Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5845 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5845 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

Data Udienza: 10/12/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEGHINELLI PRIMO N. IL 15/06/1936
D’ANTUONO DOMENICO N. IL 23/03/1945
avverso la sentenza n. 3535/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
02/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in person 41 Dott. F. PA1
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che ha concluso per

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RITENUTO IN FATTO

1. Primo PEGHINELLI e Domenico D’ANTUONO sono imputati, entrambi, di
associazione per delinquere finalizzata a reati di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, di truffa e di ricettazione, nonché del reato di bancarotta fraudolenta
per distrazione, il primo anche di bancarotta fraudolenta documentale, di una serie
di truffe e della ricettazione di tre assegni bancari, il secondo altresì di concorso in

2. L’affermazione di responsabilità per i reati indicati, di cui a sentenza 14-7-2010 del
Tribunale di Como, era sostanzialmente confermata dalla Corte di Appello di Milano
con pronuncia in data 2-12-2011, che rideterminava la pena in conseguenza del
riconoscimento ai predetti del ruolo di semplici partecipanti all’associazione, in
luogo di quello di capi/promotori.
3. La Peval sas, con sede in Bologna, di cui Peghinelli era socio accomandatario (e la
sua compagna socio accomandante), nell’ottobre 2004 acquisiva in sublocazione
dalla Finafrica srl, di cui era amministratore D’Antuono, una parte di un capannone
sito in Turate, da poco locato dalla Finafrica.
4.

La Peval, sotto l’apparenza di un’impresa operante e solida, con due conti correnti
aperti a nome di essa dal Peghinelli presso istituti di credito della zona di Turate,
effettuava nel giro di pochi mesi una serie di ordinativi di merci della più svariata
natura e per un rilevante importo complessivo, che pagava con assegni privi di
provvista o tratti su conti relativi a persone inesistenti, merci che venivano
immediatamente rivendute senza che il prezzo confluisse sui conti societari e senza
che le relative operazioni fossero annotate in contabilità.

5. Premesso che terzi soggetti, separatamente giudicati (i fratelli Giuseppe e
Leonardo Napolitano ed altri), operavano stabilmente presso l’immobile di Turate
quali amministratori di fatto della società, al Peghinelli era ascritto di aver messo a
disposizione dell’attività truffaldina da un lato la società Peval, da tempo esistente
e priva di protesti, dall’altro i blocchetti di assegni prefirmati, relativi ai conti
correnti da lui accesi per la Peval in quel periodo, utilizzati per i pagamenti fittizi
delle forniture poi distratte, al D’Antuono era attribuita la messa a disposizione
dell’immobile, locato poco prima al chiaro scopo di farne la sede operativa della
predetta attività, essendo la Finafrica priva delle risorse di mezzi e di persone per
l’esercizio dell’attività finanziaria suo oggetto sociale, mentre nessun elemento
avvalorava l’ipotesi che stesse per intraprendere altre attività, quale quella edilizia,
di fatto poi non intrapresa, anche perché l’unica dipendente, neppure regolarmente
assunta, era passata alle dipendenze della Peva!, il cui capannone di Turate
D’Antuono frequentava.

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una truffa e in una ricettazione.

6. Il ricorso nell’interesse di Peghinelli è articolato in sei punti di gravame, alcuni
suddivisi in più motivi.
7. Nel primo punto si deduce vizio di motivazione in ordine al reato di cui al capo B),
la bancarotta fraudolenta per distrazione.
8. La corte territoriale, dopo aver ricordato che anche l’amministratore prestanome
risponde del reato in presenza della generica consapevolezza dell’attività distrattiva
posta in essere dall’amministratore di fatto, aveva attribuito all’imputato una serie

