Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5793 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5793 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
CAMPOLO Gioacchino n. Reggio Calabria il 2 settembre 1939
avverso la sentenza emessa il 2 luglio 2012 dalla Corte di appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Carmine Stabile, che
ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
sentiti i difensori, avv. Giuseppe Marazzita del foro di Roma e avv. Vincenzo Nico
D’Ascola del foro di Reggio Calabria, che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di
ricorso;
osserva:

Data Udienza: 24/10/2013

Considerato in fatto
1.

Con sentenza in data 14 gennaio 2011 il Tribunale di Reggio Calabria

dichiarava Campolo Gioacchino colpevole dei reati di estorsione aggravata anche ai
sensi dell’art.7 d.l. n.152/91 ai danni rispettivamente di Morabito Vincenzo (capo A) e
di Giuffré Carlo e Giuffré Santina (capo C), del reato di illecita concorrenza con
violenza o minaccia previsto dall’art.513-bis cod.pen. (capo D), anch’esso aggravato ai

commesso, in qualità di titolare della ditta A.R.E., ai danni dei propri dipendenti
costretti ad accettare, con la minaccia larvata del licenziamento, trattamenti retributivi
non adeguati alle prestazioni effettuate. Unificati dalla continuazione i reati ascritti ai
capi A, C e D, il Campolo era stato condannato per il reato continuato alla pena di anni
dodici di reclusione ed euro 2.000,00 di multa e per il residuo reato contestato al capo
B alla pena di anni sei di reclusione ed euro 3.500,00 di multa, con le pene accessorie
dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante
l’esecuzione della pena, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili con
assegnazione di una provvisionale di euro 5.000,00 in favore della parte civile
Morabito.
2.

All’esito del giudizio di appello, con sentenza in data 2 luglio 2012, la

Corte di appello di Reggio Calabria, escluse le circostanze aggravanti di cui all’art.629
comma secondo cod.pen. per i reati contestati ai capi AeCe ritenuta la responsabilità
in ordine al capo D limitatamente agli episodi del 1998 e del 2008, ha rideterminato la
pena per il reato continuato in anni dieci di reclusione ed euro 1.600,00 di multa,
confermando le restanti statuizioni.
3.

I reati di estorsione contestati ai capi A e C si riferiscono alla costrizione

nei confronti di Morabito Vincenzo e dei fratelli Giuffré messa in atto dal Campolo per
indurli a togliere dai loro locali gli apparecchi da gioco forniti da altre ditte (ET&T di
Putortì Domenico nel locale del Morabito e Calabria Giochi s.r.l. del gruppo
imprenditoriale Cedro di Gioia Tauro nel locale dei Giuffré) e installarvi quelli forniti
dalla ditta individuale A.R.E., di cui era titolare lo stesso Campolo e che operava nel
settore della gestione e del noleggio di apparecchi da gioco (illegali) in posizione
dominante avendo una quota di mercato nella zona di Reggio Calabria pari al 52,36%.
Il Campolo, secondo la tesi accusatoria recepita dai giudici di merito, si era avvalso
delle condizioni previste dall’art.416 bis cod.pen. e, in particolare, della forza di
intimidazione del capo della cosca Audino, Mario Audino, dominante nel locale di S.
Giovannello di Calabria, nel caso della persona offesa Morabito e di quella della cosca

sensi dell’art.7 d.l. n.152/91, nonché del reato di estorsione contestato al capo B

3
Zindato-Libri (di cui Gaetano Andrea Zindato era un esponente) nel caso delle persone
offese Giuffré. Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia era risultato, secondo la
ricostruzione del giudice di merito, che varie famiglie mafiose approfittavano della
presenza nel settore del Campolo sia per acquisire indirettamente proventi, sia per
consentire al Campolo di gestire i propri affari in un rapporto di reciproca convenienza
che aveva consentito al Campolo di operare in regime pressoché di monopolio e aveva

