Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5848 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5848 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GENNAIO GIOVANNI STEFANO N. IL 17/09/1961
avverso la sentenza n. 4/2012 CORTE ASSISE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 08/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERO SAVANI
Udito il Procuratore Generale in perso a del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 13/12/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’assise di Appello di Reggio Calabria, giudice del rinvio
dalla cassazione, ha confermato la sentenza emessa in data 13 maggio 2010 dalla Corte d’assise
di Reggio Calabria, appellata da GENNAIO Giovanni dichiarato responsabile del delitto di omicidio aggravato di un agente di polizia, commesso il 19 marzo 1987 nel corso di una rapina.
La Corte di cassazione aveva annullato la sentenza del giudice d’appello esclusivamente per
mancanza di motivazione sulla richiesta dell’appellante di applicazione dell’attenuante ex art. 8
del D.L. 152/91, conv. in L. 203/91, per la collaborazione fornita all’Autorità.
Il giudice del rinvio ha negato il ricorrere delle condizioni per l’applicabilità dell’invocata attenuante ed il GENNAIO ha proposto ricorso per cassazione articolando diffuse doglianze.
Deduce violazione di legge e vizio di motivazione affermando che la S.C., nell’annullare per vizio di motivazione la sentenza del giudice d’appello, necessariamente aveva ritenuto che la rapina da cui era scaturito il fatto omicidiario fosse manifestazione dell’attività della consorteria criminale sulla cui esistenza sarebbero emersi elementi di prova in base a dichiarazioni di collaboratori; peraltro l’appartenenza al clan Cappello sarebbe stata ammessa anche dal GENNAIO medesimo, che in seguito era passato ad altro gruppo organizzato per commettere rapine estorsioni e
delitti in materia di droga.
Il processo avrebbe dimostrato che la rapina alla gioielleria sarebbe stata progettata e consumata
avvalendosi dell’organizzazione della consorteria di appartenenza, al contrario di quanto ritenuto
dal giudice del rinvio, secondo cui avrebbe operato un gruppo del tutto autonomo, ma con ciò la
Corte territoriale non avrebbe considerato la realtà delle emergenze processuali, né che la partecipazione di un soggetto ad una consorteria del genere di per sé impedirebbe ogni iniziativa autonoma, sanzionata con la morte.
Il ricorso non è fondato.
Deve premettere il Collegio che la sentenza della prima sezione di questa Corte suprema si era
limitata ad affermare che la valutazione del ricorrere o meno delle condizioni per l’applicazione
del disposto del citato art. 8 del D.L. 152/91, conv. in L. 203/91, prescinde dall’avvenuta formale
contestazione dell’aggravante ex art. 7 del medesimo D.L., con ciò ritenendo illegittima la decisione della Corte di merito che aveva ritenuto le fosse impossibile affrontare la questione relativa
al ricorrere dell’attenuante, in mancanza di contestazione dell’aggravante.
La sentenza di annullamento non aveva quindi affrontato in alcun modo la questione relativa al
ricorrere delle condizioni di applicabilità della norma di cui si tratta.
Il giudice del rinvio, al fine di valutare se il delitto fosse stato realizzato per agevolare l’attività
di un’associazione di tipo mafioso, ha affrontato diffusamente ogni aspetto della vicenda evidenziando le modalità esecutive della rapina nel cui contesto si era verificato l’omicidio dell’agente
occasionalmente presente sul posto in quanto libero dal servizio e decisosi ad entrare nel negozio
per ragioni del tutto private, trovandosi in compagnia della moglie.
Ha rilevato, la Corte territoriale, come quel gruppo di soggetti, residenti nel catanese ed affiliati
ad una cosca locale, avesse deciso di commettere una rapina da eseguirsi, come altre cui si erano
dedicati in passato, nel territorio di Reggio Calabria, dominato da diversa consorteria di
n’drangheta; come i predetti avessero trovato supporto logistico presso i parenti che abitavano
nella zona, dai quali avevano avuto, oltre all’alloggio, anche la disponibilità delle armi e del veicolo da usare per la rapina, nonché le indicazioni utili per eseguire quello specifico colpo.
Il giudice di rinvio ha affrontato tutte le questioni poste dall’appellante e fondate sulle dichiarazioni di altro collaboratore di giustizia, rilevando come nulla sapesse preventivamente di
quell’iniziativa un soggetto posto ai vertici della consorteria di riferimento, il quale poi nulla avrebbe saputo se non fosse stato avvisato a cose fatte da altra persona, parente di uno dei colpevoli; come, sulla fornitura delle armi, fosse più attendibile il medesimo GENNAIO, secondo cui
erano state da loro recuperate in loco, rispetto al CATALANO che aveva affermato che le armi
erano state fornite dall’associazione, dimostrando che CATALANO aveva avuto notizie de relato mentre il GENNAIO aveva riferito di avvenimenti a cui aveva partecipato. Ha affrontato anche la questione dell’intervento chiesto dal capo della cosca catanese all’omologo vertice del

gruppo di n ‘drangheta dominante nella zona della rapina per garantire a due dei colpevoli del delitto un rientro in Sicilia prima di una possibile individuazione e di un arresto, valutandolo, in
modo del tutto logico ed adeguato, come intervento ex post di un capo clan che soccorreva gli
affiliati per impedirne la carcerazione, mentre non si sarebbe potuto valutare come una preventiva predisposizione del rientro dopo la rapina, organizzato da un clan, che della rapina nulla sapeva in precedenza.
Sull’attendibilità delle dichiarazioni di CATALANO — per il quale una parte della refurtiva consistente in circa 1500 grammi d’oro sarebbe stata lasciata a Reggio Calabria in pagamento del
supporto logistico, mentre la restante sarebbe stata trasportata a Catania proprio con il camion sul
quale i due rapinatori che potevano rischiare l’arresto erano tornati in Sicilia con la collaborazione della n ‘drangheta — la Corte d’assise di Appello ha osservato come, al contrario, fosse risultato che il borsone contenente la refurtiva era stato abbandonato poco distante il luogo del delitto
dove era stato recuperato, finendo poi per evidenziare come l’imprecisione delle conoscenze del
CATALANO rendesse del tutto irrilevante il riferimento alla spartizione del provento del delitto
anche a favore dell’associazione.
Il giudice d’appello ha affrontato inoltre la questione, posta dal ricorrente anche in questa sede,
sull’esistenza di un codice di comportamento delle consorterie mafiose che non consentirebbe
iniziative individuali come quella che era stata realizzata dal prevenuto e dagli altri complici, ed
ha osservato che dagli atti non era risultato che in qualche modo la cosca di appartenenza del
GENNAIO, operante nel catanese, potesse avere interesse ad un’azione delittuosa in diverso territorio, dominato da altra consorteria seppure non ostile. Ha infine osservato correttamente, la
Corte, che la mancanza di ogni elemento fattuale che dimostrasse la connessione con i fini del
clan di quel delitto, commesso per di più al di fuori del territorio di appartenenza, non consentiva
di considerarlo quale realizzazione degli scopi associativi per il mero fatto che gli autori erano
degli associati al gruppo criminale.
Il ricorso, a fronte di un tale corretto modo di valutazione delle emergenze processuali, propone e
ripropone questioni correttamente affrontate e risolte dai giudici del merito, tendendo per di più
ad accreditare infondatamente una non espressa opinione del giudice di legittimità, circa il ricorrere delle condizioni per il riconoscimento dell’attenuante.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del prevenuto al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 13 dicembre 2013.

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