Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5803 del 07/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5803 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARRIER° IVAN N. IL 14/12/1982
avverso l’ordinanza n. 500/2012 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
15/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;
e

Uditi difensor

Data Udienza: 07/12/2012

udito il PG in persona del sost. Proc. gen. D.ssa E Cesqui che ha chiesto annullarsi con rinvio
la sentenza impugnata limitatamente all’addebito ex art. 416 bis cp con rivalutazione delle
esigenze cautelari; rigettarsi nel resto il ricorso;
udito il difensore avv. M. Falcone che ha illustrato i motivi del ricorso e ne ha chiesto
l’accoglimento.
RILEVATO IN FATTO

2. Ricorre per cessazione il difensore e deduce: inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale e di norme processuali, con particolare riferimento agli articoli 192 comma
terzo e 273 cpp, 110 e 416 bis cp, e ancora 274 lett. c) e 275 cpp, nonché 7 DL 152/91,
unitamente a mancanza assoluta di motivazione, ovvero illogicità della stessa, emergente dal
testo del provvedimento.
3. A Carriera, oltre alla condotta di appartenenza all’associazione mafiosa denominata
sacra corona unita, è addebitato il delitto di tentata estorsione aggravata in danno di tale
Devicienti Luigi Oreste, imprenditore, al quale, secondo l’ipotesi d’accusa, sarebbe stato
richiesto da Parisi Tobia il versamento di somma di denaro, in quanto “tutti dovevano pagare”.
Nella circostanza, il Parisi sarebbe stato accompagnato dal Carriera.
4. Quanto all’associazione mafiosa, il tribunale del riesame propugna una tesi alquanto
originale, che farebbe differenza tra persone organiche e persone affiliate. In realtà, l’unico
elemento a carico del Carriero -anche per quel che riguarda la sua pretesa adesione alla
societas sceleris- deriverebbe, appunto, dall’essersi accompagnato, nella circostanza sopra
descrittai al Pa risi.
5. A ben vedere, a carico di questo indagato non esiste alcuna chiamata in correità.
Penna Ercole, collaboratore di giustizia, chiama in causa unicamente il Parisi e nulla dice del
Carriera. Orbene, anche quando sono ravvisabili rapporti di contiguità o vicinanza a un
mafioso, rapporti che, in quanto tali, non possono essere considerati univocamente
riconducibili né a una formale affiliazione, né a un qualunque inserimento nel sodalizio
medesimo, occorre la dimostrazione necessariamente specifica, di un’attività associativa, cioè
di una stabile messa a disposizione della propria opera per i fini dell’organizzazione. Nel caso di
specie, manca del tutto la prova e, correlativamente, la motivazione circa il preteso stabile
inserimento di questo ricorrente nell’associazione denominata sacra corona unita. Il tribunale
del riesame giunge ad affermare il coinvolgimento del Carriera unicamente in base alla
considerazione che, essendo Parisi latitante, egli non si sarebbe accompagnato a un soggetto
estraneo alla struttura malavitosa. Ma così ragionando, si confonde il concorso di persone nel
reato con il reato associativo.

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1. Il tribunale del riesame di Lecce, con il provvedimento di cui in epigrafe, ha rigettato
il ricorso proposto da Carriera Ivan avverso l’ordinanza emessa dal gip presso il medesimo
tribunale, con la quale fu disposta la custodia cautelare in carcere, con riferimento ai delitti di
cui agli articoli 416 bis, 56, 629, 110 cp e 7 DL 152/91.

6. Per quanto specificamente riguarda la pretesa tentata estorsione, è emerso che la
c.d. persona offesa era in realtà soggetto molto vicino alla consorteria criminale nella quale
militava il Penna. Una volta arrestato quest’ultimo, Devicienti non esitò a rivolgersi alle forze
dell’ordine, quasi a volersi ricostruire un’immagine di imprenditore modello. In realtà, egli
rientra in pieno in quella categoria di imprenditori collusi (ben diversi dagli imprenditori rimasti
vittime della mafia), così efficacemente messa a fuoco dalla giurisprudenza di legittimità.
7. Quanto alle conversazioni intercettate, esse hanno scarso valore di riscontro, poiché,
come emerge dagli atti, sono intervenute per iniziativa dello stesso Devicineti. Il
provvedimento impugnato, dunque, non riesce a cogliere nel segno e lascia del tutto irrisolto il
quesito fondamentale, derivante dall’obiezione della mancanza di concreto e specifico riscontro
all’unica accusa a carico del ricorrente, senza effettuare alcun valido e approfondito esame
sull’attendibilità intrinseca del Penna.

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9. Infine, in linea del tutto subordinata, il ricorrente osserva che, quanto alle esigenze
cautelar’, non è stata fornita alcuna specifica motivazione, ma il tribunale leccese si è
trincerato in maniera inaccettabile dietro la presunzione di legge, di cui al comma terzo
dell’articolo 275 del codice di rito, senza tenere alcun conto del fatto che l’indagato è
assolutamente incensurato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e merita rigetto; il ricorrente va condannato alle spese del
grado. La Cancelleria curerà le comunicazioni di cui all’articolo 94 disp. att. cpp.
2. Per quel che riguarda la tentata estorsione, il tribunale del riesame pone in evidenza
le precise accuse provenienti dalla persona offesa. Che Devicienti sia stato soggetto più o
meno vicino al Penna è circostanza che, di per sé, non sta a significare che egli non possa
essere stato oggetto di richieste estorsive da parte di altre persone, né che le sue dichiarazioni
siano afflitte da una congenita inattendibilità. Al proposito, il collegio cautelare pone in
evidenza come, quando Parisi e Carriero, formularono le loro richieste in danno del Devicienti,
ebbero modo di specificare che essi erano “altra cosa” rispetto al gruppo del Penna e dei suoi
sodali. D’altra parte, nel provvedimento impugnato, si evidenzia come il Devicienti avesse
sempre dato il suo “contributo” in denaro alla struttura capeggiata dal Penna, senza tuttavia
riceverne, fino a prova del contrario, alcun vantaggio. La sua iscrizione dunque nella categoria
degli imprenditori mafiosi o imprenditori collusi è, allo stato, nonostante quel che si sostiene
nel ricorso, del tutto immotivata.
2.1. Il tribunale del riesame pone anche in evidenza come le accuse provenienti dalla
persona offesa abbiano trovato riscontro anche nel contenuto di intercettazioni telefoniche,
eseguite anche nei confronti dello stesso Devicienti. Ebbene, costui, colloquiando con agenti
della polizia di Stato, ebbe a riferire, immediatamente dopo i due incontri avuti con il
ricorrente, circa l’atteggiamento di costui e circa la natura sostanzialmente estorsiva della
richiesta che, in un primo tempo, fu avanzata materialmente dal solo Parisi, ma che, come si
evince dalla seconda conversazione intercettata, fu oggetto di una “replica” da parte del
Carriero. Non è dunque esatto sostenere, come si fa nel ricorso, che l’indagato sia stato un
semplice accompagnatore del Parisi e questo perché, innanzitutto, come emerge dallo stesso
provvedimento impugnato, in una occasione, Carriero funse addirittura da autista del Parisi,
quando costui si portò al cospetto del Devicienti per formulare la sua richieste estorsiva; in
secondo luogo, perché, come appena chiarito, lo stesso ricorrente ebbe a ribadire la richiesta
proveniente dal Parisi.
3. Quanto all’inserimento del Carrier° nell’associazione malavitosa capeggiata da Parisi,
non appare affatto priva di logica la considerazione formulata dal tribunale del riesame, in base
alla quale, essendo Parisi latitante, egli certamente non si sarebbe accompagnato (e
tantomeno fatto sostenere nelle attività criminose che svolgeva), appunto, da latitante, da una
persona estranea alla struttura e non subordinata al suo comando. Il fatto che Penna non
faccia parola del Carrier° è spiegato poi dal collegio cautelare in base alla considerazione che la
condotta addebitata al Carriero (in concorso con Parisi) è successiva all’inizio della
collaborazione da parte di Penna; costui, viceversa, parla ampiamente del Parisi, il quale, per
parte sua, risulta raggiunto, come sempre si legge nel provvedimento impugnato, da condanna
definitiva per appartenenza alla sacra corona unita.

8. Nessuna motivazione, poi, viene fornita circa la sussistenza dell’aggravante di cui
all’articolo 7 del DL 152/91. è noto che detta aggravante può atteggiarsi, tanto come attività
svolta con modalità mafiose, quanto come attività svolta nell’interesse di una struttura
mafiosa. Ebbene: solo una superficiale disamina degli elementi acquisiti in fase di indagine può
aver indotto il gip a ritenere ravvisabile nel caso di specie l’aggravante nel suo momento
oggettivo. Purtroppo il collegio cautelare mostra di condividere tale impostazione.

4. L’aggravante di cui all’articolo 7 DL 152/91, nella trama motivazionale del
provvedimento impugnato, è intrinsecamente connessa alle modalità con le quali fu consumato
il tentativo di estorsione.
5. Quanto infine alle esigenze cautelari, non è scorretto il criterio cui ha fatto ricorso al
tribunale del riesame, atteso che la presunzione di pericolosità e quindi di adeguatezza delle
misure carcerarie di cui al terzo comma dell’articolo 275 cpp, per essere contrastata, ha
necessità di vedersi contrapposti concreti elementi dai quali sia desumibile o la rescissione del
vincolo associativo, ovvero la dissoluzione dell’associazione stessa, non avendo rilievo, in tal
caso, lo stato dell’incensuratezza dell’indagato.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; manda
alla Cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. cpp
Così deciso in Roma, il giorno 7 del mese di dicembre dell’anno 2012.

PQM

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