri ai
sensi dell’articolo 192 del codice di procedura penale. La doglianza si
risolve, allora, in una censura di merito che non può trovare ingresso
nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione approfondita e
una decisione conforme nei due primi gradi di giudizio (sotto tale
profilo è d’uopo ribadire che la Corte ha correttamente richiamato, in
più occasioni, il contenuto della sentenza di primo grado e ciò è più
che legittimo, dal momento che quando le sentenze di primo e
secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli
elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la
struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella
precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo
(Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi). Del tutto prive di
pregio, in quanto valutative ed apodittiche, le considerazioni circa
l’asservimento delle conversazioni ambientali ad una opzione
decisoria precostituita, così come la contestazione circa l’esistenza di
un patrimonio di conoscenza interna alla compagine criminale, il
quale non può essere negato solo perché vi erano conflittualità tra le
varie fazioni. Inammissibili, perché non consentiti in costanza di una
motivazione che non evidenzia illogicità manifeste, i tentativi di
riesaminare le prove al fine di giungere ad una diversa ricostruzione
dei fatti. In particolare, tutte le considerazioni relative all’avvenuto
riconoscimento degli aggressori da parte di Raggi Angela e Lovreglio
Giovanni, quanto al tentato omicidio di cui al capo A, non sono altro
che un tentativo di rilettura – necessariamente parziale e
frammentaria – degli atti, con richiesta a questa Corte di
un’inammissibile intervento nel merito.
13. Quanto alla censura in punto di diritto, secondo cui la chiamata in
reità de relato non può essere riscontrata da altra dichiarazione de
relato, trattasi, come si è già in precedenza osservato, di
13

merito hanno condotto un esame approfondito delle dichiarazioni dei

affermazione destituita di fondamento, perché non tiene conto della
recente pronuncia delle Sezione unite, più volte richiamata in questa
sentenza, secondo cui la chiamata in correità o in reità “de relato”
può avere come unico riscontro, ai fini della prova della
responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo
tenore (cfr. Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255143).
14.11 motivo inerente al trattamento sanzionatorio è manifestamente
infondato, essendoci motivazione adeguata sulla pena alla pagina 72

furto, ricettazione, violazione delle leggi sulle armi ed altri reati
contravvenzionali; elementi contestualizzati e valutati in uno con la
mancanza di qualsiasi segno di resipiscenza, con la pronta
disponibilità di armi di carattere altamente micidiale e con il ruolo di
componente del commando di fuoco.
15.11 ricorso di Telegrafo Nicola è manifestamente infondato. In
relazione alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche, la
Corte spende una lunga motivazione alle pagine 15, 16 e 17,
affermando che il giudizio di meritevolezza deve essere escluso in
ragione: dei precedenti penali, gravi e reiterati, esistenti a carico
dell’imputato; per il ruolo di primo piano svolto all’interno del
sodalizio, addetto anche alla gestione dei rapporti con le opposte
fazioni; per il suo stabile inserimento nel clan sin dal mese di
novembre del 1998. Trattasi di motivazione più che adeguata e priva
di vizi logici e pertanto non censurabile in questa sede di legittimità.
16. Ne consegue che i ricorsi di Bartoli Cataldo, Raggi Giovanni e
Telegrafo Nicola devono essere dichiarati inammissibili; alla
declaratoria di inammissibilità segue, per legge (art. 616 c.p.p.), la
condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché (trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili
di colpa emergenti dal ricorso: cfr. Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007 dep. 24/09/2007, Ferraloro, Rv. 237957) al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e
congruo determinare in Euro 1.000,00.
17.

I ricorsi di Calabrese Francesco, Caldarola Lorenzo, De

Giglio Tommaso, Raggi Vito, Raggi Vito Nicola Antonio vanno invece
rigettati; ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il
ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.
14

della sentenza, ove si fa riferimento ai plurimi precedenti penali per

p.q.m.

Dichiara inammissibili i ricorsi di Bartoli Cataldo, Raggi Giovanni e
Telegrafo Nicola, che condanna singolarmente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Rigetta i ricorsi di Calabrese Francesco, Caldarola Lorenzo, De Giglio

singolarmente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/12/2013

Tommaso, Raggi Vito, Raggi Vito Nicola Antonio, che condanna

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