Il reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza (art.513-bis cod.pen.
aggravato dall’art.7 d.l. n.152/91) riguarda gli atti di concorrenza nei confronti degli
altri noleggiatori riferibili al Campolo il quale, come titolare dell’A.R.E., attraverso la
minaccia e l’assoggettamento omertoso promanante dalle associazioni criminali
egemoni nel territorio in cui operavano gli imprenditori concorrenti, aveva estromesso
questi ultimi dal mercato assumendo una posizione dominante nel settore dei giochi
elettronici.
Il reato di estorsione continuata contestato al capo B, infine, concerne l’attività
di costringimento messa in atto dal Campolo nei confronti dei propri dipendenti,
indotti ad accettare con la minaccia larvata di licenziamento trattamenti retributivi
deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate e, più in generale, condizioni di
lavoro contrarie alle leggi e ai contratti collettivi (mancanza di corrispettivo per lavori
straordinari, firma di buste paga che indicavano importi superiori a quelli
effettivamente percepiti, mancata concessione di ferie e di ulteriori emolumenti dovuti
come la tredicesima e la quattordicesima).

4.

Avverso la sentenza di appello l’imputato ha presentato ricorso per

cassazione, tramite i suoi due difensori.

4.1. Con il ricorso sottoscritto dall’avv. Giuseppe Marazzita si deduce quanto
segue.

4.1.1. Con il primo motivo si deduce, con riferimento al reato di estorsione
contestato al capo A, la violazione degli artt.110 e 629 cod.pen. e la mancanza o mera
apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla
sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi del reato di estorsione e alla ritenuta
attendibilità delle testimonianze; le condotte minacciose e violente sarebbero riferibili
al solo Audino che aveva preso l’iniziativa di ingiungere al Morabito di installare nel
suo locale le “macchinette” del Campolo”, mentre a quest’ultimo sarebbe stato

assicurato alle cosche mafiose cospicui guadagni.

attribuito il concorso nel reato senza l’indicazione di concreti elementi circa la
consapevole partecipazione alla commissione del reato (tale non sarebbe l’incontro
Morabito-Audino avvenuto, dopo il primo incontro con la persona offesa in cui Audino
aveva formulato la richiesta estorsiva, alla presenza del Campolo il quale aveva

“rimproverato” il Morabito per non aver installato nel suo locale le macchinette della
sua ditta A.R.E.); del resto non vi sarebbe stato un rapporto paritario tra l’Audino e il
Campolo, che era stato anch’egli obbligato a versare all’Audino una percentuale dei

Calabria la posizione dominante nel settore dei videogiochi e non avrebbe avuto
bisogno dell’Audino per “allargare le sue quote di mercato”;

lo stesso Campolo era

stato vittima di un attentato (come riferito dai collaboratori di giustizia Fiume e
Fracapane); non sarebbero stati analizzati, quanto alla ritenuta coazione psichica della
persona offesa Morabito, i rapporti tra quest’ultimo e l’Audino nei cui confronti il
Morabito aveva un debito morale per essere stato liberato dalla tangente imposta da
Audino Maurizio; inoltre non vi sarebbe prova dell’ingiustizia del danno, essendo le
condizioni contrattuali ed economiche del noleggio effettuato dal Campolo uguali a
quelle dei precedenti noleggiatori; né sarebbe stata adeguatamente valutata
l’attendibilità della persona offesa e degli altri testi Morabito Davide le cui dichiarazioni
non erano (del tutto) coincidenti con quelle del padre, Putortì (il quale aveva riferito
fatti appresi dal defunto fratello Domenico, che non coinvolgevano il Campolo) e
Leonardo Demetrio (quest’ultimo avrebbe negato minacce).