consapevolezza in quanto pienamente lecite, quali apertura di conti correnti,
consegna dei libretti di assegni a Leonardo Napolitano, incarico ai fr.11i Napolitano
della vendita dei prodotti della Peval, contratto di locazione del magazzino di
Turate con la Finafrica. Né era a tal fine idonea la testimonianza del fornitore
Marco Martino, valorizzata in sentenza sotto più profili a dimostrazione della
consapevolezza dell’imputato del mancato pagamento di assegni emessi dalla
Peval, non essendo neppure certo che questi avesse avuto contatti telefonici
proprio con Peghinelli, di cui non aveva riferito l’accento spiccatamente toscano.
9. Anche gli altri elementi utilizzati a prova del coinvolgimento dell’imputato erano
ritenuti presuntivi o illogicamente valorizzati, laddove la circostanza che Leonardo
Napolitano avesse tenuto informato il ricorrente dell’attività svolta a Turate tramite
quattro/cinque incontri in tale località, era stata, con salto logico, ritenuta prova
che Peghinelli fosse a conoscenza dell’attività truffaldina e distrattiva, mentre il
fatto che il predetto fosse al corrente del pagamento delle forniture con assegni
scoperti ed incassasse il prezzo delle successive vendite delle stesse, era frutto di
supposizioni e congetture.
10.11 secondo punto di gravame investe, sempre con la censura di vizio motivazionale
nonché di violazione di legge, l’affermazione di responsabilità per la bancarotta
fraudolenta documentale (capo C), sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo
(primo motivo), sia sotto il profilo di quello soggettivo (secondo motivo).
11. La corte territoriale, nel desumere la consapevolezza e volontà del Peghinelli di
impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari dal suo
coinvolgimento nelle condotte distrattive, non aveva tenuto conto che egli, che per
la bassa scolarizzazione non sarebbe stato in grado di tenere le scritture contabili,
non ne aveva mai avuto il possesso, né aveva mai perseguito lo scopo di arrecare
pregiudizio ai creditori.
12.11 terzo punto di gravame investe, pure con la censura di vizio di motivazione
nonché con quella di violazione di legge, le truffe sub D) per essersi desunta la
partecipazione ad esse dalla mera consegna degli assegni in bianco ai Napolitano,
senza alcuna prova che il ricorrente sapesse che sarebbero stati emessi privi di
provvista dal momento che ‘l’istruttoria dibattimentale aveva dimostrato che egli

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di attività effettivamente svolte, ma inidonee a dimostrare tale generica

non aveva il controllo dei conti correnti della Peval’, con conseguente mancata
partecipazione agli artifizi e raggiri posti in essere solo successivamente dai fr.11i
Napolitano.
13.11 quarto punto di gravame investe con le medesime censure la ricettazione di tre
assegni (quelli sub a, b, k di cui al capo E), tutti recanti il timbro della Peval, due
con sottoscrizione ritenuta dell’imputato.
14. Si evidenziava al riguardo che nessuno dei tre titoli risultava negoziato da

