Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5837 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5837 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Francesco,

Giofré

nato a Vibo Valentia il 17.3.1990,

avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in
data 30 aprile 2013, di conferma dell’ordinanza del
G.I.P. del Tribunale di Vibo Valentia, in data 10
aprile 2013, di applicazione della misura cautelare
della custodia in carcere;
Visti gli atti,

l’ordinanza denunciata e il

ricorso;
Sentita in camera di consiglio la relazione svolta
dal consigliere dott. Franco Fiandanese;
Sentito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott. Alfredo Pompeo

Data Udienza: 05/12/2013

Viola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO

Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza in data 30
aprile 2013, confermava il provvedimento del G.I.P.
del Tribunale di Vibo Valentia, emesso il 10 aprile

custodia in carcere nei confronti di Giofré
Francesco, in relazione ai reati di associazione
per delinquere (capo a), di ricettazione (capi d e
f), di furto aggravato (capi g e h).
Propone ricorso per cassazione il difensore
dell’indagato, deducendo i seguenti motivi:
l) violazione dell’art. 416 c.p. e degli artt. 273,
125 e 192 c.p.p., nonché difetto di motivazione.
Il ricorrente lamenta un'”erronea interpretazione
della

gravità

indiziaria

dai

materiali

conoscitivi”, afferma che il dato, di per sé
neutro, della relazione amicale intercorrente tra
il Giofré e i due fratelli Prestanicola, viene dal
Tribunale interpretato come indicativo di un
rapporto associativo tra gli stessi, mentre
dovrebbe ravvisarsi soltanto un concorso nel reato,
mancando il

pactum sceleris,

la programmazione

preventiva di reati futuri e la commissione di
molteplici delitti fine. Ciò si evincerebbe anche

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2013, di applicazione della misura cautelare della

da numerose intercettazioni, nelle quali il Giofré
si defila, adducendo pretesti per non venire
coinvolto.
2)

violazione degli artt. 274 e 125 c.p.p., nonché

illogicità e contraddittorietà della motivazione.

i fatti e il momento della decisione cautelare circa due anni – avrebbe imposto una specifica
motivazione della pericolosità del soggetto,
considerata anche l’episodicità e l’irripetibilità
della condotta contestata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati
ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e
devono essere dichiarati inammissibili.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte in
tema di misure cautelari personali, allorché sia
denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal tribunale
del riesame in ordine alla consistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta
il compito di verificare, in relazione alla
peculiare natura del giudizio di legittimità e ai
limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni

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Ad avviso del ricorrente la distanza temporale tra

che l’hanno indotto ad affermare la gravità del
quadro

indiziario

a

carico

dell’indagato,

controllando la congruenza della motivazione
riguardante

la

valutazione

degli

elementi

indizianti rispetto ai canoni della logica e ai

delle risultanze probatorie(per tutte v. Cass. Sez.
U, 22/3/2000- 2/5/2000, n. 11, Audino, Riv.215828);
inoltre, la pronuncia cautelare non è fondata su
prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non
della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza, e il giudizio di
legittimità deve limitarsi a verificare se il
giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la
gravità

del

quadro

indiziario

a

carico

dell’indagato, senza possibilità di “rilettura”
degli elementi probatori (per tutte, Sez. Un.
22/3/2000-2/5/2000, n. 11, Audino, riv. 215828).
I motivi proposti tendono ad ottenere una
inammissibile ricostruzione dei fatti mediante
criteri di valutazione diversi da quelli adottati
dal giudice di merito, il quale ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento con motivazione ampia
ed esente da vizi logici e giuridici, in cui si

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principi di diritto che governano l’apprezzamento

evidenzia

che

“dalle

numerose

conversazioni

registrate si evincono plurimi riferimenti a
condotte illecite perpetrate in epoca preesistente
all’avvio dell’indagine (settembre 2011) ovvero da
compiere in epoca successiva alla fine delle

frequentazione e reciproco supporto tra gli
indagati (e, molto probabilmente, altri soggetti
tuttora di identificare) tali da non consentire
ragionevolmente di prospettare la sussistenza di
condotte episodiche e di semplice concorso quanto
piuttosto un legame di reciproca disponibilità ed
affidamento nella commissione dei delitti
perdurante al di là della consumazione degli
stessi” (pag. 13 ord. impugnata), con comunanza
degli strumenti idonei a commettere i delitti e
distribuzione dei ruoli tra i compartecipi.
L’ordinanza impugnata cita, in particolare, il
contenuto di conversazioni intercettate, dalle
quali si desume la consapevolezza dell’indagato di
far parte di un sodalizio criminoso e il carattere
permanente del vincolo associativo (pagg. 14-18
ord. Impugnata). Si tratta di attività valutativa e
interpretativa del materiale probatorio che esula,
in quanto priva di vizi di manifesta illogicità,

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operazioni captative, che denotano un rapporto di

dall’ambito di cognizione di questo giudice di
legittimità.
Anche per quanto concerne la sussistenza delle
esigenze cautelari e la proporzionalità della
misura adottata, l’ordinanza impugnata, pur tenendo

di tempo intercorso tra i fatti e la decisione
cautelare, ha posto in rilievo la personalità del
Giofré, che risulta anche “sottoposto a
procedimenti penali per reati contro il
patrimonio”, ritenendo la custodia in carcere
“unica misura idonea a contenere il rischio di
recidiva nonché proporzionata alla notevole gravità
dei fatti ed alla pena che ne potrà derivare”. Si
tratta di valutazioni del giudice di merito, le
quali, corrette dal punto di vista logico e
giuridico, non sono in alcun modo censurabili in
questa sede di legittimità.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
al versamento della somma, che si ritiene equa, di
euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
Copia del presente provvedimento deve essere
trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario,

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presente l’incensuratezza dell’indagato e il lasso

affinché provveda a quanto previsto dall’art. 94,
comma l ter, disp. att. c.p.p.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e

ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter,
disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 5
dicembre 2013.

della somma di euro 1000,00 alla cassa delle

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