4.1.2. Con il secondo motivo si deduce, con riferimento al reato di estorsione
contestato al capo C, la violazione degli artt.110 e 629 cod.pen. e la mancanza o mera
apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla
sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi del reato di estorsione e alla ritenuta
attendibilità delle testimonianze; il giudice di appello si sarebbe limitato a riportare il
contenuto delle intercettazioni, inidonee tuttavia a configurare il concorso del Campolo
e dello Zindato nell’estorsione ai danni dei Giuffré, non risultando la consapevolezza
da parte del ricorrente della condotta minacciosa di Zindato nei confronti della persona
offesa; la mera contiguità temporale tra l’incontro Campolo-Zindato del 5 febbraio
2008 e la estromissione, presso l’esercizio commerciale dei Giuffré, della ditta facente
capo al gruppo imprenditoriale Cedro non proverebbe nulla, al riguardo il giudice di
merito si sarebbe limitato a formulare solo un sillogismo; peraltro dall’intercettazione
in data 6 febbraio 2008 risulterebbe che Campolo aveva avuto contezza della condotta
estorsiva di Zindato nei confronti di Giuffré solo il giorno dopo l’estromissione della

suoi ricavi; peraltro il Campolo già all’epoca aveva acquisito nella città di Reggio

s
ditta Cedro; né la sola circostanza dell’aver beneficiato della condotta estorsiva dello
Zindato varrebbe a ritenere provato il concorso del Campolo nell’estorsione;
mancherebbe infine la prova della “minacciosa estromissione” della ditta Cedro e del
relativo danno ingiusto, nonostante la mancanza di un contratto di noleggio con il
Giuffré e le ammissioni del teste Cedro ritenuto immotivatamente reticente.

4.1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione al reato contestato al capo D,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza degli
elementi costitutivi del reato di illecita concorrenza con violenza o minaccia e alla
richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; non sarebbero stati indicati gli
elementi ulteriori che, al di là della condotta estorsiva contestata ai capi A e C,
consentissero di configurare anche il reato di cui all’art.513 bis c.p., diretto a tutelare
non il patrimonio del singolo ma l’interesse economico generale; il mero richiamo alle
condotte ascritte ai capi A e C, riguardanti due singoli gestori e lontane tra loro nel
tempo, sarebbe insufficiente a configurare il reato di illecita concorrenza diretta
all’acquisizione da parte del Campolo di un’importante fetta di mercato tale da
garantire il dominio dello stesso; anche sotto il profilo soggettivo del reato in
questione mancherebbe, nella motivazion.e della sentenza impugnata, una corretta
valutazione.

4.1.4. Con il quarto motivo si deduce la mancanza o mera apparenza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al rigetto
dell’istanza di riapertura dell’istruzione dibattimentale per l’acquisizione dei tabulati
dei Monopoli di Stato sulla ripartizione della sfera d’influenza delle varie ditte nel
mercato dei videogiochi di Reggio Calabria, acquisizione che sarebbe stata decisiva
tenuto conto dell’imputazione che faceva riferimento alla posizione dominante nel
mercato locale dei videogiochi come conseguenza immediata dei presunti atti di
concorrenza sleale.

4.1.5. Con il quinto motivo si deduce l’inosservanza o erronea applicazione
dell’art.7 legge n.203/1991 per assenza dei presupposti e la mancanza o mera
apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
ritenuta sussistenza dell’aggravante, all’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle
dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, sia dirette che

de relato,

e

sull’esistenza di riscontri esterni individualizzanti; non sarebbero state individuate le
condotte in concreto ascrivibili al Campolo, al di là del mero concorso nel reato di

JIA

la violazione dell’art.513 bis cod.pen. e la mancanza o mera apparenza,

C
soggetti appartenenti ad associazioni mafiose, tali da evocare la forza intimidatrice del
vincolo associativo e a determinare una condizione di assoggettamento e di omertà;
nemmeno sarebbero state individuate le condotte agevolatrici dell’associazione
mafiosa da parte del Campolo, il quale non aveva una posizione paritaria rispetto
all’Audino (come si desumerebbe dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Fiume
e Iannò) e non aveva partecipato alla condotta, connotata da modalità mafiose, di

vi sarebbe stato un adeguato vaglio di attendibilità, non essendo stati presi in
considerazione dal giudice di appello gli specifici rilevi difensivi riguardanti in
particolare i collaboratori Lo Giudice e Iannò.