un nome falso, mentre per gli altri due, da un lato, non vi era prova che la firma
dell’imputato fosse autentica, dall’altro l’assunto sostenuto in sentenza che
Peghinelli, coinvolto nell’illecita attività, fosse stato d’accordo nel far utilizzare da
altri il suo nome per firmare, era frutto di presunzione priva di fondamento.
15.11 quinto punto di gravame attiene al reato associativo sub A), la conferma della
cui ricorrenza sarebbe la summa dei dati presuntivi utilizzati per affermare la
responsabilità per gli altri reati, per di più con il profilo di contraddittorietà
rappresentato dal ridimensionamento del ruolo (semplice partecipante)
accompagnato dall’affermazione che Peghinelli non aveva dato ordini ai correi.
16.Sesto punto di gravame subordinato: vizio di motivazione in punto diniego di
attenuanti generiche in quanto la presenza di precedenti, anche numerosi, non
sarebbe di per sé ostativa alla concessione, mentre i motivi per concederle
sarebbero rappresentati dalla necessità di proporzionare la pena alla condotta ‘in
considerazione di tutte le lacune probatorie…evidenziate’ e dallo stato d’indigenza
che aveva determinato l’ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato.
17. D’Antuono ha proposto ricorso con quattro motivi.
18. Con il primo si deduce omessa motivazione in punto di mancato accoglimento del
nuovo motivo di appello depositato presso la corte milanese il 16-11-2011 con il
quale si lamentava nullità della sentenza di primo grado per mancato accoglimento
dell’istanza di rinvio dell’udienza del 14-5-2010 a causa di impedimento
dell’imputato, impegnato in pari data in un altro processo a suo carico, dinanzi al
tribunale di Varese, in cui dovevano essere sentiti due testimoni, impedimento da
ritenersi legittimo ed assoluto (Cass. 14207/2009, 13619/2003).
19. Sempre con il primo motivo lo stesso vizio è stato dedotto in relazione agli aumenti
di pena per la recidiva e per la continuazione, ritenuti genericamente equi e
congrui, nonché al mancato riconoscimento delle generiche fondato sulla presenza
di precedenti peraltro già considerati in sede di aumento di pena per la recidiva,
con attribuzione di una doppia valenza negativa a condotte pregresse, e
nonostante gli elementi positivi indicati nell’atto di appello.
20. Il secondo motivo censura di violazione di legge e vizio di motivazione
l’affermazione di responsabilità per il reato associativo per mancata giustificazione
4

Peghinelli, quello sub k era sottoscritto da un terzo che aveva aperto il conto con

tanto dell’esistenza del sodalizio, durato solo quattro mesi, quanto del contributo
dell’imputato sia all’associazione che ai reati fine, pochissimi dei quali a lui ascritti,
a fronte della valorizzazione in sentenza soltanto della sublocazione dell’immobile
di Turate e della mancata esazione del canone di essa.
21. Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine alla mancata applicazione dell’art. 117 cod. pen. alla partecipazione del
D’Antuono alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, senza alcuna motivazione in

dai coimputati e in particolare dall’intraneus Peghinelli, essendosi egli limitato a
sublocare parte dell’immobile alla Peval.
22. Le stesse censure erano dedotte con il quarto motivo in ordine alla condanna per la
truffa e la ricettazione relative all’acquisto di merce dall’azienda Savasta (capi D
sub 22 ed E sub d), pagato con assegno provento di furto recante il timbro di
Finafrica -il che non era significativo svolgendo la segretaria di Finafrica le stesse
mansioni anche per la Peval- in assenza di prova, che incombeva all’accusa,
dell’autenticità della firma dell’imputato (la corte aveva invece valorizzato il
mancato disconoscimento della stessa, trascurando che il disconoscimento era
implicito nella proclamazione d’innocenza ad opera del D’Antuono).
23.11 25-11-2013 sono pervenuti motivi aggiunti nell’interesse del D’Antuono con i
quali si reiterano la questione di nullità della sentenza di primo grado per mancato
rinvio dell’udienza nonostante l’impedimento dell’imputato e la censura di
violazione di legge in punto di valutazione delle prove in ordine al reato
associativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
2.

E’ manifestamente insussistente il vizio di motivazione dedotto dal

Peghinelli, con il

primo motivo di ricorso, in ordine alla sua partecipazione alla bancarotta fraudolenta
patrimoniale.
3.

Contrariamente a quanto sembra ritenere l’impugnante, la corte territoriale, pur
ricordando che anche l’amministratore prestanome risponde del reato in presenza della
generica consapevolezza dell’attività distrattiva posta in essere dall’amministratore di
fatto, ha poi menzionato le attività effettivamente svolte dal Peghinelli -quali apertura di
conti correnti, consegna dei libretti di assegni preformati a Leonardo Napolitano,
incarico ai fr.11i Napolitano della vendita dei prodotti della Peva!, contratto di locazione
del magazzino di Turate con la Finafrica- non già per inferirne tale generica
consapevolezza, ma piuttosto per evidenziare come in realtà l’imputato non fosse un
mero prestanome, cioè un soggetto tenuto totalmente all’oscuro della gestione della
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punto di consapevolezza del ricorrente, extraneus, circa la truffe poste in essere

società, essendo stato lui, anzi, a gettare le basi -con atti, questi sì, leciti, ancorché
finalizzati ad atti illeciti- affinché la Peval, società con un’immagine presentabile, di cui
egli era socio accomandatario e la sua compagna socio accomandante, fosse utilizzata
per l’attività di frenetici acquisti di merci della più svariata e disomogenea natura, non
pagate e celermente distratte senza lasciare traccia, che sarebbe stata svolta, nel giro
di pochi mesi, nel capannone di Turate.
4.

