Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5839 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5839 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASTRIOTA LUIGI N. IL 04/03/1948
COCOZZA LUIGI N. IL 03/01/1956
DI GIOVINE ELIO ALBERTO N. IL 22/02/1955
RONDINELLA ADOLFO N. IL 06/01/1962
avverso la sentenza n. 1468/2006 CORTE APPELLO di BARI, del
28/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 05/12/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Oscar Cedrangolo, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
– Uditi, per Castriota, l’avv. Giuseppe Pedarra e per Di Giovine l’avv. Raul
Pellegrini, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi e, in subordine, la
dichiarazione di prescrizione del reato.

1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 28-2-2012, in parziale riforma di
quella emessa dal Tribunale di Foggia, ha condannato Castriota Luigi, Di Giovine
Elio, Cocozza Luigi e Rondinella Adolfo (a parte altri, nei cui confronti si è
proceduto separatamente) a pena di giustizia per il associazione a delinquere
(art. 416 cod. pen.) finalizzata alla perpetrazione di una serie indeterminata di
truffe nei confronti della compagnia di assicurazione Augusta, commesse
mediante la simulazione di incidenti stradali, seguiti da richieste di risarcimento.
Nell’associazione Castriota, Cocozza, Rondinella e Muscillo avevano, secondo i
giudicanti, il compito di reperire i soggetti, assicurati con la Augusta, disposti a
presentare le false denunce d’incidente; il Di Giovine, medico dell’assicurazione,
quello di redigere false perizie; il Muscillo, avvocato, di curare le pratiche con
l’assicurazione ed incassare le somme liquidate. Tutti sono stati ritenuti
organizzatori dell’associazione.

2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione tutti gli
imputati, svolgendo difese in rito e in merito.
2.1. L’avv. Giuseppe Pedarra, nell’interesse di Castriota, lamenta violazione di
legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416 cod. pen., poiché, sostiene, il
giudice d’appello si è limitato a richiamare la motivazione del primo giudice,
senza fornire risposta alle confutazioni mosse nell’atto d’appello.
Lamenta, inoltre, la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., essendo stata
affermata la responsabilità dell’imputato senza l’individuazione di condotte
specifiche che rimandassero al suo ruolo di organizzatore.

2.2. L’avv. Raul Pellegrini ricorre con due motivi nell’interesse di Di Giovine Elio
Alberto, ribaditi con memoria depositata il 2/3/2013.
Col primo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen. e il vizio di
motivazione in ordine alla prova del reato associativo. Deduce che il giudici del
merito non si sono fatti carico di provare l’esistenza di una struttura associativa,
sia pure minima, e di motivare, per ciascun imputato, in ordine all’elemento
soggettivo del reato.

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RITENUTO IN FATTO

Col secondo si duole del fatto che il giudice d’appello non abbia dichiarato la
nullità della sentenza di primo grado, che non aveva motivato in ordine al ruolo
di promotore od organizzatore attribuito all’imputato. Critica il percorso
argomentativo seguito dal giudice d’appello, che ha ravvisato per tutti gli
imputati il ruolo di organizzatori sul solo presupposto che ognuno di loro aveva
un compito ben definito. Contesta, infine, che sia stato provato il ruolo di
organizzatore attribuito a Di Giovine, imputato di truffe consumate in solitudine,

2.3. L’avv. Francesco Paolo Ferragonio, nell’interesse di Cocozza e Rondinella,
lamenta, con un primo motivo, la violazione dell’art. 420/ter cod. proc. pen.,
avendo la Corte d’appello disatteso, senza plausibile giustificazione, la sua
richiesta di rinvio dell’udienza per concomitante impegno professionale formulata
con fax del 29/9/2011.
Col secondo motivo censura la sentenza per violazione di legge e vizio di
motivazione, in quanto il giudice d’appello si è limitato a confermare la sentenza
impugnata “senza spiegare le ragioni per le quali i motivi di gravame non fossero
pertinenti ovvero non fossero meritevoli e degni di adeguata ed accorta
valutazione”.
Col terzo motivo si duole del fatto che tutti i soggetti escussi fossero dipendenti
della Frost Italia spa, a cui erano legati da vincolo di subordinazione, e che le
dichiarazioni rese da costoro “erano assolutamente stridenti e anche
contrastanti, in ordine alle modalità di verificazione dei fatti, in ordine alle
modalità di esecuzione dei reati e anche alle persone coinvolte”.
Col quarto e quinto motivo si duole della errata applicazione delle norme in
materia di prescrizione dei reati, essendo stati conteggiati periodi di sospensione
del corso della prescrizione superiori a sessanta giorni anche laddove si era di
fronte a rinvii delle udienze dovuti a impedimento dell’imputato o del difensore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nessuno dei ricorsi merita accoglimento.
1. Quello proposto nell’interesse di Castriota è ai limiti dell’ammissibilità.
1.1. Senz’altro inammissibile, per radicale genericità, è il vizio motivazionale
lamentato col primo motivo, che non contiene alcuna specifica indicazione degli
elementi di prova trascurati dal primo giudice e non chiarisce — salvo un generico
richiamo ai caratteri normativi dell’associazione a delinquere – quali siano i temi
trattati nel giudizio d’appello, su cui la sentenza di secondo grado avrebbe
omesso di pronunciarsi, e quali censure il ricorrente abbia mosso alla sentenza di
prime cure, senza ottenere risposta dal giudice dell’impugnazione. Peraltro,