4.1.6. Con il sesto motivo si deduce, con riferimento al reato di estorsione
contestato al capo B, l’inosservanza o erronea applicazione dell’art.629 cod.pen. per
assenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato e la mancanza o mera
apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto,
difettando un positivo giudizio di credibilità delle persone offese che, essendo a
conoscenza delle indagini in corso a carico del loro datore di lavoro, potevano
rappresentarsi l’esistenza dell’attività di intercettazione da cui erano emersi gli
elementi in ordine al reato di estorsione in loro danno; mancherebbe inoltre il
requisito della minaccia, escluso dagli stessi dipendenti del Campolo che avevano
accettato le condizioni economiche deteriori in mancanza di una legittima aspettativa
di assunzione; del resto il giudice di merito aveva ritenuto di valorizzare il contesto
ambientale, che rispecchiava tuttavia la situazione di “depressione occupazionale” del
territorio, e i rapporti del ricorrente con la criminalità organizzata per ritenere provata
la sussistenza di una “minaccia larvata”; non vi sarebbe stata costrizione.

4.1.7. Con il settimo motivo si deduce la mancanza, apparenza, illogicità e
contraddittorietà della motivazione quanto alla mancata determinazione nel minimo
edittale della pena base per il reato al capo A, ritenuto più grave tra quelli legati dal
vincolo della continuazione, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, all’eccessivo aumento per la continuazione con i reati ai capi Ce D e al
mancato riconoscimento della continuazione anche in ordine al reato contestato al
capo B) nonostante la contiguità temporale e omogeneità dei reati.

4.1.8. Con l’ottavo motivo si deduce la mancanza o mera apparenza, illogicità e
contraddittorietà della motivazione in relazione al riconoscimento e alla quantificazione

Zindato; quanto ai collaboratori di giustizia Iannò, Fragapane, Fiume e Lo Giudice non

della provvisionale
provvisionale disposta ai sensi dell’art.539 co.2 cod.proc.pen. di cui era stata
chiesta la revoca ed anche la sospensione per gravi motivi.

4.2 Con il ricorso sottoscritto dall’avv. Francesco Calabrese si deduce quanto
segue.

4.2.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione al reato di estorsione
contestato al capo A, la violazione degli artt.192 cod.proc.pen., 110 e 629 cod.pen.

per la mancanza di dati indiziari idonei a far ritenere l’esistenza di un accordo
criminoso tra il ricorrente e Audino Mario, il quale aveva formulato la richiesta
estorsiva in assenza del Campolo; quest’ultimo, peraltro, non era stato mai accusato
di essere partecipe di una specifica associazione delinquenziale di stampo mafioso, né
di esserne concorrente “esterno”; il giudice di appello aveva fatto riferimento al cd.
notorio giudiziario per giustificare la corresponsione anche da parte del Campolo di
una percentuale dei suoi ricavi all’Audino; la stessa persona offesa aveva attribuito al
Campolo un ruolo meramente passivo, né il ricorrente avrebbe tratto un concreto
vantaggio dall’imposizione dei suoi videogiochi al Morabito essendo già presente in
misura massiccia con la sua attività imprenditoriale nel territorio reggino. Il Campolo,
inoltre, aveva anche subito un attentato da parte del suo presunto complice Audino e
doveva essere considerato un “imprenditore vittima”, anziché un “imprenditore
colluso”. Dalle intercettazioni coinvolgenti il ricorrente e dalle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia emergeva che il Campolo intratteneva rapporti con la
criminalità organizzata reggina solo per “contenere i danni”; il concorso nel reato non
poteva essere desunto dalla partecipazione del Campolo all’incontro Morabito-Audino,
successivo alla formulazione delle richieste estorsive da parte dell’Audino di cui il
Campolo sarebbe stato inconsapevole.