E che Peghinelli fosse il soggetto che aveva consapevolmente fornito gli indispensabili

critica del materiale probatorio ad opera dei giudici di primo e secondo grado -le cui
decisioni, secondo il canone ermeneutico della necessaria congiunta valutazione in caso
di c.d. doppia conforme, si integrano vicendevolmente ai fini del vaglio di congruità e
completezza della motivazione-, invano contrastata dal ricorrente mediante il tentativo,
improponibile in questa sede, di una diversa interpretazione delle risultanze probatorie.
5.

Così vanamente nel gravame si sollecita, attraverso considerazioni in fatto incontrollabili
da questa corte, la rivalutazione della testimonianza del Martino, il fornitore che aveva
contattato Peghinelli per contestare la mancata copertura di un assegno ricevendo da
questi assicurazioni di pagamento, valorizzata dai giudici di merito a comprova che
l’imputato ben conosceva il modus operandi dei Napolitano, sì da preoccuparsi di
rassicurare il creditore piuttosto che meravigliarsi della scopertura del titolo.

6.

Ugualmente anche gli altri elementi utilizzati a prova del coinvolgimento dell’imputato
sono esenti da valutazione presuntiva o illogica, in quanto la circostanza, evidenziata
dal ricorrente, che Leonardo Napolitano informasse il ricorrente dell’attività svolta a
Turate solo tramite sporadici incontri in tale località, operando Peghinelli a Rimini,
trascura che, invece, l’informazione era costante in quanto, come risulta dalla sentenza,
i due si incontravano anche a Rimini, dove appunto il prevenuto risiedeva.

7.

Inoltre la conclusione che questi fosse al corrente del pagamento delle forniture con
assegni scoperti, è tutt’altro che congetturale essendo ancorata alla testimonianza
Martino, già ricordata, e alle visite in banca dell’imputato per giustificare l’emissione di
titoli senza provvista, mentre il ritenuto incasso da parte sua del prezzo delle successive
vendite delle forniture non pagate, è saldamente correlato in sentenza ad
un’ammissione dello stesso Peghinelli, risultante dal suo interrogatorio.

8.

Visibilmente inconsistente il secondo punto di gravame che investe, con la censura di
vizio motivazionale nonché di violazione di legge, l’affermazione di responsabilità per la
bancarotta fraudolenta documentale, sotto i profili oggettivo e soggettivo.

9.

Ammesso pure che Peghinelli non fosse personalmente in grado di tenere le scritture
contabili, ciò non lo esonerava certo, essendo il socio accomandatario della Peval,
dall’assicurarsi che altri lo facesse al posto suo, mentre l’affermazione di non averne
mai avuto il possesso -e di non essersi mai interessato della loro tenuta- non fa che
confermare l’elusione dell’obbligo gravante su di lui.
6

strumenti per realizzare tale illecita attività, è dimostrato dall’organica ricognizione