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ovvero quasi sempre insieme a soggetti estranei alla contestata associazione.

vertendo il giudizio sulla esistenza di un’associazione a delinquere e sul ruolo
ricoperto nella stessa dal Castriota, la problematica sollevata del ricorrente si
risolve nello stabilire se i giudici di primo e secondo grado abbiano reso una
adeguata motivazione in ordine all’associazione contestata agli imputati, sotto
l’aspetto della esistenza, della durata e della composizione personale:
circostanze su cui, come si dirà, entrambi i giudici si sono soffermati con
esaurienti argomentazioni.
1.2. Col secondo motivo il ricorrente contesta le conclusioni cui è pervenuto il

reato associativo, nonché in ordine al ruolo ricoperto dall’imputato, ma senza
evidenziare alcuna reale frattura logica nel ragionamento spiegato dalla Corte
d’appello e attardandosi nella mera negazione del vincolo associativo, di cui
contesta apoditticamente il fondamento. La doglianza è infondata, in quanto la
Corte territoriale ha ampiamente illustrato gli elementi di collegamento tra gli
imputati, i compiti di cui ognuno di loro era investito, le condotte truffaldine
poste in essere nell’esecuzione del disegno comune, pervenendo alla conclusione
sopra illustrata all’esito di un percorso argomentativo privo di incongruenze e
fondato sulla realtà di dati probatori che si lasciano apprezzare per pregnanza e
univocità. Ha infatti evidenziato che i presunti investitori erano per la maggior
parte, se non tutti, dipendenti della SOFIM e in grado di beneficiare di clausole
contrattuali favorevoli; le “vittime” furono tutte ricercate nell’ambiente di
frequentazione degli imputati, a comprova della loro comunanza di intenti; i
moduli di constatazione amichevole – tutti analoghi per modalità lesive e,
spesso, per soggetti e mezzi coinvolti – vennero inviati sempre da due uffici
postali di Foggia, nonostante gli interessati fossero residenti in centri alquanto
distanti dal capoluogo provinciale; le vittime dei presunti incidenti si
presentarono sempre al dr. Di Giovine, che per tutti redasse relazione favorevole
senza nemmeno visitare i “sinistrati”; il ritiro degli assegni inviati
dall’assicurazione fu curato sempre da Muscillo, Castriota e Cocozza, nonostante
gli stessi non avessero nulla a che fare con le vittime degli incidenti; nei carnet
di assegni sequestrati a Castriota le relative matrici erano annotate con i nomi di
Cocozza e Rondinella; nell’agenda del Castriota erano segnati i numeri di
telefono dei coimputati; ad indagini avviate, Castriota e Rondinella si
preoccuparono di sollecitare false dichiarazioni dai presunti investitori.
Si tratta di elementi che, per comune esperienza, sono effettivamente – come
ritenuto dai giudici di merito – significativi della collaborazione spiegata
nell’organizzazione e nell’esecuzione delle truffe e che rimandano motivatamente
ad un organismo delinquenziale unico, fondato sulla divisione dei compiti tra gli
associati; sulla stabilità del vincolo, destinato a permanere oltre la consumazione
dei singoli illeciti (sono stati accertate e conteste cinquantuno truffe, commesse
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giudice del merito, prospettando il vizio di motivazione in ordine alla prova del

nel giro di più di un anno, tra maggio 1997 e settembre 1998); sulla
consapevolezza e la volontà in tutti di cooperare per la realizzazione di uno scopo
illecito, comune ai concorrenti.
Alla stregua di tanto non merita allora censura la sentenza impugnata, che dà
puntuale conto delle condizioni richieste dalla legge per la configurazione
dell’associazione ed assolve all’obbligo di motivazione con la necessaria
completezza. Invero, in tema di associazione per delinquere è consentito al
giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la

rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che
attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima
(ex rnultis, Cass. N. 2740 del 19/12/2012).
Tanto vale anche per il ruolo ricoperto dai sodali nell’associazione, di cui la
sentenza ha illustrato – per ognuno – le caratteristiche con sufficiente
determinatezza (Rondinella reclutava i falsi investitori e spediva per posta i
C.I.D; Cocozza e Castriota provvedevano a compilare i moduli per Di Giovine;
quest’ultimo redigeva le false perizie; Castriota, Muscillo e Cocozza portavano a
termine l’artifizio facendo versare sui propri c/c gli assegni dell’assicurazione;
Castriota provvedeva a remunerare gli occasionali complici). Con particolare
riferimento al Castriota, poi, adeguatamente motivato è il giudizio di
“organizzatore” su di lui formulato, in considerazione della posizione da lui
assunta nel sodalizio, che ne faceva il soggetto intorno a cui ruotava la macchina
truffaldina (provvedeva ad investire il Di Giovine delle richieste di perizia,
fornendogli i nominativi dei presunti investitori; provvedeva ad incassare il
provento delle truffe; distribuiva i compensi ai sodali). Sul punto, il ricorrente
non fa che contestare, in maniera apodittica, le conclusioni del giudicante,
prospettando una diversa realtà fattuale che – in mancanza di una precisa
contestazione del contenuto della prova – non può essere presa in
considerazione da questa Corte, anche perché in sentenza sono riportate
circostanze dal preciso contenuto inferenziale (gli accertamenti di polizia, da cui
è risultato che i nominativi degli investitori venivano forniti spesso dal Castriota,
che attingeva al suo archivio di clienti; nel corso della perquisizione effettuata a
carico del Castriota furono rinvenute matrici di assegni emessi a favore di
Cocozza e Rondinella e di soggetti coinvolti negli incidenti stradali).

2. Consegue, a quanto sopra, che è infondato anche il primo motivo di ricorso
dell’avv. Pellegrini, avanzato nell’interesse di Di Giovine, vertendo anch’esso
sulla prova del reato associativo. Sul punto, non può che rimandarsi alle
considerazioni sviluppate al punto precedente, che forniscono risposta anche alle
doglianze formulate nell’interesse del Di Giovine. E anche la critica ulteriore,

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prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti

avanzata da quest’ultimo, concernente la prova dell’elemento soggettivo, è
senza fondamento, poiché tutta la costruzione accusatoria, condivisa dai
giudicanti, si basa sulla consapevolezza degli imputati – e quindi di Di Giovine di cooperare nella realizzazione delle truffe e di farlo dall’interno di un organismo
associativo di cui il ricorrente era una pedina essenziale, assolvendo al compito
di certificare – approfittando del rapporto fiduciario che lo legava
all’Assicurazione – le false malattie e le false lesioni dei sinistrati.
Dall’assolvimento di tale compito – che presupponeva, come si è visto,

ragionevolmente desunta, per Di Giovine, la consapevolezza di far parte di un
organismo associativo volto alla realizzazione di una serie indeterminata di
truffe; né in ciò è ravvisabile vizio alcuno, poiché il dolo del delitto di
associazione a delinquere è dato proprio dalla coscienza e volontà di partecipare
attivamente alla realizzazione dell’accordo e quindi del programma delittuoso in
modo stabile e permanente (Cassazione penale, sez. I, 07/07/2011, n. 30463).
2.2. Senza fondamento è anche il secondo motivo prospettato nell’interesse del
Di Giovine, poiché le eventuali carenze motivazionali del giudice di primo grado
non comportano la nullità della sentenza, ma l’obbligo per il giudice d’appello nel rispetto del principio “tantum devolutum quantum appellatum” – di colmare
la lacuna con un proprio apporto argomentativo. Infatti, il giudice di appello, una
volta denunziata una nullità per carenza di motivazione, non può limitarsi a
rilevare tale carenza ma, nell’ambito delle questioni decise dal provvedimento
impugnato, deve riesaminare l’oggetto della decisione, ovviando con la sua
pronuncia alle lacune del provvedimento stesso, rientrando ciò nei suoi poteridoveri di giudice del gravame. Ed è quanto si è verificato nella specie, avendo la
Corte d’appello chiarito che dall’attività espletata dal Di Giovine nell’associazione
si desumeva il suo ruolo di “organizzatore”, avendo assolto, in piena autonomia,
al compito di predisporre le false perizie, funzionali alla liquidazione dei “sinistri”.
Né in ciò è da ravvisare violazione di legge (in particolare dell’art. 416 cod.
pen.), giacché, giusta la risalente giurisprudenza di questa Corte, giammai
messa in discussione, l’ipotesi delittuosa del partecipe – a cui il difensore di Di
Giovine vorrebbe ricondurre l’attività dell’imputato, per l’assenza di una
posizione di supremazia sui sodali – si distingue da quelle del promotore, del
costitutore, dell’organizzatore o del dirigente. Infatti, posto il semplice
partecipante svolge soltanto attività fungibili tipicamente esecutive, la qualità di
organizzatore non può essere desunta dall’autonomia e discrezionalità
decisionale, che sono requisiti attinenti alla diversa figura di capo o dirigente,
con il quale non può essere confuso l’organizzatore, da identificare piuttosto con
colui che svolge attività essenziali per assicurare la vita e l’efficienza
dell’organizzazione in relazione alle finalità che la stessa organizzazione persegue
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l’inserimento in una catena truffaldina composta di plurimi anelli – è stata