4.2.2. Con il secondo motivo, in relazione al reato di estorsione contestato al
capo C, si deduce la violazione degli artt.192 cod.proc.pen., 110 e 629 cod.pen. e il
vizio della motivazione mancando nella motivazione della sentenza impugnata
l’indicazione di elementi concreti circa il contributo del Campolo alla condotta estorsiva
posta in essere dallo Zindato, esponente della cosca Zindato-Libri, nei confronti degli
imprenditori Giuffré Carlo e Giuffré Santina; il colloquio del 5 febbraio 2008 tra il
Campolo e lo Zindato intercettato nei locali della ditta A.R.E. avrebbe dovuto infatti
essere interpretato in maniera corretta, in quanto il Campolo si era limitato ad
assentire rispetto a quello che gli riferiva lo Zindato circa la possibilità di installare i
suoi videogiochi nel locale dei Giuffré; uguale inconsapevolezza del Campolo circa la

,iu

(t
condotta estorsiva messa in atto dallo Zindato si desumeva dalla conversazione
intercettata il giorno successivo, nel corso della quale egli aveva appreso dal suo
dipendente Assumma (assolto all’esito del giudizio abbreviato) della vicenda originata
da un’iniziativa presa esclusivamente dallo Zindato, senza alcun contributo materiale o
morale da parte del ricorrente, e che aveva condotto alla cessazione dei rapporti
commerciali tra i Giuffré e la ditta Cedro.

la violazione degli artt.192 cod.proc.pen., 110 e 513 bis cod.pen. per la mancanza di
prova circa la commissione di altri atti di concorrenza sleale diversi da quelli contestati
ai capi A e C in relazione ai quali vi sarebbe stata tuttavia solo la prova dei fatti
estorsivi e null’altro. A carico del ricorrente era stato utilizzato solo il contenuto di
un’intercettazione, mal interpretata, della telefonata del 6 febbraio 2008 con il suo
dipendente Assumma, il quale gli riferiva le parole dispregiative pronunciate dallo
Zindato nei confronti di Cedro. Il Campolo, tuttavia, non aveva usato violenza o
minaccia nei confronti di nessuno e, inoltre, già occupava una rilevante fetta di
mercato. Nella figura criminosa prevista dall’art.513-bis cod.pen. possono farsi
rientrare solo le condotte concorrenziali attuate con atti di coartazione che inibiscono
la normale dinamica imprenditoriale (boicottaggio, storno di dipendenti, rifiuto di
contrattare), non anche la mera esclusione dei concorrenti dal mercato con atti
intimidatori nel caso concreto nemmeno riferibili direttamente al Campolo.

4.2.4. Con il quarto motivo si deduce, quanto al reato di estorsione contestato
al capo B, la violazione degli artt.192 cod.proc.pen., 629 cod.pen. in quanto le
persone offese erano in condizioni di rappresentarsi l’eventualità di essere sottoposte
ad intercettazioni; difettava inoltre nella condotta del Campolo l’elemento della
minaccia, né poteva ravvisarsi l’ingiusto profitto (sussistente solo nel caso in cui la
pretesa del soggetto attivo non sia tutelata dall’ordinamento). Peraltro il Campolo non
aveva l’obbligo di assumere lavoratori, la sua condotta relativa ai trattamenti
retributivi si collocava nell’ambito della normale dialettica contrattuale, mancava nella
vicenda in esame da un lato la prevaricazione da parte del datore di lavoro e dall’altro
lato lo stato di soggezione delle persone offese.

4.2.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt.192 cod.proc.pen.
e 7 d.l. n.152/91 quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante in relazione al reato
di estorsione contestato al capo A, emergendo dalle risultanze processuali
l’assoggettamento di Campolo all’Audino; peraltro non sarebbero sufficienti le

1,

4.2.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione al reato contestato al capo D,

3
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, non riscontrate, per ritenere la concreta e
personale manifestazione del metodo mafioso da parte del Campolo e, comunque,
l’agevolazione dell’attività di associazioni previste dall’art.416-bis cod.pen..

4.2.6. Con il sesto motivo si deduce il vizio della motivazione, con riferimento
all’art.133 c.p., per la determinazione della pena in ordine al reato di estorsione
contestato al capo B in misura superiore al minimo edittale e per il riferimento nella

cui, sulla base della condotta extraprocessuale dell’imputato, era stato desunto un
inammissibile giudizio sulla sua personalità vendicativa.