10. La sua ritenuta partecipazione, per quanto sopra, alle condotte distrattive, chiude poi il
cerchio intorno al ricorrente anche in punto di consapevolezza e volontà di non rendere
possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari essendo tale
impossibilità funzionale alla distrazione.
11. Del tutto privo di fondamento è anche il terzo punto di gravame.
12. L’assunto secondo cui la partecipazione alle truffe sarebbe stata desunta dalla mera
consegna degli assegni firmati in bianco ai Napolitano, senza alcuna prova che il

smentita dai plurimi e convergenti elementi valorizzati dai giudici di merito ed in parte
già sopra menzionati, quali la circostanza che i conti della Peval utilizzati erano stati
accesi da lui, che ne era l’accomandatario; le assicurazioni di pagamento fornite al teste
Martino; le visite in banca nel dicembre 2004 per giustificare il mancato pagamento di
assegni per forniture; le informazioni ricevute dai Napolitano sia a Turate che a Rimini:
dati univocamente significativi della sua conoscenza che sui conti non vi era provvista
sufficiente.
13. La circostanza, poi, valorizzata nel ricorso, che l’imputato non avesse preso
materialmente parte agli artifizi e raggiri posti in essere dai fr.11i Napolitano, trascura di
considerare che anche la consapevole partecipazione solo ad un segmento della linea

ricorrente sapesse che sarebbero stati emessi privi di provvista, è clamorosamente

unitaria di condotta delittuosa configura il concorso, allorché, consentendo il \
raggiungimento dell’evento, abbia avuto efficacia decisiva nella realizzazione del piano
condiviso con i correi.
14.Tale contributo è nella specie rappresentato, con valenza decisiva ai fini del
raggiungimento dello scopo, dalla messa a disposizione degli autori materiali delle truffe
da un lato degli assegni firmati in bianco, onde simulare la solvibilità della Peval,
dall’altro, e prima ancora, della società stessa e dell’immobile in cui operare, con la
consapevolezza, per quanto sopra, che i titoli sarebbero stati emessi senza copertura, e
con acquisizione del profitto in quanto i proventi della rivendita delle merci acquistate
truffando i fornitori venivano versati su un conto personale del Peghinelli, come da
questi ammesso, e non su quelli della società.
15. Il quarto punto di gravame tende vanamente ad isolare le imputazioni di ricettazione
dal contesto unitario e concorsuale in cui si muove tutta l’attività della Peval che, nei
pochi mesi di operatività dell’associazione per delinquere, era stata esclusivamente
finalizzata a truffare i fornitori e a far sparire la merce, della più varia natura, così
acquisita. Il timbro Peval recato dai tre assegni dei quali è contestata la ricettazione
all’impugnante, rappresenta così il marchio di fabbrica dell’associazione alla quale,
come si vedrà trattando il successivo punto di gravame, partecipava anche Peghinelli,
sottoscrittore degli assegni utilizzati per mettere a segno le truffe. A fronte del previo
accordo dell’imputato con i correi al fine indicato e della sua partecipazione ai proventi
delle truffe, delle quali gli assegni erano l’indispensabile strumento, poco conta,

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dunque, disquisire della genuinità o meno della firma del Peghinelli, peraltro presente
su tutti gli altri assegni usati per le truffe, su due soli assegni, o del fatto che il terzo
assegno fosse stato emesso su un conto acceso da un terzo che aveva fornito un nome
falso.
16. Essendo il quinto punto di gravame fondato sul rilievo che la ricorrenza del reato
associativo sarebbe la

summa

dei dati presuntivi utilizzati per affermare la

responsabilità per gli altri reati, la ritenuta inammissibilità dei precedenti punti di

