Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5838 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. U Num. 5838 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da

1. Citarella Giovanni, nato a Nocera Inferiore il 29/04/1968
2. Citarella Gennaro, nato a Nocera Inferiore il 05/10/1962
3. Ruggiero Carmine, nato ad Altavilla Silentina il 10/01/1933
4.

Ruggiero Giuseppe, nato ad Altavilla Silentina 1’11/04/1963

5. Spinelli Federico, nato a Nocera Inferiore il 18/06/1964
6. Cozzolino Rosario, nato a Nocera Inferiore il 04/11/1957
7. Zangari Emanuele, nato a Piaggine il 24/08/1965

avverso la sentenza del 19/11/2012 del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Salerno.

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Antonio Bruno;

Data Udienza: 28/11/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Carlo Destro, che
ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
intervenuta prescrizione limitatamente alle imputazioni di cui 4, 5, 8, 11, 12, 13,
14, 16,20, 21, 23, 24, 26, 27, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39 e per il
rigetto dei ricorsi nel resto, con rinvio per nuova determinazione della pena nei
confronti degli imputati Carmine Ruggiero, Giuseppe Ruggiero e Federico
Spinelli;
uditi gli avv. Dario Vannetiello, per Spinelli. Anacleto Dolce, per Emanuele

sostituzione dell’avv. Nunziante Barlotti, per Giuseppe Ruggiero e Carmine
Ruggiero, Guglielmo Scarlato, per Giuseppe Ruggiero, Michele Sarno, per
Giovanni Citarella, i quali hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Salerno, pronunciando ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ha
applicato a Giovanni Citarella, Gennaro Citarella, Carmine Ruggiero, Giuseppe
Ruggiero, Federico Spinelli, Rosario Cozzolino ed Emanuele Zangari le pene
concordate con il Pubblico Ministero, in riferimento ad una moltitudine di reati
indicati in rubrica.
In sintesi, a tutti gli imputati era ascritto il reato aggravato di associazione
per delinquere sub A), ai sensi dell’art. 416, commi primo, secondo, terzo e
quinto, cod. pen.
Nella relativa formulazione – che mette conto richiamare nei tratti salienti sono indicati il programma delittuoso, le modalità operative del sodalizio ed il
ruolo svolto da ciascun imputato. In particolare, il fine della consorteria – i cui
organizzatori e promotori erano Gennaro Citarella, Giovanni Citarella, Carmine
Ruggiero, Giuseppe Ruggiero, Federico Spinelli ed Emanuele Zangari – sarebbe
stato quello di commettere un numero indeterminato di reati di turbata libertà
degli incanti, corruzione di pubblici ufficiali e falso in atto pubblico, con il
seguente modus operandi:
– in caso di bando di gara con licitazione privata, indetto dalla Provincia di
Salerno, venivano contattati due dipendenti dello stesso Ente, che fornivano
«previo pagamento di un compenso in denaro, le liste delle imprese destinatarie
di invito a partecipare alle gare, in modo che i promotori dell’associazione
potessero concordare tra loro le offerte da depositare presso la stazione
appaltante e, inoltre, contattare quelle tra le altre imprese pure destinatarie di
invito di partecipazione alla gara, che non facevano loro capo direttamente, per

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Zangari, Romano Sabato, per Rosario Cozzolino, Lucio Basco, anche in

suggerire e concordare le offerte da depositare così da determinare il soggetto
tra i partecipanti che sarebbe risultato vincitore della gara e contestualmente un
prezzo di aggiudicazione economicamente più conveniente per le ditte
appaltatrici»;
– in caso di gara con le forme dei pubblici incanti, indetta da vari enti
pubblici territoriali, erano organizzate “cordate” di società ed imprese individuali
che, preventivamente, concordavano le relative offerte, così «turbando il
regolare svolgimento della gara e determinando il soggetto tra i partecipanti che

aggiudicazione economicamente più conveniente»;
– il sodalizio delinquenziale gestiva, inoltre, «i ricavi ed i costi delle varie
gare vinte da imprese appartenenti alle cordate dividendo i costi ed i ricavi tra i
singoli associati ed affidando, per tale ragione, a ditte agli stessi facenti capo,
anche se non ufficialmente appaltatrici né subappaltatrici dei lavori, la concreta
esecuzione delle opere pubbliche e ciò grazie all’illegittima compiacenza di
pubblici ufficiali, direttori dei lavori, direttori operativi ovvero

R.U.P. che

consentivano, anche verso corresponsione di denaro od altra utilità,
l’effettuazione dei lavori da parte di soggetti diversi dagli aggiudicatari della
gara».
Ai singoli imputati erano, poi, contestati – nei termini, per ciascuno,
specificamente indicati in rubrica – numerosi reati e precisamente:
– corruzione aggravata, ai sensi degli artt. 81 cpv., 110, 112 n. 1, 319, 319bis, 321 cod. pen. (con identiche modalità operative: corresponsione di somme
di danaro a funzionari pubblici dipendenti della Provincia di Salerno, in occasione
di gare indette con licitazione privata, in cambio della consegna dell’elenco delle
ditte da invitare alla gara);
– turbata libertà degli incanti, ai sensi degli artt. 110, 353, comma primo e
secondo, cod. pen., con specifico riferimento alle gare ad evidenza pubblica, in
concorso con i pubblici ufficiali in servizio presso la Provincia di Salerno, che
fornivano l’elenco delle ditte invitate alla gara, mediante il sistema fraudolento
del concertato aumento della percentuale di ribasso, al fine di favorire la ditta di
volta in volta prescelta per l’aggiudicazione della gara;
– identica contestazione con riferimento a gare di appalto bandite dai Comuni
di Battipaglia, Campobasso, Agropoli, Fisciano, Nocera Inferiore;
– corruzione e frode nelle pubbliche forniture, ai sensi dell’art. 356 cod. pen.,
mediante dazione di danaro al soggetto incaricato della direzione dei lavori
perché «non fosse rilevato e contestato alla ditta esecutrice dei lavori l’avvenuta
messa in opera di un quantitativo di bitume inferiore rispetto a quello previsto
nel capitolato di appalto»;

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sarebbe risultato vincitore della gara, nonché assicurandosi un prezzo di

- falso ideologico in atto pubblico, ai sensi degli artt. 110 e 479 cod. pen., in
concorso con pubblici ufficiali, chiamati, di volta in volta, a svolgere funzioni di
direttore dei lavori, i quali attestavano falsamente in atti relativi all’esecuzione di
opere appaltate (tra cui contabilità dei lavori, stati di avanzamenti, verbali di
“carotaggio” ect.) che le stesse erano state eseguite dalla ditta aggiudicataria,
ove invece erano state realizzate da altra ditta, riconducibile ad uno degli
associati, e tanto avveniva sino alla «relazione sul conto finale e certificato di
regolare esecuzione dei lavori» in cui si attestava falsamente che l’impresa

ordini ed alle disposizioni della direzione dei lavori durante il corso di essi» ed
aveva regolarmente eseguito i lavori medesimi, con liquidazione del relativo
importo.