e alla struttura che ha assunto in concreto. In questo ambito assume decisiva
rilevanza la qualità dell’attività che, purché non occasionale, non deve
necessariamente essere costituita dall’organizzazione del lavoro di altri, propria
del dirigente, ben potendo consistere finanche in un’attività svolta in solitudine, i
cui risultati sono poi messi a disposizione della banda, nella struttura della quale
si inquadra anche l’attività solitaria (Rv. 181230; Rv. 164253; Rv. 162280; Rv.
159810). Organizzatore, quindi, non è solo colui che sovrintende alla complessa
attività dell’associazione, ma anche chi espleta, in situazione di autonomia, un

parte dell’attività necessaria al raggiungimento dell’obbiettivo illecito comune.
Riflessioni che si attagliano perfettamente alla posizione dell’odierno imputato,
che gestì in autonomia la parte più rilevante (e indispensabile) della filiera
truffaldina.

3. Senza pregio sono anche i motivi di ricorso presentato nell’interesse di
Cocozza e Rondinella.
3.1. Il primo motivo – concernente il diniego di rinvio “dell’udienza” – è
inammissibile per genericità, dal momento che il ricorrente non precisa quale
rinvio sia stato negato e per quale udienza. In verità, visionando il fascicolo
dibattimentale – attività consentita a questa Corte allorché, come nella specie, si
tratti di verificare l’esistenza di un error in procedendo -, si evince che la
citazione per il giudizio di appello fu fatta per la prima udienza dell’11-11-2011.
In questa udienza non fu svolta attività istruttoria e il processo fu semplicemente
rinviato al 26-1-2012. In detta udienza il processo fu nuovamente rinviato al
28/2/2012 perché non erano corrette le notifiche. Il 28/2/2012 era presente il
difensore dell’imputato – l’avv. Ferragonio, il quale non eccepì alcunché – e a
questa data venne pronunciata sentenza. Pertanto, non solo non vi è traccia del
diniego, ma anche eventuali errori del giudicante sarebbero sanati dalla
acquiescenza dell’interessato e dall’assenza di un qualsivoglia pregiudizio per la
difesa.
3.2. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile per totale genericità, poiché
non specifica quali fossero “i motivi di gravame” che il giudice d’appello ha
omesso di prendere in considerazione. Se è vero, infatti, che il giudice del
gravame, pur senza dover confutare analiticamente le singole affermazioni
dell’impugnante, deve fornire adeguata risposta alle questioni sollevate con
l’impugnazione e motivare sui punti di dissenso rilevanti per la decisione del
processo, è anche vero che l’imputato, il quale si dolga del silenzio serbato dal
giudice dell’appello sulle questioni sottoposte alla sua attenzione, deve
espressamente indicare, nel successivo ricorso per Cassazione, quali siano i punti
e gli argomenti interessati dalla violazione dell’obbligo di motivazione, non

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compito specifico e funzionale al perseguimento dello scopo sociale, curando una

potendosi pretendere che sia il giudice di legittimità ad estrapolare dal corpo
dell’appello “i motivi di gravame” che l’imputato considera non adeguatamente
indagati.
3.3. Il terzo motivo è inammissibile perché non pertinente ai fatti di questo
processo e per mancanza di specificità. Non è infatti precisato chi siano i
dipendenti della Frost Italia spa (?) esaminati in questo processo e sotto quale
profilo le dichiarazioni rese da costoro fossero “stridenti e contrastanti, in ordine
alle modalità di verificazione dei fatti, in ordine alle modalità di esecuzione dei

4. Il quarto e il quinto motivo – attinenti alla eccepita prescrizione del reato sono infondati, poiché il ruolo – non contestato – ricoperto dagli imputati
nell’associazione comporta che il reato si prescrive, per loro, in dieci anni (la
sentenza di primo grado è 17/12/2004, per cui va applicata la normativa
antecedente alla L. 5 dicembre 2005, n. 251), divenuti quindici per le interruzioni
sopravvenute. Pertanto, il reato si sarebbe prescritto il 16 agosto 2013, termine
ulteriormente spostato di 145 giorni in considerazione del rinvio al 5/12/2013
disposto il 10 luglio 2013 per sciopero dei difensori. La prescrizione non
maturerà, quindi, che 1’11-1-2014.

Consegue a quanto sopra che tutti i ricorsi vanno rigettati, con conseguente
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processual i.
Così deciso il 5/12/2013

reati e anche alle persone coinvolte”.

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