Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5820 del 11/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5820 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BLANCO MICHELE N. IL 20/05/1965
BLANCO ANTONY N. IL 17/11/1991
avverso l’ordinanza n. 8211/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
08/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MIRELLA
CERVADORO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 11/10/2013

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Sante
Spinaci che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato limitatamente alle esigenze cautelari.

concluso per l’accoglimento del ricorso.

Osserva

Con ordinanza del 30.10.2012, il Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Napoli rigettò la richiesta presentata dal P.M. di
applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di Bianco
Michele e Bianco Anthony, indagati per i reati di cui agli artt.81, 110, 56, 629
c.p. 71.203/91.
Avverso tale provvedimento il P.M. propose appello, e il Tribunale di
Napoli, sezione Riesame, con ordinanza in data 8.1.2013, annullava
l’ordinanza impugnata e disponeva la misura cautelare della custodia in
carcere nei confronti degli indagati.
Ricorre per cassazione il difensore di Bianco Michele e Bianco Anthony,
avv.Filomena Girardi, deducendo: 1) la violazione dell’art.606, co.1, lett.b) e
c) c.p.p. per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità,
di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza in relazione alla notifica
dell’avviso del procedimento in camera di consiglio agli indagati a norma
dell’art.161 c.p.p. co.4 il quale presuppone un effettivo accertamento da parte
dell’ufficiale addetto alle notificazioni della impossibilità delle notificazioni
in quel luogo; 2) la violazione dell’art.606, co.1, lett.b) ed e) c.p.p. per in
relazione agli artt.273, co.1, 292 co.2 lett.c) c.p.p. per errata applicazione della
legge penale e mancanza di motivazione in riferimento ai gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato in riferimento alla sussistenza del tentato (
delitto di estorsione aggravato dall’art.7 della 1.203/91 in riferimento alla

Udito il difensore di fiducia di Bianco Michele avv. Dario Vannetiello che ha

presunta appartenenza alla organizzazione malavitosa “Clan Pagnozzi” non
essendo stata indicata alcuna condotta che possa rientrare nel c.d. metodo
mafioso, anzi avendo la stessa parte offesa riferito che il Blanco si avvicinò ad
esso con un tono “pacato”; 2) la violazione dell’art.606, co.1 lett. e c.p.p. in
relazione agli artt.292 co.2 lett. c) e 273, 274, 275 c.p.p. per la mancanza e
manifesta illogicità di motivazione circa la sussistenza delle esigenze

commissione di ulteriori condotte criminose, né potrebbero reiterare nelle
medesime condotte atteso che l’incarico e l’affidamento dell’attività di
gestione del canile comunale gli è stata revocata; gli indagati sono piatimmuni
da procedimenti penali. La pericolosità è stata poi desunta per mere
congetture, mentre nella fattispecie non è stata posta in essere alcuna azione
intimidatoria, in quanto – come dichiarato dalla stessa parte offesa – l’accesso
al canile venne effettuato unicamente per procedere all’adozione dei cani
randagi.
Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.
In data 24.9.2013 e in data 1.10.2013, vengono quindi depositate dal
difensore avv.Dario Vannetiello due memorie contenenti un motivo nuovo e
una breve nota difensiva, entrambi attinenti alla dedotta violazione
dell’art.275 co.III c.p.p. in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Risulta dagli atti del procedimento – che questa Corte può esaminare
(anche indipendentemente dalle innovazioni contenute dalla legge n.46 del
2006) essendo state dedotte violazioni di natura processuale sulle quali il
giudice di legittimità è giudice del fatto – che in sede di conclusione delle
indagini preliminari entrambi gli imputati hanno dichiarato il domicilio in
S.Martino Valle Caudina Corso Vittorio Emanuele 85, luogo in cui è stata
effettuata la notifica per l’udienza avanti al Tribunale del Riesame del giorno
11.12.2012 con esito negativo, essendo risultati gli stessi trasferiti a

cautelari. A decorrere dal 2011 gli indagati si sono astenuti dalla

Montesarchio come da annotazione riportata in calce all’avviso. Pertanto,
stante l’impossibilità della notifica, e in assenza di comunicazione di
avvenuto mutamento di domicilio da parte del ricorrente, regolarmente si è
proceduto alla notifica presso il difensore.
2. Il limite del sindacato di legittimità – inteso nel senso che alla Corte di
cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura

del giudizio di legittimità ed ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto alle
scelte in concreto effettuate – non può che riguardare anche i provvedimenti
cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice di merito e, in
particolare, prima del giudice al quale è richiesta l’applicazione della misura
o la modifica della stessa e, poi, eventualmente, del giudice del riesame o
dell’appello, valutare “in concreto” la sussistenza dei gravi indizi di reità e
delle esigenze cautelari, e rendere un’ adeguata e logica motivazione sui
parametri normativi previsti, per formulare la prognosi di pericolosità.
Tanto premesso, rileva il Collegio che le doglianze di cui al secondo
motivo di ricorso, laddove censurano la congruità e illogicità
dell’argomentare del giudicante, in relazione alla ritenuta gravità indiziaria,
in riferimento al reato p.p. dagli artt.81, 110, 56, 629 c.p. 7 1.203/91 non
possono essere accolte.
Con ampia e logica motivazione il Tribunale ha evidenziato che a
carico dei Bianco depongono le propalazioni accusatorie della parte offesa,
gestore della società “Mister Dog s.r.l.”, destinataria dell’intimazione da
parte dei prevenuti a ritirare l’offerta di partecipazione alla gara pubblica
d’appalto per il servizio di canile del Comune di S.Martino Valle Caudina, e
quindi – dopo l’aggiudicazione – della intimazione di subire “brutti
incidenti” in caso di accettazione dell’incarico ad opera di esponenti della
criminalità locale (facendo riferimento al clan camorrista Pagnozzi), nonché
di minacce di morte. Il narrato del denunciante congruente, omogeneo e
credibile, nonché privo di intenti calunniatori è corroborato da riscontri
provenienti aliunde costituiti dalle dichiarazioni di Buonauro Aniello e di
Rossolino Caserta Antonio (v.pagg.2 e 3 dell’ordinanza impugnata).
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3. Anche sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 della legge n.
203 del 19911e censure sono infondate.
L’art.7 della legge in questione richiede che i delitti punibili con pena
diversa dall’ergastolo siano commessi avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività di associazioni di tipo
mafioso. Si tratta di due ipotesi distinte, quantunque logicamente connesse.

La prima ricorre quando l’agente o gli agenti, pur senza essere partecipi o
concorrere in reati associativi, delinquono con metodo mafioso, ponendo in
essere, cioè, una condotta idonea ad esercitare una particolare coartazione
psicologica – non necessariamente su una o più persone determinate, ma,
all’occorrenza, anche su un numero indeterminato di persone, conculcate
nella loro libertà e tranquillità – con i caratteri propri dell’intimidazione
derivante dall’organizzazione criminale della specie considerata. In tal caso
non è necessario che l’associazione mafiosa, costituente il logico presupposto
della più grave condotta dell’agente, sia in concreto precisamente delineata
come entità ontologicamente presente nella realtà fenomenica; essa può
essere anche semplicemente presumibile, nel senso che la condotta stessa, per
le modalità che la distinguono, sia già di per sé tale da evocare nel soggetto
passivo l’esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza
criminale del reato commesso. La seconda delle due ipotesi previste dal
citato art. 7, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di
agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso, implica invece
necessariamente l’esistenza reale, e non più semplicemente supposta, di
un’associazione di stampo mafioso, essendo impensabile un aggravamento
di pena per il favoreggiamento di un sodalizio semplicemente evocato
(cfr.Cass.Sez.I, Sent. n. 1327/1994). Ai fini della configurabilità della
circostanza aggravante di cui all’art. 7 in questione è necessario, poi,
l’effettivo ricorso, nell’occasione delittuosa contestata, al metodo mafioso, il
quale deve essersi concretizzato in un comportamento oggettivamente
idoneo ad esercitare sulle vittime del reato la particolare coartazione
y
psicologica evocata dalla norma menzionata e non può essere desunto dalla

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mera reazione delle stesse vittime alla condotta tenuta dall’agente (v., da
ultimo Cass.Sez.VI, Sent. n. 28017/2011 Rv. 250541).
L’aggravante in questione, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è
applicabile a tutti coloro che, in concreto, ne realizzano gli estremi, sia che
essi siano partecipi di un sodalizio di stampo mafioso sia che risultino ad
esso estranei (v. Cass.Sez. Un. 22 gennaio 2001, n. 10; Sez.I, Sent. n.

17532/2012 Rv. 252649; Sez.II, Sent.n. 20228/2006 Rv.234651).
Tanto premesso, rileva il Collegio che lo sviluppo argomentativo della
motivazione della ordinanza impugnata circa la sussistenza dell’aggravante
in questione è fondato su una coerente analisi degli elementi di prova (
ovvero dei comportamenti concreti degli imputati, ritenuti oggettivamente
idonei ad esercitare sulla vittime del reato la particolare coartazione
psicologica evocata dalla norma menzionata, dati i frequenti riferimenti al
clan camorrista Pagnozzi, egemone sulla zona), e quindi, anche sul punto, il
provvedimento in esame supera il vaglio di legittimità demandato a questa
Corte.
4. Il terzo motivo ricorso è invece fondato, e va accolto.
Il Tribunale del riesame nel ritenere sussistenti le esigenze cautelari ha
disposto la misura della custodia in carcere muovendo esplicitamente dal
rilievo della presunzione assoluta di adeguatezza della più severa misura
coercitiva, ex art.275 c.p.p., co.3 in presenza della contestata aggravante di
cui all’art.7 1.n.203/ 91. Tuttavia, successivamente alla emissione
dell’ordinanza impugnata, la Corte Costituzionale, con sentenza n.57 del
29.3.2013, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.275 c.p.p., co.3 secondo
periodo, come modificato dall’art.2, co.1, del decreto legge 23 febbraio 2009
n.11 nella parte in cui non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti
elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le
esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Alla luce del mutato quadro normativo, si impone una nuova
valutazione delle esigenze cautelari da parte del giudice territoriale.

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L’ordinanza impugnata va pertanto annullata limitatamente alle
esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame sul
punto.

P.Q.M.

rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame sul punto.
berato, in camera di consiglio 1’11.10.2013

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari con

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