Ritenuto in diritto
5.

I ricorsi, nei quali sono contenute doglianze in larga parte coincidenti,

sono inammissibili. Verranno esaminati congiuntamente i motivi dei due ricorsi aventi
ad oggetto le stesse questioni.

5.1. Quanto ai rilievi difensivi contenuti nel primo motivo dei ricorsi (4.1.1. e
4.2.1.), riguardanti la contestata estorsione ai danni di Morabito Vincenzo (capo A), la
Corte osserva che i difensori prospettano una diversa lettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di
merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di
motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione
critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione,
pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno
dell’affermazione di responsabilità. Il giudice di merito ha, infatti, ritenuto sussistenti
gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di estorsione aggravata ai sensi dell’art.7
d.l. n.152/91 basandosi principalmente sulle dichiarazioni della persona offesa
Morabito -ritenute attendibili perché coerenti, precise e riscontrate- circa l’imposizione
da parte di Audino Mario dell’installazione nel suo locale dei videogiochi della ditta del
Campolo al posto di quelli della ET&T e circa il successivo incontro con lo stesso
Audino e il Campolo svoltosi in un locale di corso Garibaldi appartenente a
quest’ultimo, il quale lo aveva espressamente rimproverato per non essersi rivolto
all’A.R.E.. Elementi di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa sono stati
individuati nelle dichiarazioni testimoniali del figlio Morabito Davide Carmelo, di Putortì
Giovanni (fratello di Putortì Domenico che era il titolare della ditta estromessa, ucciso
il 14 gennaio 2000), di Leonardo Demetrio (altro socio di Putortì Domenico); nel

motivazione della sentenza impugnata al comportamento “livoroso” del Campolo da

/to

contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali circa l’inserimento del Campolo
nel contesto reggino della criminalità organizzata e la sua qualità di “imprenditore
colluso” e, infine, nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Fiume Antonio,
Fracapane Giovanni Battista, Lo Giudice Antonino, Iannò Paolo. La Corte territoriale ha
analizzato e disatteso le doglianze difensive in ordine alla ritenuta attendibilità della
persona offesa, con ampia motivazione (ff.27-33 della sentenza impugnata),
attraverso una lettura completa e unitaria delle dichiarazioni del Morabito circa la

ignorava, essendo già stato vittima di estorsioni da parte dell’omonima cosca, e non
era in grado di contrastare, dato il contesto ambientale di riferimento- e dallo stesso
ribadita alla presenza dell’imprenditore “imposto” come noleggiatore di videogiochi, il
Campolo. Quest’ultimo incontro è stato ritenuto particolarmente significativo in quanto
si era svolto in un locale nella disponibilità dell’imputato (che dopo qualche tempo vi
avrebbe aperto un’altra sala giochi), alla presenza dell’Audino che era ben conosciuto
(oltre che dal Morabito) anche dal Campolo, il quale aveva prestato adesione alla
richiesta estorsiva ribadita dall’Audino (di collocare i videogiochi dell’A.R.E. al posto di
quelli della ET&T) e personalmente aveva rimproverato il Morabito per non averlo fatto
prima. Quanto alle dichiarazioni del teste Morabito Davide Carmelo, con specifico
riferimento all’incontro Audino-Morabito-Campolo, e dei testi Putortì Giovanni,
Leonardo Demetrio e Spinella Leonardo (sull’improvvisa e immotivata sostituzione dei
videogiochi del Campolo a quelli precedentemente installati nel locale del Morabito),
opportunamente la Corte ha ritenuto la necessità di evitare una lettura frammentaria
del materiale probatorio e di valutare tali risultanze alle luce delle dichiarazioni
testimoniali di Morabito Vincenzo e del figlio, dell’accertata (con sentenza passata in
giudicato) intraneità di Audino alla ‘ndrangheta, delle ammissioni del Campolo di aver
collocato i suoi videogiochi nel locale del Morabito su invito dell’Audino per
assecondare una richiesta del fratello di un

“suo compare”.