2. La sentenza impugnata disponeva, altresì, la confisca per equivalente
delle somme di danaro e dei beni sequestrati e, contestualmente, revocava le
misure cautelari disposte, a suo tempo, nei confronti di tutti gli imputati, con
conseguenziali statuizioni.

3. Avverso l’anzidetta pronuncia, l’avv. Michele Sarno, difensore di Giovanni
Citarella; l’avv. Sabato Romano, difensore di Gennaro Citarella e di Rosario
Cozzolino; l’avv. Nunziante Barlotti, difensore di Carmine Ruggiero; gli avvocati
Guglielmo Scarlato e Lucio Basco, difensori di Giuseppe Ruggiero; Federico
Spinelli, personalmente ed il suo difensore, avv. Dario Vannetiello; l’avv.
Anacleto Dolce, difensore di Emanuele Zangari, hanno proposto distinti ricorsi
per cassazione.

4. Con il primo motivo d’impugnazione, il difensore di Giovanni Citarella si
duole della mancata concessione dell’indulto, che non era stata neppure
riservata alla fase esecutiva, con conseguente lesione del diritto di difesa
dell’imputato, costretto ad intraprendere nuova iniziativa giudiziale, anche in
spregio al principio della ragionevole durata del processo, prescritto dall’art. 111
Cost.
Con il secondo motivo denuncia erronea determinazione del calcolo della
pena; erronea individuazione del reato più grave; erronea applicazione della
legge penale. A dire del ricorrente, il reato più grave avrebbe dovuto essere
individuato in quello previsto dall’art. 476 cod. pen., in luogo dell’associazione
per delinquere, come stabilito in sentenza, e tale erronea determinazione aveva
comportato l’applicazione di una pena maggiore di quella che avrebbe dovuto
essere irrogata e, dunque, una pena contra legem.

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aggiudicataria aveva «ottemperato agli obblighi derivanti dal contratto ed agli

:

5. Il ricorso in favore di Gennaro Citarella deduce, con il primo motivo,
errata applicazione della legge penale per erronea determinazione della pena,
tenuto conto che alcuni reati erano prescritti ancor prima della richiesta di
patteggiamento, come quello sub 2, ai sensi dell’art.353 cod. pen., contestato
alla data del 13 luglio 2005, rispetto al quale, secondo il precedente regime della
prescrizione, il relativo termine era quinquennale, ampiamente decorso in
mancanza di atti interruttivi: così era per le ipotesi delittuose di cui ai capi 3, 4,

ancora.
Con il secondo motivo si lamenta errata applicazione della legge penale in
relazione alla disposta confisca per equivalente, sul rilievo che il primo giudice
aveva individuato il quantum da confiscare sulla base di ipotesi criminose già
prescritte; donde la richiesta di annullamento in parte qua. Mancavano, del
resto, i presupposti di legge per l’applicazione della confisca, trattandosi di
sentenza di patteggiamento, come tale priva del preliminare accertamento di
penale responsabilità.
Ad ogni modo, sarebbe stato necessario attendere l’esito del processo
“stralciato” – in corso, con il rito ordinario, nei confronti di altri imputati innanzi
al Tribunale di Salerno – al fine di evitare conflitto di giudicati su identica vicenda
sostanziale.

6. Il ricorso in favore di Carmine Ruggiero deduce, con il primo motivo,
inosservanza di norme processuali. Osserva, al riguardo, che, sebbene
all’udienza preliminare fossero stati chiamati e, poi, riuniti due distinti
procedimenti (n. 4203/2007 RGNR e n. 1093/2012 RGCR) scaturiti da unica,
complessa, indagine in ordine alla stessa vicenda, l’avviso del procedimento in
camera di consiglio, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen., avrebbe dovuto
contenere l’intero elenco dei capi di imputazione oggetto dei due procedimenti.
Non essendo stata contemplata l’intera platea dei reati per i quali sarebbe poi
intervenuto il patteggiamento, erano state violate le norme di cui agli artt. 127,
447, 448 cod. proc. pen., negandosi all’imputato ed ai suoi procuratori speciali la
necessaria, preventiva, informazione sui reali contenuti della procedura in corso,
con violazione dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen, in virtù del quale
l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato devono essere
garantiti attraverso un adeguato apporto di informazioni, che gli consentano di
accedere al rito prescelto in piena consapevolezza.
Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale. Il
primo giudice aveva individuato il reato più grave nell’ipotesi di cui all’art. 416,

5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20 bis, 21 e per altre

comma primo, cod pen., ritenendola autonoma fattispecie delittuosa e non già
circostanza aggravante dell’ipotesi base di cui al comma secondo dello stesso
articolo. Pertanto, anche la fattispecie contestata sarebbe dovuta rientrare nel
bilanciamento con le concesse attenuanti generiche, di talché il reato più grave
avrebbe dovuto individuarsi nel falso ideologico di cui agli artt. 476 e 479 cod.
pen., con forbice di pena meno ampia di quella prevista dall’art. 416, comma
primo, cod. pen. e conseguente più favorevole assetto sanzionatorio. Una pena
più contenuta, anche di un solo mese, avrebbe consentito all’imputato di

terzo, cod. pen.

7. Il primo motivo del ricorso in favore di Giuseppe Ruggiero eccepisce
inosservanza di norme processuali e sostanziali, sulla base di motivi identici a
quelli addotti nel ricorso di Carmine Ruggero.

8. Il ricorso proposto personalmente da Federico Spinelli denuncia violazione
di legge. Si osserva, al riguardo, che, a seguito di richiesta di giudizio immediato,
proposta dal P.m. il 30 agosto 2012, il G.i.p. del Tribunale di Salerno aveva
emesso il relativo decreto di citazione il 6 settembre 2012, dunque nove giorni
dopo la richiesta avanzata dal pubblico ministero. Era stata così violata la
disposizione dell’art. 455 del codice di rito, secondo cui il giudice, entro cinque
giorni, emette decreto con il quale dispone giudizio immediato. La nullità dell’atto
introduttivo travolgeva anche le opzioni processuali che il ricorrente aveva
dovuto effettuare anzitempo e non già nei termini e nelle forme che la legge gli
consentiva; in particolare, aveva dovuto optare per il rito del patteggiamento
nell’ambito di un procedimento introdotto contra legem e l’originaria nullità
aveva finito con il travolgere l’intera procedura e, quindi, anche la sentenza
emessa in esito ad essa.
Con atto depositato l’8 marzo 2013, il difensore dello stesso Spinelli, avv.
Dario Vannetiello, propone motivi nuovi, eccependo violazione degli artt. 444 e
129 cod.proc.pen. In particolare, deduce che tutti gli episodi corruttivi anteriori
al 12 giugno 2006 (data di esecuzione del titolo custodiale), erano ormai
prescritti, secondo il novellato regime della prescrizione. Al riguardo, occorreva
tener conto del nuovo termine prescrizionale – pari ad anni sei, decorrente
dall’ultimo atto interruttivo e cioè dalla notifica dell’ordinanza di custodia
cautelare – e del fatto che il momento consumativo del reato di corruzione
coincideva con quello della remunerazione al pubblico ufficiale, che, nel caso di
specie, aveva solitamente luogo una decina di giorni prima dello svolgimento
della gara (sulla base delle dichiarazioni confessorie del coimputato Gennaro

