Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 58 del 19/12/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 58 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Alessio CESARINI, nato a Roma il 29 settembre 1985;

avverso l’ordinanza del 17 novembre 2015 pronunciata da Corte di appello di
Roma;

Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Stefano Aprile;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Stefano Tocci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 19/12/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Roma, quale
giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di applicazione della disciplina del
reato continuato presentata nell’interesse del ricorrente ed avente ad oggetto
tutte le sentenze di condanna ricomprese nel provvedimento di cumulo emesso

condannato in data 22 giugno 2015.
2. Ricorre Alessio Cesarini, a mezzo del difensore avv. Raniero Valle, che
chiede l’annullamento dell’ordinanza, formulando due distinti motivi.
2.1. Osserva, infatti, che l’ordinanza impugnata è affetta da inosservanza
e\o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lettera b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 671, cod. proc. pen., in relazione
al disposto dell’art. 4 vicies, legge n. 49/2006; nonché da inosservanza e\o

erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera
b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 656, 657, cod. proc. pen..
2.2. Con il primo motivo, si lamenta il mancato riconoscimento della
continuazione tra tutte le sentenze ricomprese nel provvedimento di cumulo,
censurando segnatamente la mancata considerazione dello stato di
tossicodipendenza, nonché la mancata considerazione della breve distanza
temporale tra i fatti giudicati dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 2
luglio 2014 e con sentenza del 6 febbraio 2015.
2.3. Con il secondo motivo, si lamenta l’errato calcolo della pena residua per
mancato computo del presofferto.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare complessivamente infondato.
2. Il ricorso, pur formalmente rivolto a censurare la violazione di legge,
appare incentrato nell’evidenziare gli indici della ritenuta unicità del disegno
criminoso, senza contestare l’applicazione delle norme di legge fatta dalla Corte
di appello di Roma.
2.1. La Corte di appello di Roma ha evidenziato molteplici elementi di fatto in
forza dei quali essa ha tratto la convinzione che non vi siano elementi per
ritenere che i reati giudicati con le sopra citate sentenze possono essere uniti dal
vincolo della continuazione in sede esecutiva, evidenziando, in particolare,
l’ampia distanza temporale tra i fatti, la mancanza di elementi da cui dedurre
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dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma e notificato al

una finalizzazione degli stessi al raggiungimento di un programma, anche solo
abbozzato, nonché l’esistenza di numerosi e frequenti episodi di carcerazione a
seguito di arresto in flagranza.
2.2. Va, in conclusione, ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo il
quale legittimamente può essere negato il riconoscimento del vincolo della

vari fatti criminosi (se tale elemento non sia contrastato da positive e contrarie
risultanze probatorie) e dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente,
sicuramente interruttivi di qualunque progetto, non potendo concepirsi che un
disegno delittuoso includa anche gli arresti, l’espiazione delle pene e le riprese
del fantomatico progetto esecutivo (Sez. 1, Sentenza n. 403 del 24/01/1994,
Marino, Rv. 196965); in particolare, in tema di reato continuato, se la detenzione
in carcere o altra misura limitativa della libertà personale, subita dal condannato
tra i reati separatamente giudicati, non è di per sé idonea ad escludere l’identità
del disegno criminoso, essa non esime il giudice dalla verifica in concreto di
quegli elementi (quali ad esempio la distanza cronologica, le modalità esecutive,
le abitudini di vita, la tipologia dei reati, l’omogeneità delle violazioni, etc.) che
possono rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni (Sez.
1, Sentenza n. 32475 del 19/06/2013, Taraore, Rv. 256119). Tale è il giudizio
formulato, con ampi riferimenti di fatto, dalla Corte di appello.
2.3. Con riferimento al dedotto stato di tossicodipendenza, l’ordinanza
impugnata appare immune da vizi poiché ha fatto corretta applicazione del
costante orientamento di legittimità secondo il quale «in tema di reato
continuato, a seguito della modifica dell’art. 671, comma primo, cod. proc. pen.
ad opera della L. n. 49 del 2006, nel deliberare in ordine al riconoscimento della
continuazione il giudice deve verificare che i reati siano frutto della medesima,
preventiva risoluzione criminosa, tenendo conto se l’imputato, in concomitanza
della relativa commissione, era tossicodipendente, se il suddetto stato abbia
influito sulla commissione delle condotte criminose alla luce di specifici indicatori
quali a) la distanza cronologica tra i fatti criminosi; b) le modalità della condotta;
c) la sistematicità ed abitudini programmate di vita; d) la tipologia dei reati; e )
il bene protetto; f) l’omogeneità delle violazioni; g) le causali; h) lo stato di
tempo e di luogo; i) la consumazione di più reati in relazione allo stato di
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continuazione in considerazione del notevole lasso di tempo intercorrente fra i

tossicodipendenza» (Sez. 2, Sentenza n. 49844 del 03/10/2012, Gallo. Rv.
253846).
Il Collegio ritiene, infatti, che il percorso logico argomentativo dell’ordinanza
impugnata, che non è certo affetta da difetto di motivazione, appia
assolutamente coerente e non contraddittorio, essendo stata motivatamente

3. Osserva il Collegio che il ricorso, in relazione all’errato calcolo della pena
per mancato computo del presofferto, è del tutto infondato in quanto la Corte di
appello di Roma ha fatto corretta applicazione, nel caso di specie, del principio
secondo il quale «in materia di sospensione della esecuzione di misure cautelari,
opera la regola fondamentale per cui uno stesso periodo di detenzione non può
essere imputato a più titoli, nel senso che, ove venga emesso ordine di
esecuzione nei confronti di un soggetto in custodia cautelare per altro fatto, il
periodo successivo all’inizio della carcerazione non è computabile nella pena
detentiva che per quel fatto dovrà essere scontata qualora intervenga condanna
definitiva: ai fini del computo suddetto si dovrà tenere conto soltanto di quella
frazione temporale trascorsa in stato di custodia cautelare relativamente alla
quale non vi sia stata sovrapposizione con l’espiazione della pena» (Sez. 1,
Sentenza n. 30831 del 27/06/2006, Lloti, Rv. 234795, recentemente anche Sez.
2, Sentenza n. 4152 del 20/01/2015, Cava, Rv. 263192).
Nel caso di specie, infatti, il periodo di custodia cautelare cui fa riferimento il
ricorrente risulta compreso in quello contemplato dall’espiazione della pena in
esecuzione della sentenza del Tribunale di Velletri (n. 6 del provvedimento di
cumulo), mentre quello riferito alla sentenza della Corte d’appello di Roma non
poteva essere ulteriormente dedotto poiché all’atto dell’esecuzione della misura
cautelare il ricorrente si trovava già in espiazione pena per una sentenza
definitiva (n. 8 del provvedimento di cumulo).
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 19 dicembre 2016.
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esclusa la ricorrenza degli indicatori specifici sopra ricordati.

sigliere e
Il President

efano Aprii

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