Tali elementi

contribuiscono, nell’ambito di una valutazione complessiva del materiale probatorio,
ad escludere che il Campolo si fosse limitato a subire l’iniziativa dell’Audino e ad
affermare il suo contributo alla realizzazione dell’azione criminosa che, nel concorso di
persone nel reato, può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore
che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione,
organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso, talché
assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato che si verifica
quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi

6,

richiesta estorsiva subita dall’Audino -la cui caratura criminale il Morabito non

<1 postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui (Cass. sez.II 15 gennaio 2013 n.18475, Ambrosanio; sez.V 15 maggio 2009 n.25894, Catanzaro; sez.II 19 ottobre 2005 n.44301, Dammacco; Sez.Un. 22 novembre 2000 n.31, Sormani; sez.I 2 ottobre 1997 n.1365, Tundo; sez.I 10 luglio 1992 n.9482, P.G. in proc.Chieppa). La Corte territoriale, peraltro, non ha mancato di analizzare la tesi difensiva che il Campolo in favore dell'Audino di una percentuale dei ricavi delle macchinette da gioco da parte del Campolo corrispondeva comunque il doppio vantaggio dell'allargamento delle quote di mercato e di un incremento dei guadagni. Con adeguata e logicamente coerente motivazione, inoltre, è stata disattesa la tesi difensiva dell'"imprenditore vittima", che faceva leva sull'attentato subito dal Campolo (ad opera dello stesso Audino) di cui avevano riferito i collaboratori di giustizia Fiume e Fracapane, avendo la Corte territoriale rilevato come la progettazione dell'attentato confermasse l'interesse diretto dell'Audino nel settore dei videogiochi e il suo collegamento con le società facenti capo all'imputato. L'attendibilità del Morabito, comunque, risulta essere stata compiutamente analizzata anche con specifico riferimento ai pregressi rapporti con il Campolo che non avevano lasciato nel teste motivi di astio o risentimento. Generiche sono, infine, le ulteriori doglianze difensive circa la valutazione di attendibilità dei collaboratori di giustizia Lo Giudice Antonino, Fiume Antonino, Fracapane Giovanni Battista, Iannò Paolo in ordine ai legami del Campolo con gli ambienti della 'ndrangheta (ff.46-50 sentenza impugnata), legami emergenti peraltro anche dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali e delle dichiarazioni testimoniali del teste brig. Giordano (ff.50-53 sentenza impugnata). La conclusione circa la responsabilità del ricorrente risulta quindi adeguatamente giustificata dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove e una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo verificare se la valutazione dei fatti sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile. Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione deve essere limitato -per espressa volontà del legislatore- a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza c,,, fosse sottomesso alla volontà dell'Audino al pari del Morabito, in quanto al pagamento t delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali 5.2 Analogamente, con riferimento al reato di estorsione contestato al capo C oggetto del secondo motivo di entrambi i ricorsi (4.1.2. e 4.2.2.), le doglianze tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Il ricorrente si limita a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata. La Corte territoriale ha infatti ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità dell'imputato si desumeva non solo dalle dichiarazioni del brig. Giordano, ma anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (tra cui Fracapane Giovanni Battista, appartenente alla famiglia De Stefano), dalle intercettazioni telefoniche e ambientali (ff.54 ss.) sui rapporti del Campolo con la cosca mafiosa Zindato, dalle dichiarazioni del teste Legorano Domenico, funzionario dei Monopoli di Stato, sull'imposizione delle macchine da gioco dell'A.R.E. nel locale dei Giuffré al posto di quelle della ditta Cedro. Il giudice di appello ha osservato che Giuffré Carlo, persona offesa, aveva teso a sminuire la posizione del Campolo sostenendo di essersi messo spontaneamente