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ottenere il beneficio della sospensione condizionale ai sensi dell’art. 163, comma

Citarella), mentre, per il reato di cui all’art. 353 cod. pen., coincideva con la data
di ciascuna gara d’appalto. All’atto della sentenza impugnata risultavano, così,
prescritti numerosi reati, dettagliatamente indicati. Erroneamente, pertanto, il
giudice di merito aveva ratificato l’accordo intercorso tra le parti, senza
avvedersi dell’avvenuta prescrizione di gran parte dei reati contestati,
segnatamente di quelli commessi negli anni 2005-2006, per i quali era stata
applicata una frazione di pena in continuazione. Ai sensi dell’art. 6 legge n. 251
del 2005, la rinuncia alla prescrizione richiedeva una dichiarazione di volontà

patteggiamento non poteva integrare rinuncia a far valere la causa estintiva già
maturata. D’altronde, l’intervenuta prescrizione era deducibile con ricorso per
cassazione, posto che il mancato rilievo della stessa, da parte del giudice a quo,
configurava violazione dell’art. 129 del codice di rito, che impone al giudicante
l’obbligo dell’immediato rilievo delle cause estintive del reato. Pertanto, la
sentenza impugnata avrebbe dovuto essere annullata senza rinvio, posto che,
come da citata giurisprudenza di legittimità, l’errore sulla determinazione della
pena, ancorché incidente sulla frazione di pena stabilita, a titolo di continuazione,
per i reati fini, travolgeva l’intero accordo inter partes.
Segnala, altresì, che nel ricorso principale era stata chiesta l’estensione delle
impugnazioni dei coimputati fondate su motivi “non personali”, segnatamente
quella dell’avv. Anacleto Dolce, il quale aveva, specificamente, eccepito la
violazione di legge in questione.
Con memoria depositata il 4 settembre 2013 l’avv. Vannetiello deduce
ulteriori rilievi critici, contestando, in particolare, la configurabilità dell’implicita
rinuncia a far valere la prescrizione, alla stregua del nuovo testo dell’art. 157
cod. pen., in base al quale la rinunzia deve essere formulata in modo espresso.
Sostiene, inoltre, che era dovere del giudice il rilievo immediato della
prescrizione, ai sensi dell’art. 129 del codice di rito, sicché il giudice dell’udienza
preliminare, investito della richiesta di giudizio immediato, avrebbe dovuto far
luogo ad immediata declaratoria di non doversi procedere per intervenuta
prescrizione. Tale obbligo s’imponeva anche alla luce della normativa e della
giurisprudenza comunitaria, ispirate alla massima semplificazione delle
procedure. La relativa violazione, per obiettiva entità, non avrebbe potuto
ritenersi sanata per effetto dell’accordo negoziale sulla pena da applicare.
Il ricorrente rettifica, poi, l’erronea indicazione contenuta nella precedente
memoria, secondo cui la relativa questione di rito sarebbe stata sollevata nel
ricorso principale, ove invece era stata dedotta solo con i motivi nuovi. Ad ogni
modo, il ricorso principale non avrebbe potuto considerarsi inammissibile, sì da
travolgere i motivi nuovi e, quand’anche così fosse stato, la ritenuta

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espressa, che non ammetteva equipollenti, di talché la richiesta di

inammissibilità non avrebbe potuto precludere l’estensione allo Spinelli
dell’impugnazione dei computati, che, espressamente, avevano eccepito
l’anzidetta violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., sulla base di “ragioni non
personali”, anche alla luce della sentenza di queste Sezioni Unite n. 30347 del
12 luglio 2007.

9. Il ricorso in favore di Rosario Cozzolino è affidato a ragioni di censura

10. Con unico motivo d’impugnazione il difensore di Emanuele Zangari
deduce violazione degli artt. 444 e 129 cod. proc. pen. sul rilievo che era stata
applicata una pena per fattispecie delittuose oramai prescritte, tenuto conto del
nuovo termine prescrizionale e delle dichiarazioni confessorie del coimputato
Gennaro Citarella, che avevano consentito di accertare l’epoca della dazione di
somme al pubblico ufficiale, che, notoriamente, segnava il momento
consumativo del delitto di corruzione, di talché tutti i reati commessi negli anni
2005 e 2006 erano ormai prescritti. L’omesso rilievo della prescrizione, che non
avrebbe potuto ritenersi rinunciata per effetto della richiesta di patteggiamento,
era deducibile in sede di legittimità, sub specie del vizio di violazione dell’art. 129
del codice di rito, che imponeva al giudice l’immediato rilievo e, quindi, il rifiuto
di un accordo negoziale riguardante reati ormai prescritti.

11. Con ordinanza del 6 agosto 2013, la Sezione Feriale, rilevato che nella
giurisprudenza della Corte di cassazione vi era un contrasto interpretativo sulla
rilevanza della richiesta di patteggiamento come rinunzia alla prescrizione,
rimetteva i ricorsi all’esame delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc.
pen., sul seguente quesito di diritto:

«se la presentazione della richiesta di

applicazione della pena da parte dell’imputato e il consenso a quella proposta dal
pubblico ministero costituiscono una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla
prescrizione non più revocabile».

12. Con decreto del 30 agosto 2013, il Primo Presidente assegnava i ricorsi
alle Sezioni Unite, disponendone la trattazione alla pubblica udienza del 23
settembre 2013.

13. Con ordinanza emessa in tale udienza, il Collegio disponeva che, a cura
della Cancelleria, fosse chiesto al Tribunale di Salerno di indicare l’esistenza di
eventuali cause d’interruzione o di sospensione del corso della prescrizione
interessante il presente procedimento e di trasmettere copia dei relativi atti.

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identiche a quelle proposte, dallo stesso difensore, in favore di Gennaro Citarella.

Assoltosi all’incombente, all’odierna udienza la causa è stata assunta in
decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ di tutta evidenza che la soluzione della quaestio iuris, sottoposta alla
cognizione del Supremo Collegio, postula che sia acquisito in processo il
presupposto fattuale della relativa enunciazione e cioè che, realmente, si sia

abbia ottenuto l’assenso del P.M., possa intendersi come tacita rinuncia a farla
valere.
Proprio ai fini dell’acquisizione dei dati conoscitivi, necessari per il
preliminare accertamento, è stato emesso il provvedimento ordinatorio indicato
in narrativa.