in questione, a fronte di impeccabile motivazione della corte territoriale in punto di
consapevole e decisivo apporto fornito dal Peghinelli all’associazione, cui aveva fornito
le strutture societaria e logistica, schermo dell’illecita attività.
17. Affetto da manifesta infondatezza è, da ultimo, anche il sesto motivo.
18. Infatti, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione del diniego di attenuanti
generiche, è sufficiente che il giudice di merito giustifichi l’uso del potere discrezionale
conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione senza
essere tenuto ad esaminare tutte le circostanze prospettate o prospettabili dalla difesa,
quali nella specie lo stato d’indigenza. La sentenza impugnata si è attenuta a tale
principio, e non è quindi censurabile, avendo fatto richiamo ai numerosi precedenti
dell’imputato per reati contro il patrimonio, mentre la necessità, evocata dal ricorrente,
di proporzionare la pena alla condotta, fa inammissibilmente leva su asserite ‘lacune
probatorie…evidenziate’, che attengono al profilo della responsabilità, mentre nulla
hanno a che vedere con l’eventuale inadeguatezza per eccesso della pena edittale a
tradurre efficacemente il disvalore dell’episodio delittuoso.
19. Passando all’esame del ricorso proposto nell’interesse del D’Antuono, di cui è stata
già preannunciata l’inammissibilità, merita prioritaria considerazione la questione in rito
proposta con il primo motivo, dedicato per il resto a questioni inerenti alla dosimetria
della pena, subordinate rispetto a quelle prospettate con i motivi successivi.
20. In sintesi il ricorrente lamenta l’omesso esame del motivo nuovo di appello con il quale
si deduceva nullità della sentenza di primo grado per mancato accoglimento da parte
del tribunale dell’istanza di rinvio dell’udienza del 14-5-2010 per impedimento
dell’imputato, impegnato in pari data in un altro processo a suo carico pendente
dinanzi al tribunale di Varese.
21. La questione è astrattamente fondata alla stregua dell’orientamento di questa corte
(Cass. 14207/2009, 13619/2003), evocato dall’impugnante, secondo il quale sussiste
un impedimento assoluto dell’imputato a comparire nel giudizio diverso da quello in cui
ha deciso di essere presente, purché la comunicazione dell’impedimento sia
documentata e si rappresenti l’interesse a parteciparvi, senza dover necessariamente
giustificare la scelta in favore dell’uno o dell’altro, con la conseguenza che il rigetto

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gravame relativi agli altri reati esonera sostanzialmente dall’esame ulteriore del punto

dell’istanza di rinvio dell’udienza configura una nullità assoluta a norma degli artt. 178,
lett. c) e 179, comma primo, cod. proc. pen. (Cass. 14207/2009).
22.Appare invece meno condivisibile, a questo collegio, l’esenzione dell’imputato, pure
affermata dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dall’impugnante, dall’onere di
tempestiva comunicazione dell’impedimento perché previsto espressamente soltanto
per il difensore (Cass. 13619/2003).
23.Tale approdo sembra frutto di un’interpretazione che sottovaluta la necessità di

requisito della tempestività della comunicazione previsto per l’impedimento del
difensore, e cioè da un lato consentire al giudice a cui è chiesto il rinvio di effettuare gli
accertamenti eventualmente necessari, dall’altro rendere possibile che l’eventuale rinvio
avvenga in tempo utile per evitare disagi alle altre parti o disfunzioni giudiziarie, ad
esempio anticipando o posticipando l’udienza, effettuando l’utile controcitazione dei
testi, fissando altro processo in quel ruolo di udienza (esigenze che Cass. 20693/2010
elenca con riferimento all’onere di tempestività della comunicazione dell’impedimento
del difensore).
24. L’interpretazione che esige la tempestività della comunicazione dell’impedimento anche
dell’imputato, qui sostenuta, risulta in linea con i principi costituzionali della ragionevole
durata dei processi e dell’efficienza della giurisdizione, che non tollerano la “perdita”
ingiustificata di utili trattazioni di processi nei ruoli di udienza già fissati (Cass.
20693/2010), valevoli anche in caso di impedimento dell’imputato per la concomitante
partecipazione ad altro processo a suo carico. A diversamente ritenere, l’ufficio
giudiziario, le altre parti, i testimoni, i periti ed i consulenti rischierebbero di essere
sostanzialmente ostaggio dell’imputato, legittimato a manifestare, anche soltanto il
giorno dell’udienza, la sua scelta di presenziare ad altro giudizio, benché la pendenza di
questo gli fosse da tempo nota.
25. Del resto, acuta, per quanto non recente, giurisprudenza di questa corte non aveva
mancato di osservare, proprio con riferimento al caso di citazione nella stessa data
dinanzi a due giudici penali diversi, che poteva essere sintomatico di intento dilatorio
dell’imputato il fatto che questi portasse a conoscenza del giudice il proprio
impedimento tardivamente od in maniera incompleta, sottintendendo l’art. 486, comma
primo, cod. proc. pen. – ora art. 420 ter stesso codice- la tempestività e la completezza
dell’assolvimento dell’onere di comunicazione di un impedimento legittimo (Cass.
11677/1997, 6965/2000).
26. Per le esposte ragioni è del tutto esente da vizi l’ordinanza in data 14-5-2010 con la
quale il giudice di primo grado, facendo leva proprio sulla risalente conoscenza da parte
del D’Antuono della concomitanza del procedimento pendente dinanzi al tribunale di
Varese, non accoglieva l’istanza di rinvio per impedimento a comparire dell’imputato.

