Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5826 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5826 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

Data Udienza: 24/10/2013

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
ARIS ABDALLAH n. Tunisia il 15 ottobre 1974
avverso l’ordinanza emessa 1’11 luglio 2013 dal Tribunale di Bologna

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Carmine Stabile, che
ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

(),

z

tConsiderato in fatto
1. Con ordinanza in data 11 luglio 2013 il Tribunale di Bologna ha confermato
l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Bologna in data 20 giugno 2013 con la
quale era stata rigettata l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della
custodia in carcere emessa nei confronti di Aris Abdallah in ordine ai reati di rapina
impropria e lesioni personali aggravate.
2. Avverso la predetta ordinanza l’Aris propone, personalmente, ricorso per
cassazione deducendo la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento
al giudizio di attualità delle esigenze cautelari nonché al principio giurisprudenziale
secondo il quale l’adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare applicata
vanno verificate non solo nel momento genetico, ma anche nel corso della “vicenda
cautelare” (Cass. Sez.Un. n.16085, Khalil). Il ricorrente, in particolare, rileva che con
l’appello si era evidenziato che la pena detentiva inflitta (sentenza di primo grado,
emessa all’esito di giudizio abbreviato, il 23 luglio 2012 e confermata in appello il 22
marzo 2013) per i reati in ordine ai quali era stata emessa la misura cautelare (per il
reato di resistenza a pubblico ufficiale si era proceduto in stato di libertà) era di un
anno e cinque mesi di reclusione e che la custodia cautelare era iniziata il 21 luglio
2012; che il superamento di una frazione predeterminata di pena (i 2/3) non avrebbe
potuto comunque incidere sul giudizio circa la proporzionalità della misura cautelare
applicata; che il giudice dell’appello cautelare non aveva preso in considerazione lo
stato di incensuratezza del ricorrente.

Ritenuto in diritto
3.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

L’ordinanza impugnata è correttamente motivata sia in relazione alla persistente

,

attualità delle esigenze cautelari, in particolare di quella prevista dall’art.274 lett.c)
c.p.p., sia con riguardo all’adeguatezza e alla proporzionalità della misura della
custodia in carcere.
Sotto il primo profilo il giudice dell’appello cautelare ha evidenziato le
caratteristiche soggettive dell’appellante, rilevando che si trattava di

“clandestino sul

territorio nazionale da anni, privo di attività lavorativa lecita, aduso all’utilizzo di alias,
nonché gravato da numerosi precedenti giudiziari (era sottoposto al divieto di dimora
in Bologna per reati in materia di stupefacenti all’epoca del fatto) e di polizia” e,
inoltre, ha tenuto conto delle peculiari modalità e circostanze del fatto “commesso con

(A,L,

3
violenza e determinazione nei confronti di un soggetto indifeso, colto di sprovvista,
non esitando a frapporre resistenza anche nei riguardi dei militari intervenuti per
assicurarlo a giustizia”. Nell’ambito di quest’ampia e dettagliata disamina circa le
ragioni specifiche del perdurare del concreto pericolo di reiterazione della condotta
criminosa il giudice di merito era esonerato dal dovere di motivare anche in ordine al
pregresso stato di incensuratezza (nel caso in esame puramente formale trattandosi di
soggetto “aduso all’utilizzo di alias”), che ha la valenza di mera presunzione relativa di

nel caso di specie attraverso la valorizzazione dell’intensità del pericolo di recidiva
desunta dalle accertate modalità della condotta e dalla personalità negativa del
ricorrente.
Quanto alla ritenuta persistenza dell’adeguatezza e della proporzionalità della
misura cautelare della custodia in carcere, le valutazioni del giudice di merito non si
discostano, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, dai principi
giurisprudenziali enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n.16085
del 2011, ric.Khalil. Il Tribunale di Bologna non si è sottratto alla verifica della
perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare l’esigenza cautelare del
concreto pericolo di recidivanza, ritenuta tuttora sussistente, secondo il principio della
minor compressione possibile della libertà personale. Infatti ha ribadito, quanto
all’adeguatezza della misura della custodia in carcere, che l’appellante era un
“soggetto clandestino, dall’identità cangiante, senza nota attività lecita, del tutto
inaffidabile soggettivamente, tanto da non meritare assolutamente misura leviore
rispetto a quella estrema, unica in grado di assicurare su di lui efficace controllo”,
aggiungendo ad ulteriore sostegno di tale conclusione il rilievo che al momento di
commissione della rapina l’Aris si trovava in Bologna in patente violazione del divieto
di dimora che gli era stato applicato nell’aprile precedente per violazione in materia di
stupefacenti, rimanendo così dimostrata la sua incapacità di spontanea osservanza dei
precetti di qualsivoglia misura gradata.
Quanto alla pretesa sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura in
ragione della corrispondenza della durata della stessa a circa i due terzi della pena
determinata dal giudice di merito, nella motivazione dell’ordinanza impugnata si
puntualizza che non vi era pericolo di indebita assunzione, da parte della cautela, delle
funzioni proprie della pena definitiva dal momento che per il 19 novembre 2013, e
quindi “più di un mese prima rispetto all’integrale espiazione della pena relativa al

(A,

minima pericolosità sociale (Cass. sez.II 23 ottobre 2012 n.4820, Mellucci), superata

4
;

reato oggetto di misura in sede cautelare”, era fissata dinanzi alla Settima sezione di
questa Corte la discussione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello,
confermativa di quella di primo grado. Tale assunto non contrasta con quanto
affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n.16085 del 2011 nella quale si è
ritenuto indispensabile che

“l’intero sviluppo della vicenda cautelare debba essere

sottoposto a costante ed attenta verifica circa la effettiva rispondenza dei tempi e dei
modi di limitazione della libertà personale al quadro delle specifiche esigenze,

proporzionalità, posto che, se, da un lato, l’approssimarsi di un limite temporale di
applicazione della misura custodiale a quello della pena espianda non può risolversi
nella automatica perenzione della misura stessa, è peraltro elemento da apprezzare
con ogni cautela, proprio sul versante della quantità e qualità delle esigenze che
residuano nel caso di specie e sulla correlativa adeguatezza della misura in corso di
applicazione”.

Il Tribunale di Bologna, infatti, ha motivatamente sostenuto che

nell’ordinanza appellata non era stata violata la norma dell’art.275 comma secondo
cod.proc.pen., nell’ambito di una valutazione globale e complessiva della vicenda
cautelare del ricorrente, valutazione basata su una serie di parametri di
apprezzamento di natura tanto oggettiva che soggettiva, evitando quindi di incorrere
nell’errore di una mera valutazione aritmetica della proporzionalità della misura
cautelare secondo un criterio di ragguaglio della durata della misura con l’entità della
pena inflitta. Il ricorrente, che evoca la valutazione di tipo aritmetico ritenuta dalla
Corte illegittima (se posta, rigidamente e in via esclusiva, a fondamento della
sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura, prescindendo da ogni
valutazione della persistenza e della consistenza delle esigenze cautelari che ne
avevano originariamente giustificato l’applicazione), non prende in considerazione gli
ulteriori, plurimi e concreti elementi valutati dal giudice di merito per escludere,
attraverso un vaglio articolato e approfondito della complessiva vicenda, il venir meno
della proporzionalità della misura cautelare della custodia in carcere.

4. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
A norma dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p., copia del presente provvedimento
va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.

dinamicamente apprezzabili, proprio alla stregua dei criteri di adeguatezza e

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rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art.94 comma 1 ter disp. att. c.p.p..
Roma 24 ottobre 2013

il cons. est.

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