2. Orbene, dall’acquisita documentazione è emerso:
– tutti gli imputati sono stati raggiunti da ordinanza di custodia cautelare,
emessa il 1° giugno 2012 ed eseguita il 12 giugno successivo;
– nei loro confronti è stato emesso decreto di giudizio immediato il 6
settembre 2012 e, nell’ambito del relativo procedimento, è stato poi perfezionato
il pattegg ia mento.
Con riferimento a ciascun imputato si è, poi, accertato:
– Gennaro Citarella ha reso il 30 e 31 maggio 2008 dichiarazioni spontanee
innanzi al P.m. di Salerno; è stato, poi, sottoposto ad interrogatorio, ex art. 64
cod. proc. pen., da parte dello stesso P.m., nei giorni 11, 14, 15, 16, 18 e 24
luglio 2008 e dal G.i.p. il 14 e 20 giugno 2012 ed infine l’11 luglio 2012;
– Giovanni Citarella, a sua volta, ha reso spontanee dichiarazioni, dinanzi
allo stesso P.m., il 27/05/2008; è stato sottoposto ad interrogatorio da parte del
G.i.p. il 14 giugno 2012 e dal P.m. il 20 giugno successivo;
– Giuseppe Ruggiero è stato sottoposto, il 14 giugno 2012, ad interrogatorio,
nel corso del quale si è avvalso della facoltà di non rispondere; il 26 luglio 2012,
allorquando ha ammesso gli addebiti ed ancora il 1° agosto 2012;

Federico Spinelli è stato sottoposto ad interrogatorio il 14 giugno

successivo ed il 4 luglio 2012, allorquando ha ammesso gli addebiti a suo carico;
– Rosario Cozzolino ha reso dichiarazioni spontanee, innanzi al P.m. di
Salerno, il 24 maggio 2008;
– Emanuele Zangari è stato sottoposto ad interrogatorio il 14 giugno 2012
ed il 27 luglio successivo, allorquando ha ammesso gli addebiti.

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verificata la prescrizione, rispetto alla quale la richiesta di patteggiamento, che

3. L’esame dell’acquisita documentazione pone subito due interrogativi di
particolare momento ai fini dell’indagine da compiere e, precisamente, quello
relativo all’efficacia interruttiva delle dichiarazioni spontanee e quello,
subordinato, riguardante l’ambito di esplicazione di detta, eventuale, efficacia nei
confronti dei coimputati.
3.1. Il referente normativo d’inquadramento, in ordine alla prima questione,
è rappresentato dall’art. 374 cod. proc. pen., recante la rubrica:

“Presentazione

spontanea”, con riferimento alla fase procedimentale delle indagini preliminari. A

ha facoltà di presentarsi al pubblico ministero e di rilasciare dichiarazioni».
Soggiunge il comma 2: «Quando il fatto per cui si procede è contestato a chi si
presenta spontaneamente e questi è ammesso a esporre le sue discolpe, l’atto
così compiuto equivale per ogni effetto ad interrogatorio. In tale ipotesi si
applicano le disposizioni previste dagli articoli 64, 65 e 364».
Dalla perspicua formulazione delle norme anzidette balza evidente che, in
caso di spontanea presentazione dell’indagato, qualora gli siano contestati i fatti
per cui si procede, le sue dichiarazioni equivalgono, ad ogni effetto,
all’interrogatorio.
Considerato, allora, che l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero od
al giudice rientra nell’elenco tassativo degli atti aventi efficacia interruttiva del
corso della prescrizione, di cui all’art. 160 cod. pen., ne viene, in termini di
immediata consequenzialità, che le dichiarazioni rese dall’indagato in sede di
presentazione spontanea possono dispiegare efficacia interruttiva, al pari
dell’ordinario interrogatorio, in costanza di una duplice condizione: che siano
rese all’autorità giudiziaria (e non già, dunque, alla polizia giudiziaria) ed in esito
a contestazione del fatto per cui si procede.
In piena aderenza al precipitato normativo, la Corte di cassazione ha avuto
modo di statuire che «le dichiarazioni spontanee rese all’autorità giudiziaria
equivalgono “ad ogni effetto” all’interrogatorio – dunque anche ai fini
dell’interruzione della prescrizione – ex art. 374, comma 2 cod. proc. pen. solo
quando vi sia stata una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato»
(Sez. 1, n. 39352 del 31/10/2002, Sarno, Rv. 222846; Sez. 5, n. 6054 del
22/04/1997, Greco, Rv. 208089). In quest’ultima pronuncia, la Corte ha
osservato – in riferimento all’ineludibile presupposto della contestazione del fatto
ed alla facoltà attribuita al propalante di esporre le sue difese – che gli atti
interruttivi, indicati nell’art. 160 cod. pen., si caratterizzano proprio per essere
esplicazione, da parte dei preposti organi statuali, della volontà di esercitare il
diritto punitivo in relazione ad un fatto-reato ben individuato e rivolto alla
conoscenza dell’incolpato; soggiungendo che «la contestazione, pertanto,

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mente del comma 1, «[Chi] ha notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini,

rappresenta elemento indefettibile dell’interrogatorio e ragione prima della sua
inclusione nell’elencazione tassativa contenuta nella norma predetta, sicché il
semplice rilascio di dichiarazioni spontanee non può identificarsi,
ontologicamente, con l’atto disciplinato dagli artt. 64 e 65 cod. proc. pen.».
Orbene, com’é fatto palese dalle intestazioni dei relativi verbali, le
dichiarazioni di Gennaro Citarella, Giovanni Citarella e Rosario Cozzolino sono
state raccolte dal pubblico ministero proprio nell’ambito procedimentale previsto
dall’art. 374 cod. proc. pen. Risulta, altresì, che nelle anzidette circostanze il

preliminarmente contestato i fatti «come da provvisoria imputazione elevata e
già riportata nel decreto di perquisizione». In proposito, è certamente vero,
come dedotto nelle memorie difensive indicate in narrativa, che gli addebiti
formulati nella richiamata provvisoria imputazione riguardavano, in termini
generici, il reato associativo sub a) (per avere Gennaro e Giovanni Citarella
promosso ed organizzato – e Cozzolino solo per aver fatto parte [di] «un’associazione finalizzata a commettere più reati di corruzione, di turbativa
d’asta aggravata e di falso in atti pubblici ed in scrittura privata mediante la
costituzione di un cartello tra imprenditori e lo sviluppo dei rapporti collusivi e
corruttivi con i pubblici ufficiali preposti alle gare ed ai relativi procedimenti
amministrativi») e, in modo altrettanto generico, il reato sub b), ai sensi degli
artt. 81 cpv., 110, 353 cpv., 319 cod. pen., art. 7 d.l. n. 152 del 1991 («per
avere, agendo in concorso tra loro, in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso anche in tempi diversi, posto in essere ripetuti atti di turbativa di gare
pubbliche per l’assegnazione dei lavori pubblici, mediante la costituzione di un
“cartello” tra più imprenditori e lo sviluppo di rapporti collusivi e corruttivi con
pubblici ufficiali preposti alle gare, in via di identificazione, il fatto commettendo
con metodo mafioso ed allo scopo di creare vantaggio ad associazioni di tipo
camorristico in via di accertamento»); ma è pur vero che, nel corso
dell’escussione, sono stati enunciati – e, via via, puntualmente esaminati ed
addebitati – determinati fatti, con riferimento alle gare specificamente indicate ed
alle modalità fraudolente con le quali ne veniva inquinato il regolare svolgimento.
Né può assumere rilievo la contestazione della speciale aggravante prevista
dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, poi non coltivata, in quanto il coefficiente di
specificità della contestazione deve essere, ovviamente, rapportato alla
particolare fase procedimentale in cui si innesta, caratterizzata da immanente
fluidità ed ineludibile approssimazione degli addebiti. Non a caso, del resto, i
termini delle raccolte specificazioni – che, nel caso di Gennaro Citarella, hanno
impegnato ben due giorni di audizione (30 e 31 maggio 2008) – sono stati, poi,
puntualmente trasfusi nei molteplici capi d’imputazione riportati nell’ordinanza di

