Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5840 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5840 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PETROSINO ANTONIO LUCA N. IL 18/10/1965
avverso la sentenza n. 2915/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del
28/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 05/12/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 28/11/2012, in parziale
riforma di quella emessa dal Tribunale di Savona, ha condannato Petrosino

commi 1 e 4 cod. pen.), per essersi introdotto, a forza, nello studio di Affronti
Umberto, dottore commercialista, al fine di avere da lui spiegazioni su questioni
che riguardavano la ditta COSMI srl, da cui l’imputato dipendeva e da cui era
stato licenziato.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Pietro Castagneto, il quale muove censure in rito e in merito.
In rito si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), della mancata
assunzione, da parte del giudice d’appello, di prove a discarico (l’esame della
sig.ra Lodico Elisa e l’acquisizione della sentenza del Tribunale di Savona del
2/12/2008), da lui ritenute decisive.
Nel merito si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), della
violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e della illogicità della motivazione resa in
punto di responsabilità, avendo il teste Affronti escluso che vi fosse stata
introduzione abusiva nello studio professionale (secondo motivo di ricorso).
Lamenta, inoltre, che la Corte d’appello abbia omesso di motivare sulla sua
richiesta di concessione delle attenuanti generiche (terzo motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La lett. d) dell’art. 606 c.p.p. nel
testo modificato dall’art. 8 I. n. 46/2006, nel consentire l’impugnazione della
sentenza con ricorso per cassazione per la mancata assunzione di una prova
decisiva – quando la parte ne abbia fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione
dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dall’art. 495 comma 2 c.p.p. – si
riferisce alle prove che potevano essere chieste in primo grado e non alla
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, che è disciplinata dall’art.
603 c.p.p. (ex multis, Cassazione penale, sez. III, 07/03/2007, n. 16932). Nel
caso di specie è pacifico che l’imputato non ha avanzato richieste istruttorie nei
termini di cui all’art. 468 cod. proc. pen., né prima della dichiarazione di apertura
2

Antonio Luca a pena di giustizia per violazione di domicilio aggravata (artt. 614,

del dibattimento in primo grado, per cui la doglianza non può trovare ascolto in
questa sede.
Peraltro, la decisione del giudice d’appello è adeguatamente motivata. L’istituto
della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che
deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado,
per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga
assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia
altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti). La determinazione del giudice, in

motivata (v. ex pluribus Cass. 4″, 10 giugno 2003, Vassallo). E la Corte di
merito ha spiegato perché si sia convinta della superfluità della assunzione delle
prove richieste dalla difesa (la testimonianza di Lodico Elisa e di Cristina
Bartolotta e l’acquisizione della sentenza del Tribunale di Savona del 2/12/2008),
evidenziando che la sentenza emessa nell’ambito della causa civile intercorsa tra
Petrosino e il suo datore di lavoro era assolutamente estranea al contrasto tra
l’imputato e la parte offesa e che la testimonianza di Lodico (convivente
dell’imputato) e Bartolotta non era affatto “indispensabile” per la ricostruzione
dell’episodio, avendo i giudici a disposizione le lineari e congruenti dichiarazioni
della persona offesa, sufficienti per la formulazione del giudizio di loro
competenza. Tanto basta per ritenere infondato il ricorso anche sotto l’aspetto
motivazionale, giacché il il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in
relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su
una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato
sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve
esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Cass.
S.U. 23 novembre 1995, P.G. in e. Fachini).

2.

Il secondo motivo di ricorso, concernente il merito dell’imputazione, è

inammissibile per assoluta genericità e inconferenza. Il ricorrente, dopo aver
riassunto le dichiarazioni dell’Affronti ed aver sottolineato che – secondo il
giudizio della Corte d’appello – questi non riportò lesioni, ha concluso che “ne
consegue ictu oculi in principalità la palese assenza dell’elemento materiale e
dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 614, comma 1, cod. pen. e, in
subordine, la totale assenza delle aggravanti”, facendo applicazione illogica del
principio di consequenzialità, posto che il reato contestato (la violazione di
domicilio) non richiede, come elemento costitutivo necessario, né la violenza né
il danno alla persona.

3. Il terzo motivo, concernente le attenuanti generiche, è inammissibile perché
proposto per la prima volta in Cassazione. Invero, con l’appello del 14-4-2009

3

proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente

l’imputato chiedeva di essere assolto, ma non faceva questioni sulle attenuanti
generiche, già negate dal primo giudice, né sul trattamento sanzionatorio. Del
tutto conseguentemente, quindi, la Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sul
punto.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento

equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 5/12/2013

a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così

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