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perseguire, anche nel caso di impedimento dell’imputato, lo scopo cui è preordinato il

27. Resta da aggiungere che la censura proposta risulta inammissibile, con conseguente
esonero del giudice di secondo grado dall’obbligo si esaminarla (Cass. 27202/2012),
sotto il profilo dell’aspecificità laddove risulta monca della prova, mai fornita,
dell’avvenuta partecipazione del ricorrente all’altro giudizio, nel quale era contumace
come risulta dal verbale dell’udienza precedente a quella del 14-5-2010, allegato al
motivo aggiunto di appello.
28. E’ opportuno sgombrare subito il campo, pur trattandosi di questioni subordinate a

censura afferente agli aumenti di pena per la recidiva e per la continuazione e da quella
che investe il diniego di attenuanti generiche.
29. Sotto il primo profilo si osserva che la valutazione di equità e congruità espressa nella
sentenza impugnata è esente da vizi alla stregua delle stesse decisioni di questa corte
richiamate dal ricorrente, che si riferiscono alla motivazione della pena base, mentre,
secondo la giurisprudenza di legittimità, gli aumenti di pena non necessitano di
autonoma giustificazione, valendo a tal fine le ragioni a sostegno della quantificazione
della pena base (Cass. 27382/2011).
30. Sotto il secondo va rilevato che la motivazione del mancato riconoscimento delle
generiche, fondato sulla presenza di precedenti già considerati in sede di aumento di
pena per la recidiva, non dà luogo a duplicazione della valutazione negativa dello stesso
elemento in quanto le condanne pregresse vengono in considerazione per fini diversi
(Cass. 7972/1981). Né, per di più, il ricorrente ha indicato gli elementi positivi che
giustificherebbero il riconoscimento di attenuanti generiche, con ciò incorrendo anche in
aspecificità della censura.
31.11 secondo motivo è manifestamente infondato.
32.A detta del ricorrente, la sentenza non avrebbe giustificato non solo l’esistenza del
sodalizio, ma neppure il contributo dell’imputato sia all’associazione che ai reati fine,
avendo evidenziato soltanto, quale elemento utile a tal fine, la sublocazione
dell’immobile di Turate dalla Finafrica, della quale D’Antuono era legale rappresentante,
alla Peval. Tale prospettazione si scontra tanto con la rilevanza dell’elemento in parola,
quanto con il fatto che in sentenza ad esso nestati accompagnati numerosi altri.
33. Premesso che l’esistenza dell’associazione risulta giustificata dall’intera ricostruzione
delle vicenda condivisa dai giudici di merito, che delinea l’accordo tra più soggetti,
alcuni separatamente giudicati, per l’operatività della Peval nel capannone di Turate
esclusivamente finalizzata ad una serie indeterminata di acquisti di merci di varia
natura, non pagate e immediatamente fatte sparire, le sentenze di primo e secondo
grado hanno con ragione attribuito primaria importanza, allo scopo di confermare il
ruolo del ricorrente di associato e di partecipe ad alcuni reati fine, alla messa a
disposizione della Peval, da parte sua, dell’immobile sito Turate, sia perché questo era
stato locato da Finafrica pochissimo tempo prima che ne fosse effettuata la

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quelle in tema di responsabilità -essendo queste ultime a loro volta inammissibili-, dalla

sublocazione alla Peval -a dimostrazione che il capannone non era destinato a
soddisfare esigenze della Finafrica che infatti non lo aveva mai utilizzato, non risultando
tra l’altro attiva né in campo finanziario né in altri settori-, sia perché quel capannone
sarebbe stato la location destinata a conferire alla Peval un’apparenza di operatività e di
solidità.
34. Ma, come accennato, la corte territoriale non ha mancato di valorizzare ulteriori,
convergenti elementi nel senso del coinvolgimento del D’Antuono nell’illecita attività ivi

dell’andamento degli affari; che si era recato in banca più di una volta con i
rappresentanti Peval, in un caso a versare un assegno poi andato in protesto, in un
altro a giustificare un assegno scoperto, aggiungendo, in quest’ultima occasione, al fine
di caldeggiare il rilascio di un ulteriore blocchetto di assegni, che essi operavano
seriamente; che aveva perfino ordinato un ufficio mobile per la Peval da inserire nel
magazzino; che si era guardato dall’intraprendere iniziative per esigere il canone della
sublocazione, essendo per di più quest’ultimo contratto steso in modo approssimativo,
carente tra l’altro della indispensabile previsione di garanzie per il pagamento del
corrispettivo, al punto da apparire come lo strumento meramente funzionale a
dissociare formalmente il D’Antuono dalla Peval.
35. Del pari sprovvisto di qualunque fondatezza il terzo motivo, inerente alla mancata
applicazione dell’art. 117 cod. pen. alla partecipazione del D’Antuono alla bancarotta
fraudolenta patrimoniale. I giudici di merito hanno con ragione ritenuto la ricorrenza
dell’art. 110 cod. pen. in quanto l’art. 117 stesso codice si applica allorché il fatto
ascritto all’extraneus costituirebbe comunque reato, solo mutandone il titolo per effetto
della qualifica dell’autore principale, mentre, quando, come nella specie, l’azione del
concorrente è di per sé lecita e la sua illiceità dipende dalla qualità personale di altro
concorrente (nel caso in esame dalla qualità di fallito del Peghinelli), trova applicazione
la norma generale sul concorso di persone, di cui all’art. 110 cod. pen. (Cass.
39292/2008), mentre si sono già ricordate le ragioni a favore della consapevolezza del
D’Antuono circa le illecite attività poste in essere dai coimputati con il contributo da lui
fornito della messa a disposizione dell’immobile.
36. Si muovono infine nell’orbita del fatto, sotto l’apparente prospettazione di vizi di
legittimità, le censure dedotte con il quarto motivo in ordine alla condanna per la truffa
e la ricettazione di un assegno relative all’acquisto di merce dall’azienda Savasta,
avendo la corte territoriale argomentato l’affermazione di responsabilità, con percorso
immune da vizi, oltre che dal mancato disconoscimento della firma in calce all’assegno
da parte dell’imputato, dalla corrispondenza di tale firma a quella del D’Antuono in calce
al contratto di sublocazione, nonché dalla presenza del timbro Finafrica, di cui
l’imputato era legale rappresentante.

11

gestita. Ha infatti evidenziando che egli frequentava il capannone informandosi

37. La presentazione da parte della difesa D’Antuono di motivi aggiunti in data 25-11-2013,
senza il rispetto del termine di quindici giorni antecedenti alla data dell’udienza (art.
585, comma 4, cod. proc. pen.), ai quali comunque si estenderebbe l’inammissibilità dei
motivi principali, esonera dalla relativa disamina.
38. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi seguono le statuizioni di cui all’art. 616
cod. proc. pen., determinandosi in € 1000, in ragione della natura delle doglianze, la

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 10-12-2013

Il Presidente

somma che ciascuno dei ricorrenti deve corrispondere alla cassa ammende.

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