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P.m., facendo espresso richiamo al comma 2 dello stesso art. 374, ha

custodia cautelare e recepiti dalla sentenza di patteggiamento, oggetto delle
odierne impugnazioni. D’altronde, è pure significativo – ad ulteriore
sottolineatura della valenza contestativa degli addebiti e della piena contezza
degli stessi, nella loro specificità – il richiamo alle “parziali dichiarazioni
confessorie” degli imputati Giovanni e Gennaro Citarella “negli interrogatori resi
al P.m. nel mese di maggio del 2008”, contenuto nella stessa sentenza, che le
ha, espressamente, incluse nella piattaforma delle evidenze investigative, a
fondamento della ritenuta configurabilità delle fattispecie delittuose indicate in

propalanti hanno finito con il rendere piena confessione in merito e le relative
propalazioni sono state, poi, apprezzate dal giudice a quo nella preliminare
ricognizione delle risultanze investigative, ai fini della delibazione richiesta
dall’art. 129 del codice di rito, nell’ambito della particolare sequenza
procedimentale in esso prevista.
Non è superfluo, infine, osservare che, al di là del dato sostanziale, anche il
profilo formale depone, univocamente, a favore della ritenuta equiparazione delle
anzidette dichiarazioni spontanee all’interrogatorio, in costanza dei pertinenti
elementi qualificanti. Ed infatti, le dette dichiarazioni – rese in presenza del
difensore di fiducia – sono state precedute dagli avvertimenti di cui all’art. 64,
comma 3, cod. proc. pen.
Ed allora, il quesito riguardante la rilevanza delle anzidette dichiarazioni
come atto interruttivo della prescrizione deve trovare, nel caso di specie,
risposta affermativa. A siffatta opinione non potrebbe, di certo, obiettarsi che, in
mancanza di previsione delle dichiarazioni spontanee nel novero degli atti
interruttivi della prescrizione di cui all’art. 160 cod. pen., avente carattere
tassativo (Sez. U, n. 21833 del 22/02/2007, Iordache, Rv. 236372),
l’attribuzione ad esse di valenza interruttiva si risolverebbe in un’interpretazione
estensiva

in malam partem,

posto che l’equiparazione delle stesse

all’interrogatorio – che è atto, normativamente, dotato di capacità interruttiva non è frutto di attività ermeneutica, essendo prevista ex lege dal menzionato art.
374, comma 2, del codice di rito.
3.2. Per quanto concerne, ora, l’ulteriore interrogativo, afferente all’ambito
di esplicazione della relativa efficacia, la risposta è ancora una volta offerta
dall’impianto codicistico, e precisamente dall’art. 161, comma primo, cod. pen.,
secondo cui «[la] sospensione e la interruzione della prescrizione hanno effetto
per tutti coloro che hanno commesso il reato». E’ pacifico, nella giurisprudenza di
legittimità, che siffatto effetto “estensivo” prescinda dalla contestuale
valutazione procedimentale delle posizioni dei concorrenti, al punto da estendersi
anche a coloro che vengano imputati del reato in un momento successivo (Sez.

12

rubrica. Si intende dire che i fatti contestati erano tanto specifici che gli anzidetti

6, n. 3977 del 14/01/2010, Licciardello, Rv. 245857; Sez. 5, n. 31695 del
07/06/2001, Rizzo, Rv 220190).
L’applicazione dell’anzidetto principio alla fattispecie in esame postula, com’è
ovvio, l’individuazione delle specifiche posizioni concorsuali in relazione a ciascun
reato, posto che l’estensione prevista dall’art. 161, comma primo, cod. pen.,
riguarda i concorrenti di un determinato reato e non può, quindi,
indiscriminatamente applicarsi a quanti, per ragioni di connessione, siano
imputati nello stesso procedimento per fatti diversamente qualificati e

Ed allora, a parte la contestazione del reato di associazione per delinquere
sub a) (ai sensi dell’art. 416, commi primo, secondo, terzo e quinto, cod. pen.) a
tutti gli imputati, in qualità di organizzatori e promotori, ad esclusione del solo
Cozzolino, imputato di mera partecipazione, occorrerà individuare, per ogni
singolo reato – tra i molteplici riportati al capo b)

l’ipotesi del concorso di

ciascun imputato con Gennaro Citarella, Giovanni Citarella e lo stesso Cozzolino.

4. Orbene, sulla base delle indicate coordinate può ora procedersi, con
riferimento alle specifiche posizioni, al necessario accertamento se, alla data
della sentenza impugnata (19 novembre 2012), fosse o meno maturato il
termine prescrizionale.
4.1. Giovanni Citarella: per lui il primo atto interruttivo è rappresentato dalle
dichiarazioni spontanee rese il 27 maggio 2008. In virtù della riconosciuta
efficacia interruttiva, nessun reato a lui contestato era prescritto alla data
anzidetta.
Una sola precisazione si rende necessaria in riferimento al reato sub 117,
ascritto, ai sensi degli artt. 81 cpv., 319 e 321 cod. pen., in concorso con
Gennaro Citarella, con generica indicazione della data di commissione del reato:
«dal 2005, 2006, 2008 e sino a febbraio 2008». Dal contesto della rubrica
emerge, chiaramente, che le condotte corruttive riguardavano gare
specificamente indicate e, precisamente, quelle nn. 3482, 3701, 3714, 3738 e
3843. Di nessuna di esse è, però, indicata la data di svolgimento. Dal corposo
elenco dei capi d’imputazione è dato rilevare solo la data del bando con esclusivo
riferimento alla gara n. 3843 (24 febbraio 2006). A fronte di tale
indeterminatezza (propria dell’inciso «dal 2005», cui fa poi seguito la puntuale
indicazione degli anni di riferimento: «nel 2006, nel 2007 e sino a febbraio
2008»), nonostante la specificità di azioni corruttive riferite a singole gare,
ovviamente in epoca a ciascuna successiva, la parte, che pure ha invocato la
prescrizione, non ha fornito alcuna allegazione o valida indicazione di elementi
dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella

13

contestualizzati.

risultante – seppur genericamente – dagli atti di causa, al fine di chiarire se,
effettivamente, alcune di quelle gare fossero state bandite nel 2005 (cfr.,
sull’onere di allegazione a carico dell’imputato, in ipotesi siffatta: Sez. 3, n.
19082 del 24/03/2009, Cusati, Rv. 243765; Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000,
Fretto, Rv. 217575).
4.2. Gennaro Citarella: anche per lui le dichiarazioni spontanee del 30 e 31
maggio 2008 spiegano efficacia interruttiva della prescrizione, di talché, nessuno
dei reati a lui ascritti, tenuto conto delle date di contestazione e dei termini