in contatto con la ditta A.R.E., ma aveva finito per ammettere di essersi rivolto prima alla ditta Cedro, che aveva installato le macchinette da gioco, e (Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone). poi (dopo l'intervento dello Zindato) di aver chiamato il Campolo. Anche le dichiarazioni di Zindato Gaetano Andrea e dello zio Caminiti Gaetano venivano ritenute inattendibili a fronte delle dichiarazioni di Cedro Alberto, relative al perfetto funzionamento delle macchine da gioco installate nel locale dei Giuffré prima che fossero sostituite da quelle della ditta A.R.E. del Campolo, e di quelle di Legorano Domenico, funzionario dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato, circa la regolarità amministrativa dei videogiochi della ditta Cedro installati nel locale dei Giuffré. La Corte rileva, quanto alla pretesa non corretta interpretazione delle conversazioni intercettate, che in materia di intercettazioni l'interpretazione del linguaggio e del L 43 contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Cass. sez.VI 11 febbraio 2013 n.11794, Melfi; sez.VI 8 gennaio 2008 n.17619, Gionta; sez.VI 11 dicembre 2007 n.15396, Sitzia). 5.3 In entrambi i ricorsi il terzo motivo (4.1.3. e 4.2.3.) riguarda il reato contestato al capo D, che in sede di appello si è ritenuto provato solo con riferimento ai fatti estorsivi contestati ai capi A e C, commessi rispettivamente nell'anno 1998 e nell'anno 2008. La Corte territoriale ha ritenuto che non vi fosse la prova certa di altri atti di concorrenza compiuti con violenza o minaccia nell'intervallo temporale tra le due condotte, mentre ha ravvisato il delitto di illecita concorrenza mediante violenza o minaccia nella condotta minacciosa messa in atto (dall'Audino in concorso con il ricorrente) inducendo i due esercenti Morabito e Giuffré a sostituire, repentinamente e senza motivo diverso dall'effetto dell'intimidazione posta in essere con metodo mafioso, le macchinette da gioco installate nei loro locali con quelle della ditta del Campolo. Le doglianze difensive sono manifestamente infondate. La norma incrimminatrice dell'art.513-bis cod.pen. è stata introdotta dall'art.8 della legge n. 646 del 1982 con la finalità di reprimere la concorrenza illecita attuata con metodi violenti, avendo di mira la concorrenza che si manifesta con forme di intimidazione tipiche della criminalità organizzata e che, con metodi violenti, tende a controllare le attività, commerciali, e produttive in modo da condizionarle e acquisire illegittimamente posizioni di preminenza o di dominio. La norma, per le modalità di inserimento nel codice penale, può trovare applicazione anche al di fuori dell'ambito delle attività criminali di tipo mafioso, e la giurisprudenza ha già messo in luce la possibilità di concorso tra il reato di illecita concorrenza mediante violenza e minaccia e il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso per l'episodicità del primo e la permanenza del secondo (Cass. sez.VI 12 aprile 2007 n.37528, Riina e altri sez. I 10 giugno 1997 n. 7856, Nicosia). Si tratta quindi di una norma di portata generale, in cui la condotta tipica consiste nel compimento di atti di concorrenza, caratterizzati dalla violenza o minaccia, posti in essere nell'esercizio di un'attività imprenditoriale nei confronti di aziende operanti nello stesso settore che si traduce nella turbativa arrecata al libero mercato in un clima di intimidazione e con metodi violenti. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la norma tende a impedire quei tt 44comportamenti intimidatori che attraverso l'uso strumentale della violenza e della minaccia incidono su quella fondamentale legge di mercato che vuole la concorrenza non solo libera, ma anche lecitamente attuata (Cass. sez. VI 9 gennaio 1989 n. 3492, Spano), impedendo che tramite comportamenti violenti o intimidatori siano eliminati gli stessi presupposti della concorrenza al fine di acquisire illegittimamente posizioni di preminenza o di dominio, sia quando la violenza o la minaccia è esercitata in maniera diretta contro l'imprenditore concorrente, sia quando l'obiettivo è perseguito in modo proc. Sbraga; sez.I 22 febbraio 2005 n.19713, Oliva; sez.VI 9 gennaio 1989 n.3492, Spano). