Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5795 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5795 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
CHESSA Gianluca n. Galtellì il 10 maggio 1978
avverso la sentenza emessa il 17 ottobre 2012 dalla Corte di appello di Cagliari,
sezione distaccata di Sassari

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Carmine Stabile, che
ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 24/10/2013

2
Considerato in fatto
1.

Con sentenza in data 25 novembre 2008 il Tribunale di Nuoro dichiarava

Chessa Gianluca colpevole del reato di riciclaggio, in relazione ad un ciclomotore
trovato in suo possesso il 4 novembre 1998 e recante il numero di telaio alterato
mediante la sostituzione con il numero di telaio appartenente ad altro ciclomotore
della stessa marca e tipo ceduto dalla proprietaria al coimputato Piu Flavio (già

reato di ricettazione in relazione al contrassegno di identificazione, di provenienza
furtiva, apposto sul ciclomotore trovato in possesso del Chessa.
2.

La Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza

in data 17 ottobre 2012, pronunciandosi sull’appello dell’imputato, ha dichiarato
estinto per intervenuta prescrizione il reato di ricettazione ed ha rideterminato la pena
per il reato di riciclaggio, esclusa la recidiva, con le circostanze attenuanti generiche,
in anni due, mesi otto di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
3.

Avverso la predetta sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto

ricorso per cassazione.

3.1

Con il primo motivo si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta

illogicità della motivazione in ordine al ritenuto concorso del Chessa nel reato di
riciclaggio in quanto sarebbe stato logico individuare l’autore dell’alterazione del telaio
e della sostituzione della targa nel Piu, il quale era proprietario e possessore dei due
ciclomotori; inoltre l’accertamento tecnico sul numero di telaio dei mezzi, eseguito
senza avvisare le persone indagate, non sarebbe stato affidabile; il comportamento
tenuto all’atto del controllo, infine, avrebbe dimostrato la buona fede del ricorrente.

3.2

Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale

giudicato) perché in pessime condizioni d’uso a seguito di un incidente, nonché del

per la mancata qualificazione giuridica del fatto come incauto acquisto o, al più, come
ricettazione, reati che sarebbero entrambi da dichiarare estinti per intervenuta
prescrizione.

Ritenuto in diritto
4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 II primo motivo tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti
alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito. Nella motivazione della sentenza

ti,

1

impugnata, in ordine al reato di riciclaggio, la Corte territoriale ha espressamente
affermato che il processo di primo grado aveva dimostrato la piena sussistenza
dell’ipotesi delittuosa contestata. Peraltro il giudice di legittimità, ai fini del vaglio di
congruità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare
riferimento -ove si tratti di una sentenza pronunciata in grado di appello- sia alla
sentenza di primo grado che alla sentenza di secondo grado, che si integrano
vicendevolmente, dando origine ad enunciati ed esiti assertivi organici ed inseparabili,

statuizioni del giudice di primo grado (ex plurimis Cass. sez.IV 24 ottobre 2005 n.
1149, Mirabilia) in punto di responsabilità per quanto riguarda il reato di riciclaggio.
Nella motivazione della sentenza impugnata è comunque riportata l’argomentata
ricostruzione della vicenda fatta del giudice di primo grado e dalla lettura congiunta
delle due pronunce risulta che la prova della responsabilità dell’imputato è stata
desunta non solo dall’accertata disponibilità da parte del Chessa del ciclomotore
oggetto del contestato riciclaggio, riportante lo stesso numero di telaio di quello
venduto al coimputato Piu in pessimo stato d’uso dalla teste Sale Rosanna che non
aveva riconosciuto il “suo” ciclomotore in quello sequestrato (onde la contraffazione
riguardava necessariamente il numero di telaio del ciclomotore sequestrato, sul quale
era montata anche una targhetta identificativa di provenienza furtiva, e non quello già
appartenente alla Sale, il cui numero di telaio era stato accertato presso la casa
costruttrice), ma anche dal ritrovamento, rimasto privo di giustificazione da parte
dell’imputato, all’interno del vano portaoggetti di otto punzoni numerici della
lunghezza di circa 6 cm., con caratteri simili a quelli stampigliati sul telaio del
ciclomotore sequestrato, contenuti, unitamente ad utensili vari, viti e rondelle,
all’interno di un astuccio recante la scritta “Gianluca” (nome del ricorrente). Nella
motivazione della sentenza di primo grado si erano evidenziate inoltre le significative
circostanze del rinvenimento dell’astuccio (la sorella dell’imputato aveva chiesto di
recuperare degli effetti personali del fratello, mostrandosi particolarmente interessata
ai punzoni contenuti nel vano porta oggetti che non era stato ispezionato all’atto del
controllo del mezzo e fornendo spiegazioni inverosimili circa la necessità di rientrarne
in possesso). Le conclusioni circa il concorso del ricorrente nella contraffazione del
telaio al fine far perdere le tracce o comunque rendere difficoltosa l’identificazione del
ciclomotore, della cui origine delittuosa doveva ritenersi consapevole, risultano quindi
adeguatamente giustificate in sede di merito attraverso la puntuale valutazione delle
prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e

tanto più allorché, come nel presente caso, la sentenza di appello abbia confermato le

4
da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in
questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la
valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia
sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
Come è noto, il sindacato demandato alla Corte di Cassazione è limitato -per espressa
volontà del legislatore- a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo

delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai
poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice
di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali
(Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).

4.2 Il secondo motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato.
Nella motivazione della sentenza di appello indirettamente è stata esclusa, attraverso
l’esposizione dei motivi per i quali si ritenevano sussistenti gli estremi del reato di
riciclaggio, la configurabilità delle altre ipotesi di reato prospettate dall’appellante
(ricettazione o incauto acquisto). In particolare la Corte territoriale ha, con
argomentazioni non contestate specificamente nel ricorso per cassazione e comunque
giuridicamente corrette e con puntuali richiami giurisprudenziali, ritenuto sussistente
nella condotta dell’imputato il quid pluris, rispetto alle ipotesi meno gravi indicate
nell’atto di appello (ricettazione e incauto acquisto), che caratterizza il delitto di
riciclaggio.

5. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 24 ottobre 2013
il cons. est.

sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza

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