In particolare, al di là, anche per lui, della generica contestazione temporale
quanto ai reati di falso («sino al»), le falsità riguardavano atti successivi alle
determinazioni dirigenziali relative a ciascuna gara (per il capo 79, la
determinazione del 26 settembre 2005; per il capo 81 la determinazione del 23
settembre 2005 e per il 107 quella del 22 novembre 2002), sicché, con
riferimento a ciascuna di esse – pur applicando il più favorevole termine
prescrizionale, quello della nuova disciplina, pari ad anni dieci e, nella massima
estensione, per effetto di atti interruttivi, ad anni dodici e mesi sei – la
prescrizione non era certamente maturata alla data dell’emissione dell’ordinanza
di custodia cautelare e, quindi, alla data della sentenza di patteggiamento.
Anche per Gennaro Citarella, in relazione al reato di cui al capo 117, valgono
le osservazioni fatte per la posizione di Giovanni Citarella.
4.3. Carmine Ruggiero: per lui il primo atto interruttivo è l’ordinanza di
custodia cautelare del 1° giugno 2012. Ed allora, per quanto riguarda i reati sub
31 e 39 ter, in ragione del ritenuto concorso con Giovanni e Gennaro Citarella, si
estende l’efficacia interruttiva delle dichiarazioni spontanee da loro rese, di
talché la prescrizione, per gli anzidetti reati, é maturata, rispettivamente, il 27
agosto 2013 ed il 10 luglio 2013, dunque successivamente alla sentenza di
patteggia mento.
Invece, per i reati di cui ai capi 108, 109, 110 e 111, ascritti in concorso con
Giuseppe Ruggiero, la prescrizione sarebbe davvero maturata alla data della
pronuncia anzidetta, limitatamente al periodo di tempo sino al 31 maggio 2012,
tenuto conto che il primo atto interruttivo coincide con la data di emissione
dell’ordinanza di custodia cautelare (1 0 giugno 2012). L’intervenuta prescrizione
non può, però, essere rilevata in questa sede, posto che la questione della
rinuncia alla prescrizione, alla base del quesito oggi all’esame delle Sezioni Unite,
non è stata sollevata nel relativo ricorso né – per quanto si dirà – può essere
estesa all’imputato l’identica eccezione sollevata da altri ricorrenti.
4.4. Giuseppe Ruggiero: anche per lui il primo atto interruttivo è riferibile
all’emissione del titolo custodiale; sennonché, in ragione dell’efficacia interruttiva

14

massimi di prescrizione, era estinto alla data della sentenza di patteggiamento.

da riconoscere alle dichiarazioni spontanee di Giovanni e Gennaro Citarella, non
sono prescritti i reati di cui ai capi 4, 5, 20-bis, 21, 24, 27, 29, 30, 31, 32, 34,
37, 38,

39-bis,

39-ter, per i quali, diversamente, sarebbe maturata la

prescrizione prima della sentenza di patteggiamento.
Come per Carmine Ruggiero, all’atto di tale pronuncia, sarebbero invece
prescritti i reati da 108 a 111, limitatamente al periodo di tempo sino al 31
maggio 2012, ma l’omesso rilievo della causa estintiva, da parte del giudice a
quo, non può essere supplito da una pronuncia di questa Corte, per le ragioni

4.5. Federico Spinelli: anche per lui il primo atto interruttivo è rappresentato
dall’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare, sicché a quella data la
prescrizione sarebbe maturata per i seguenti reati: 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 16,
20, 20-bis, 21, 23, 24, 26, 27, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 39, 39-bis, 39-ter,
39-quater e 112. Nondimeno, per effetto dell’estensione dell’efficacia estintiva
delle dichiarazioni spontanee dei coimputati Giovanni e Gennaro Citarella e di
Rosario Cozzolino non erano prescritti, a quella data, i reati sub 6, 7, 8, 9, 11,
12, 13, 14, 16, 20, 20-bis, 21, 23, 24, 26, 27, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37,
39, 39-bis, 39-ter e 39-quater. All’apparenza, resterebbe escluso il reato sub
112, che reca la data di contestazione «nell’anno 2006». Sennonché, dal corpo
della contestazione risulta che si tratta di fatti corruttivi posti in essere nei
confronti del direttore dei lavori dell’appalto di cui alla gara 3893, aggiudicati alla
“MP Lavori srl”, ma di fatto eseguiti dallo stesso Spinelli. La gara in questione
risulta, però, bandita nel 2007, come emerge dall’imputazione

sub

60),

riguardante la turbativa proprio di tale gara, con contestazione al 23 aprile 2007.
Dunque, l’indicazione temporale del reato sub 112 è frutto di evidente errore
materiale, di talché neppure tale reato era prescritto alla data dell’emissione del
titolo custodiale e, quindi, alla data della pronuncia di patteggiamento. In
conclusione, nessuno dei reati ascritti allo Spinelli era prescritto alla data
anzidetta.
4.6. Rosario Cozzolino: per lui le spontanee dichiarazioni rese il 24 maggio
2008, per quanto si è detto, hanno rilevanza interruttiva, sicché, alla data di
emissione dell’ordinanza custodiale e, quindi, della sentenza di patteggiamento,
nessuno dei reati contestati era estinto per prescrizione.
4.7. Emanuele Zangari: anche per lui il primo atto interruttivo coinciderebbe
con la data di emissione del titolo custodiale; nondimeno, in virtù del contestato
concorso con Giovanni Citarella, Gennaro Citarella e Rosario Cozzolino nessuno
dei reati ascritti ai capi 2, 16, 20.bis, 21, 29, 30, 35, 39, 39-bis, 39-ter, 39quater era prescritto al 10 giugno 2012, all’atto dell’emissione dell’ordinanza di
custodia cautelare, e quindi alla data della sentenza di patteggiamento.

15

sopra indicate, in riferimento alla posizione del predetto coimputato.

5. Così delineata la posizione di ciascun imputato riguardo alla prescrizione
asseritamente maturata alla data della sentenza impugnata, per nessuno dei
reati a ciascuno contestati la prescrizione era all’epoca intervenuta, ad esclusione
dei reati sub 108, 109, 110, e 111 ascritti a Carmine e Giuseppe Ruggiero,
limitatamente – pur nella genericità della contestazione – a non specificati fatti
corruttivi posti in essere nell’anno 2006 sino al 31 maggio 2006, tenuto conto del
termine ordinario di prescrizione, pari ad anni sei, e del primo atto interruttivo,

Sennonché, per nessuno dei due imputati, odierni ricorrenti, era stata sollevata
la questione della rinuncia alla prescrizione, che è alla base del quesito oggi
all’esame delle Sezioni Unite né vi sono motivi, ritualmente proposti da altri, che
possano ad essi estendersi, stante l’inammissibilità dei ricorsi che li contengono,
come si dirà più oltre.

6. Da quanto precede balza, allora, evidente l’irrilevanza della questione
oggi sottoposta all’esame del Supremo Collegio, in quanto per nessun reato la
prescrizione era maturata alla data della sentenza di patteggiamento, ad
esclusione dei reati di cui si è detto, in ordine ai quali, però, la questione é,
comunque, ininfluente per le già dette ragioni.

7. Non resta, quindi, che procedere all’esame delle singole impugnazioni.
7.1. Giovanni Citarella. Il primo motivo del ricorso proposto dall’avv. Michele
Sarno, relativo alla mancata concessione dell’indulto ed al difetto motivazionale
al riguardo, é palesemente infondato. Ed infatti, la richiesta del beneficio non
faceva parte della piattaforma negoziale sulla quale si è perfezionato il consenso
delle parti e, anche se così fosse stato, avrebbe dovuto considerarsi tamquam
non esset, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle stesse parti,
secondo consolidato insegnamento di questa Corte (Sez. 3, n. 41875 del
09/10/2008, Poneti, Rv. 241411, secondo cui «in tema di applicazione della pena
su richiesta delle parti, l’applicazione dell’indulto è sottratta alla disponibilità
delle stesse, con la conseguenza che la pattuizione avente ad oggetto
l’applicazione di tale beneficio, se inserita nell’accordo, è da considerare come
mai apposta»; Sez. 2, n. 25923 del 10/06/2008, De Silvio, Rv. 240776; Sez. 5,
n. 4132 del 20/09/1999, Benati, Rv. 214483). D’altronde, é del tutto ininfluente
la mancata riserva di applicazione del beneficio alla fase esecutiva, in quanto una
siffatta statuizione non sarebbe stata, in alcun modo, condizionante della facoltà
– comunque, impregiudicata – di farne apposita richiesta in executivis.

16

per tutti coincidente con la data di emissione dell’ordinanza di custodia cautelare.

Palesemente inammissibile è anche la seconda censura, relativa alla
procedura di determinazione della pena, sul riflesso che il reato più grave
avrebbe dovuto essere individuato in quello previsto dall’art. 476 cod. pen.; e
che tale erronea determinazione aveva comportato l’applicazione di una pena
maggiore di quella, diversamente, applicabile e, dunque, una pena contra legem.
Orbene, dalla sentenza impugnata risulta che, sulla base del calcolo della
pena proposto dalle parti e ritenuto corretto dal giudice a quo, il reato più grave
è stato individuato nell’art. 416, comma primo, cod. pen. (capo a): anni tre di

corruzione, turbativa d’asta e falso ideologico in atto pubblico ascritti ai capi
specificamente indicati; con pena finale determinata in anni tre e mesi cinque di
reclusione per effetto della diminuente di rito.
La censura relativa alla determinazione della pena concordata – e stimata
corretta dal giudice di merito – non può, notoriamente, essere dedotta in sede di
legittimità, al di fuori dell’ipotesi di determinazione contra legem. Ipotesi che, di
certo, non ricorre nel caso di specie, in quanto se è vero che, in linea astratta, il
falso ideologico – nella configurazione relativa ad atto o parte di esso che faccia
fede fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 476, comma secondo, cod. pen. – è
reato più grave di quello associativo (in quanto punito, in quell’ipotesi, con pena
da tre a dieci anni di reclusione, rispetto alla pena edittale dell’art. 416 comma
primo, fissata nella misura da tre a sette anni di reclusione), è evidente che, nel
caso di specie, le parti hanno, comunque, convenuto nell’individuazione del reato
più grave nella fattispecie associativa, senza che siffatta valutazione possa
integrare violazione di legge. Del resto, non si vede quale concreto interesse
potrebbe mai avere l’imputato a dolersi, oggi, dell’individuazione del reato più
grave, nell’ambito di una procedura di calcolo da lui stesso proposta, in
fattispecie delittuosa punita meno severamente di altra, pur ricompresa nella
piattaforma negoziale, ed in che modo – neppure specificato – la misura della
pena, fissata sulla base dell’erronea indicazione del più grave reato (in luogo di
altro più severamente sanzionato), sarebbe stata davvero maggiore di quella
altrimenti dovuta (Sez. 6, n. 7405 del 07/02/2013, Vallone, Rv. 254502 in ordine
alla necessità di un interesse concreto ad impugnare una sentenza di
applicazione della pena, donde l’inammissibilità di ricorso che deduca «presunti
errori di calcolo nella sanzione applicata o il mancato aumento della stessa in
ragione della continuazione, qualora il medesimo non indichi l’esistenza di una
concreta utilità alla rimozione del provvedimento impugnato»).
7.2. Gennaro Citarella. Il primo motivo del ricorso, proposto dall’avv.
Romano Sabato, relativo all’asserita prescrizione di alcuni reati al momento della
pronuncia della sentenza impugnata, è – per quanto si è detto – palesemente

17

reclusione aumentata da anni cinque per la continuazione con i reati di

infondato, giacché, in ragione dell’efficacia interruttiva delle dichiarazioni
spontanee rese dallo stesso Citarella il 30 e 31 maggio 2008, nessuno dei reati a
lui ascritti era prescritto alla data anzidetta.
Palesemente infondata è anche la seconda censura, in tutti i profili di
doglianza in cui si articola. Ed infatti, il preteso errore nella determinazione del
quantum confiscabile in ragione dell’applicazione anche a fatti-reato oramai
prescritti, è inesistente per i motivi sopra indicati, posto che nessun reato era
prescritto alla data del patteggiamento.

pretesa mancanza dei presupposti della misura ablatoria, considerato che l’art.
322-ter cod. pen. consente l’applicazione della confisca per equivalente anche in
caso di patteggiamento, essendo solo necessaria l’individuazione specifica delle
somme di danaro o dei beni da sottoporre a vincolo (Sez. 3, n. 31742 del
28/03/2013, Senzacqua, Rv. 256734). Individuazione che, nella pronuncia
impugnata, non ha fatto certamente difetto.
Infine, il rilievo afferente alla mancata sospensione del procedimento – in
attesa dell’esito del processo stralciato, in corso con il rito ordinario innanzi al
Tribunale di Salerno – prima ancora che sostanzialmente infondato, è
improponibile in questa sede di legittimità.
7.3. Carmine Ruggiero. Il primo motivo dell’avv. Nunziante Barlotti, relativo
alla mancata indicazione nell’avviso di udienza camerale di tutti i capi
d’imputazione risultanti dalla riunione di due procedimenti e del conseguente
difetto di informazioni necessarie per una compiuta contezza degli addebiti, ai
fini di un’opzione davvero consapevole per il rito speciale, è manifestamente
infondato. Ed invero, a parte il profilo d’inammissibilità connesso alla genericità
della sua formulazione, in mancanza di specificazione dei reati che sarebbero
stati esclusi dalla platea di quelli, poi, oggetto di patteggiamento, ogni questione
di rito deve ritenersi preclusa dal perfezionato accordo sulla pena (Sez. 2, n.
17384 del 06/04/2011, Coman, Rv. 250074; Sez. 5, n. 1445 del 24/03/2000,
Procopio, Rv. 216318).
La seconda doglianza, relativa alla procedura di calcolo della pena
concordata, con riferimento a pretesa erronea determinazione del reato più
grave, ed alla qualificazione giuridica del reato associativo, di cui all’art. 416,
comma primo, cod. pen. in termini di fattispecie autonoma o circostanza
aggravante, è palesemente inammissibile. Ed infatti, quanto alla procedura di
determinazione della pena concordata, ogni doglianza in merito è preclusa in
questa sede di legittimità, al di là dell’ipotesi di determinazione contra legem,
come già osservato con riferimento ad analoga censura proposta dai coimputati
Citarella, sulla base di motivazione alla quale va fatto, ora, integrale richiamo. E,

