Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5801 del 08/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5801 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Pierpaolo Tassani, quale difensore di
Montalti Giancarlo (n. il 19.12.1959) e di Ravaglioli Mariangela (n. il
29.10.1964), avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, III
Sezione Penale, in data 30.03.2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Aurelio
Galasso, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 08/11/2013

Udito l’Avvocato Pierpaolo Tassani, quale difensore di Montalti Giancarlo e
di Ravaglioli Mariangela, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.

OSSERVA:

Con sentenza del 27.04.2010, il Tribunale di Forlì dichiarò Montalti

Giancarlo e Ravaglioli Mariangela responsabili del reato di truffa aggravata e
— concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 61
n. 7 del c.p. – li condannò alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 1.300,00
di multa ciascuno, nonché al risarcimento del danno morale – alla P.C. Di
Bari Michele — quantificato in Euro 60.000,00 e concedendo una
provvisionale, immediatamente esecutiva, di Euro 30.000,00.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame. La Corte
d’appello di Bologna, con sentenza del 30/03/2012, in riforma dell’impugnata
sentenza ridusse la condanna al risarcimento dei danni morali ad Euro
5.000,00 con liquidazione in via definitiva; revocò la provvisionale
immediatamente esecutiva. Confermò, nel resto, la decisione di primo grado.
Ricorre per Cassazione il difensore degli imputati deducendo: la
tardività della querela e, quindi, l’improcedibilità perché insussistente il danno
di rilevante gravità — ex art. 61 n. 7 del c.p. — erroneamente ritenuto;
l’insussistenza del fatto e la mancanza dell’elemento psicologico del reato;
l’inammissibilità della Costituzione di Parte Civile avendo la P.O. già agito in
sede civile, ove chiedeva le stesse cose richieste nel procedimento penale
Il difensore dei ricorrenti conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
In data 15.10.2013 il difensore degli imputati deposita motivi aggiunti
con i quali rappresenta che in data 05.09.2013 è stata rilasciata licenza in
sanatoria per la parte edificata abusivamente. Quindi cita una sentenza di
questa Corte in materia civile e sottolinea che, come già rilevato, nel caso di
specie manca l’elemento oggettivo del reato (oltre a quello soggettivo).
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

a)

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motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’ari. 591 lettera c) in
relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (già
affrontate dalla Corte di appello) sono prive del necessario contenuto di
critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a
precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro

immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, la Corte di appello ha ben evidenziato
con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria e in linea con i
principi di questa Suprema Corte le ragioni per le quali: ritiene sussistente
l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 del c.p. e quindi procedibile di ufficio il
contestato reato di truffa contrattuale aggravata (si veda la motivazione alle
pagine 3 e 4 dell’impugnata sentenza ove si cita, anche, consolidata e
condivisa giurisprudenza di questa Corte); perché sussiste il reato di truffa (si
vedano le pagine da 4 a 6 dell’impugnata sentenza ove oltre ad un attento
esame degli elementi probatori raccolti — dichiarazioni testi, documentazione
acquisita e dichiarazioni dello stesso imputato Ravaglioli — si cita, anche,
consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte); perché è
ammissibile la Costituzione di Parte Civile nonostante che la stessa abbia
agito, anche, in sede civile. Su tale ultimo punto si deve rilevare che la Corte
di appello evidenzia, correttamente, i motivi per i quali, nel caso di specie, è
ammissibile la Costituzione di Parte Civile nonostante che la stessa abbia
agito, anche, in sede civile. Rileva, infatti, il Giudice di merito che nel
processo penale la P.C. ha agito in forza di una diversa causa petendi (si
veda pagina 6 dell’impugnata sentenza). La decisione della Corte territoriale
è conforme ai principi fissati da questa Suprema Corte — citati dalla Corte di
appello e condivisi dal Collegio – che ha costantemente affermato che è
illegittima la dichiarazione di inammissibilità della costituzione di parte civile,
motivata in virtù della preclusione sancita dall’ari. 75 cod. proc. pen. – per il
quale il trasferimento dell’azione civile nel processo penale comporta
l’automatica rinuncia agli atti del giudizio civile che, di conseguenza, deve
essere dichiarato estinto -, allorché tra l’azione civile e quella penale sussista
diversità di soggetti e di causa petendi (Sez. 4, Sentenza n. 35604 del
28/05/2003 Ud. – dep. 16/09/2003 – Rv. 226370). E che nel caso in cui il
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danneggiato da un reato agisca dinanzi al giudice civile per il risarcimento del
danno morale e di quello biologico e, successivamente, si costituisca parte
civile nel processo penale chiedendo il risarcimento dei soli danni
patrimoniali, il giudizio civile non va sospeso, in quanto il principio di
autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, posto dall’art.
75 cod. proc. pen., comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca
diversi tipi di danno, il danneggiato possa pretendere il risarcimento di

ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e
poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l’altro (Sez. 2, Sentenza
n. 38806 del 01/10/2008 Ud. – dep. 14/10/2008 – Rv. 241451).
Orbene a fronte di quanto sopra esposto, la difesa dell’imputato
contrappone solo generiche contestazioni, che non tengono conto delle
argomentazioni della Corte di appello. Inoltre non evidenzia alcuna illogicità o
contraddizione nella motivazione della Corte di appello allorchè conferma la
decisione del Tribunale. In proposito questa Corte Suprema ha più volte
affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di
ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634). Infine, si deve osservare che l’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi,
dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso
di specie non si ravvisano).
Si deve, infine, sottolineare che non incide affatto su quanto sopra ciò
che viene esposto dal difensore degli imputati nei motivi aggiunti. In primo
luogo si deve rilevare che i documenti allegati (in particolare licenza in
sanatoria) tutti del 2013 – e quindi di molto successivi alla sentenza di
secondo grado – non potevano essere prodotti in questa sede di legittimità. In
ogni caso non rilevano certo a scriminare la condotta degli imputati. Infatti,
dalla lettura di tali documenti si ha la piena conferma che gli imputati hanno
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promesso di vendere un immobile che assicuravano essere regolare quando
invece fino al 2013 una parte rilevante dello stesso era abusivo. Si deve in
proposito rilevare — come ha già fatto la Corte di appello — che sussiste il
reato di truffa “contrattuale” anche nell’ipotesi in cui venga pagato un giusto
corrispettivo a fronte della prestazione truffaldinamente conseguita, posto
che l’illecito si realizza per il solo fatto che la parte sia addivenuta alla

degli artifici e dei raggiri posti in essere dall’agente (Sez. 2, Sentenza n.
47623 del 29/10/2008 Ud. – dep. 22/12/2008 – Rv. 242296). Ancora che in
tema di truffa contrattuale, l’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza
il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale che, influendo sulla volontà
negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del
contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (Sez. 2,
Sentenza n. 37859 del 22/09/2010 Ud. – dep. 25/10/2010 – Rv. 248907).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono
essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei
motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e, ciascuno, della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, 1’08/11/2013.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

stipulazione del contratto, che altrimenti non avrebbe stipulato, in ragione

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