Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5799 del 08/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5799 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sui ricorsi proposti dall’Avvocato Domenico Alvaro – quale difensore di
Cannizzaro Giuseppe (n. il 18.02.1983), di Delfino Rocco Graziano (n. il
06.09.1986), di Leonello Antonio Rocco (n. il 10.11.1967) e di Forgione
Giuseppe (n. 22.03.1987) — avverso la sentenza della Corte d’appello di
Milano, III Sezione Penale, in data 16.04.2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano !asili°.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Aurelio
Galasso, il quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

Data Udienza: 08/11/2013

Udito l’Avvocato Renato Vigna — quale difensore di fiducia di Delfino Rocco
Graziano e in sostituzione dell’Avvocato Domenico Alvaro per gli altri imputati
– il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento di tutti i ricorsi.

OSSERVA:

Cannizzaro Giuseppe, Delfino Rocco Graziano, Leonello Antonio Rocco e
Forgione Giuseppe responsabili dei reati di rapina aggravata e di ricettazione
aggravata e – con la riduzione per la scelta del rito abbreviato — condannò:
Leonello e Cannizzaro alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed Euro
1.200,00 di multa ciascuno; Forgione e Delfino alla pena di anni 4 di
reclusione ed Euro 1.200,00 di multa ciascuno.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame. La Corte
d’appello di Milano, con sentenza del 16/04/2012, in riforma dell’impugnata
sentenza ridusse la pena inflitta agli imputati: per Leonello e Cannizzaro in
quella di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa ciascuno;
per Forgione e Delfino alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed Euro
1.066,00 di multa ciascuno. Confermò, nel resto, la decisione di primo grado.
Ricorre per Cassazione il difensore degli imputati (con due distinti
ricorsi uno per il solo Forgione e uno per gli altri tre ricorrenti) deducendo che
gli indizi non sono gravi, precisi e concordanti ed evidenziando le discrasie
riscontrate nelle dichiarazioni dei testi e la mancanza, la manifesta illogicità e
la contraddittorietà della impugnata sentenza sul punto.
Il difensore degli imputati conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
In data 28.10.2013 l’Avvocato Renato Vigna presenta motivi aggiunti
e/o memoria difensiva per Delfino Rocco Graziano con i quali evidenzia le
ragioni che avrebbero dovuto portare all’assoluzione dell’imputato; anch’egli
conclude per l’annullamento dell’impugnata sentenza.

motivi della decisione

Con sentenza del 05.07.2011, il G.I.P. del Tribunale di Monza dichiarò

I ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi non consentiti nel
giudizio di legittimità.
In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza di primo grado e
quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si
integrano vicendevolmente, formando un tutt’uno organico ed inscindibile,
una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per

caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per
relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non
oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del 28/4/1994
– ud. 18/3/1994 – Rv. 198613; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 – ud.
29/9/1995 – Rv. 203073). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte
ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze
argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad
avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione,
sempreché tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile
carattere di decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e
intrinsecamente idonei a determinare una diversa decisione. In argomento, si
è spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione
concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza
dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui
essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso
probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione
di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza
decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica
dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso,
implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 ud. 15/2/2000 – Rv. 215722; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 – Ud.
23/9/2003 – Rv.226230; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999 – ud.
22/4/1999 – Rv. 213643). Le posizioni della giurisprudenza di legittimità
rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento
la motivazione incompleta nè quella implicita quando l’apparato logico
relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed
inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi

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giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in

presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da
giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli
esiti della valutazione delle prove.
In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di
secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo
grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni

difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi
sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze dell’atto di appello che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice.
Invero la Corte territoriale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume la responsabilità
degli imputati per i reati di cui sopra. In particolare evidenzia il contenuto
delle dichiarazioni del teste Vecera, quanto accertato dalla P.G. e l’esito
dell’esame dei tabulati telefonici; inoltre nella motivazione dell’impugnata
sentenza vi è una risposta esaustiva, logica e non contraddittoria per ognuna
delle generiche doglianze oggi riproposte (si veda per il numero di auto usate
e il loro colore pagina 3 dell’impugnata sentenza; si vedano per gli
accertamenti della P.G., l’esito degli accertamenti sui tabulati, il dialetto
parlato dai rapinatori e per il numero degli occupanti delle autovetture le
pagine 4 e 5 dell’impugnata sentenza). Né incide negativamente su quanto
sopra rilevato quanto esposto nei motivi aggiunti dall’avvocato Vigna per
l’imputato Delfino. Infatti l’unico argomento nuovo (tra l’altro inammissibile
perché non oggetto dell’appello e neppure di specifica doglianza nel ricorso
per cassazione) riguarda la statura (bassa) del Delfino. Orbene tale
particolare che, secondo il ricorrente, doveva essere notato
necessariamente, oltre a costituire una questione di fatto è irrilevante in
relazione a come è stato ricostruito il fatto dai Giudici di merito e per il
diverso ruolo assunto dai singoli autori del reato; inoltre nessuno dei testi ha
visto tutti e quattro i rapinatori insieme.
Appare quindi evidente che tutte le critiche dei ricorrenti finiscono per
porsi come valutazioni di merito e, come tali, non esaminabili in questa sede.
Questa Corte ha, infatti, più volte affermato, anche a Sezioni Unite, che
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un

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aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della

orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla corte di
Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il Giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula,
infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli

elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in
via esclusiva, riservata al Giudice di merito, senza che possa integrare il vizio
di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali”. (Sez. U, Sentenza n.
2110 del 23/11/1995 Ud. – dep. 23/02/1996 – Rv. 203767; Sez. U, Sentenza
n. 16 del 19/06/1996 Cc. – dep. 22/10/1996 Rv. 205621; Sez. U, Sentenza n.
6402 del 30/04/1997 Ud. – dep. 02/07/1997 – Rv. 207945; Sez. 1, Sentenza
n. 2884 del 20/01/2000 Ud. – dep. 09/03/2000 – Rv. 215504; Sez. 1,
Sentenza n. 8738 del 23/01/2003 Ud. – dep. 21/02/2003 – Rv. 223572).
A ciò si aggiunga che gli imputati contrappongono, come già rilevato,
solo generiche contestazioni in fatto, che non tengono conto delle
argomentazioni della Corte di appello. In particolare non evidenziano alcuna
illogicità o contraddizione nella motivazione della Corte territoriale allorchè
conferma la decisione del Giudice di primo grado. In proposito questa Corte
Suprema ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono
inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione
della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del
30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634). Infine, si deve osservare che
l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere
percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a
rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze
(che tra l’altro nel caso di specie non si ravvisano).

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Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00
ciascuno.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, 1’0811112013.

PQM

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