18

—-

.1-(9

Manifestamente infondato è anche il secondo profilo di censura, relativo alla

per quanto concerne il profilo del nomen iuris, è risaputo che, per indiscusso
insegnamento giurisprudenziale di legittimità, in tema di patteggiamento, il
ricorso per cassazione può denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del
fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in
quanto la qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e
l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (Sez. U, n. 5 del 19.1.2000, Neri, Rv. 215825;
Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, non massimata sul punto).

insegnamento, che ne ammette la deducibilità nei soli casi in cui sussista
l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre
deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini
di opinabilità (Sez. 4, n. 10692 del 11/03/2010, Hernandez, Rv. 246394). Nel
caso di specie, la deducibilità dell’errore deve essere esclusa, non risultando
prima facie erronea o strumentale la qualificazione giuridica dei fatti, così come
proposta dalle parti e positivamente delibata dal giudice a quo.
7.4. Giuseppe Ruggiero. Il ricorso proposto dagli avvocati Giuseppe Scarlato
e Lucio Basco è articolato su ragioni di censura identiche a quelle addotte a
sostegno dell’impugnazione in favore di Carmine Ruggiero e, pertanto, non può
che condividerne l’epilogo decisionale in termini d’inammissibilità, sulla base di
motivazioni identiche a quelle sopra espresse, alle quali può farsi, ora, integrale
richiamo.
7.5. Federico Spinelli. In tutta evidenza, é inammissibile il ricorso proposto,
personalmente, dall’imputato, riguardante l’asserita pretesa inosservanza del
termine di legge per l’emissione del decreto di giudizio immediato. Si tratta,
invero, di questione di rito oramai preclusa dal perfezionamento dell’accordo
negoziale che sostanzia il patteggiamento.
L’inammissibilità del ricorso principale si estende, ai sensi art. 585, comma
4, cod. proc. pen. ai motivi nuovi dedotti dall’avv. Dario Vannetiello nelle
memorie dell’8 giugno e del 4 settembre 2013, che, ad ogni modo, sarebbero
stati, già di per sé, inammissibili in quanto non attinenti, né funzionalmente
connessi, a quelli del ricorso principale.
Inutilmente, viene poi sollecitata – in linea gradata, per l’ipotesi
d’inammissibilità del ricorso principale – l’estensione del motivo di ricorso
proposto dall’avv. Anacleto Dolce in favore di Emanuele Zangari, in ordine
all’intervenuta prescrizione di reati al momento del patteggiamento ed
all’impossibilità giuridica di ritenere che la richiesta di patteggiamento comporti
tacita rinuncia alla prescrizione. Infatti, a parte la non estensibilità dell’indicato
motivo, giacché – come si dirà – lo stesso è a sua volta inammissibile, il

19

Nondimeno, l’errore sul nomen iuris deve essere manifesto, secondo l’anzidetto

4

problema di un’eventuale estensione non potrebbe, comunque, neppure porsi
per lo Spinelli, per la sola ragione che, come si é visto, nessuno dei reati a lui
ascritti era estinto per prescrizione alla data della sentenza di patteggiamento.
Per quanto concerne, infine, i rilievi critici formulati dalla stessa difesa nella
memoria depositata il 22 novembre 2013, in ordine alla contestata valenza
interruttiva delle dichiarazioni spontanee rese dai coimputati Citarella e
Cozzolino, è sufficiente il richiamo alle superiori argomentazioni addotte a
sostegno della contraria opinio espressa da questa Corte.
Resta da dire di un ultimo interrogativo posto dal difensore, in ordine alla
pretesa impossibilità di riferire quell’efficacia interruttiva a chi, come lo Spinelli,
al momento delle anzidette dichiarazioni non era neppure indagato, come
attestato dall’iscrizione del suo nominativo nel relativo registro soltanto il 3
giugno 2008, dunque successivamente a quelle stesse dichiarazioni.
Anche tale rilievo è privo di fondamento alla stregua di indiscusso
insegnamento di questa Corte, secondo cui l’estensione degli effetti degli atti
interruttivi nei confronti di «tutti coloro che hanno commesso il reato», a mente
dell’art. 161 comma primo, cod. pen., non postula, come si è già detto, la
contestualità né la contemporaneità delle imputazioni, tanto da applicarsi sia nel
caso in cui, per taluno dei concorrenti, si proceda con separato giudizio (Sez. 3,
n. 4719 del 20/01/1984, Rv. 164324) sia nel caso in cui l’imputazione sia stata
elevata in un momento successivo e, persino, ove il primo imputato sia stato
prosciolto (Sez. 6, n. 3977, Licciardello, cit.; Sez. 4, n. 8316 del 11/06/1982, Rv.
155225; Sez. 3, n. 5551 del 22/02/1982, Rv. 154087).
7.6. Rosario Cozzolino. Il primo motivo del ricorso proposto dall’avv.
Romano Sabato, con riferimento all’asserita prescrizione di alcuni reati ascritti
all’imputato già alla data della sentenza di patteggiamento, è palesemente
infondato, giacché – per quanto si è detto – nessun reato era prescritto a quella
data, alla stregua, peraltro, della riconosciuta efficacia interruttiva delle
dichiarazioni spontanee rese dallo stesso Cozzolino il 24 maggio 2008.
La seconda articolata censura – identica alla corrispondente, dedotta dallo
stesso difensore, in favore di Gennaro Citarella – riguardante la confisca per
equivalente e la mancata sospensione del processo, è manifestamente infondata,
in tutti i profili di doglianza in cui si sostanzia, per le stesse motivazioni sopra
addotte, alle quali può farsi integrale richiamo in questa sede.
7.7. Emanuele Zangari. Il motivo proposto dal difensore, avv. Anacleto
Dolce, riguardante l’asserita prescrizione di taluni reati al momento della
pronuncia di patteggiamento e la conseguente violazione dell’art. 129 cod. proc.
pen., per il mancato rilievo della causa estintiva da parte del giudice a quo, è
palesemente infondato perché – alla luce di quanto si è osservato nella parte

20

.,

relativa alla prescrizione – nessuno dei reati ascritti allo Zangari era, all’epoca,
prescritto.

8. Per le ragioni che precedono, tutti i ricorsi sono inammissibili e tali vanno,
dunque, dichiarati, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di euro mille in favore
della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2013.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

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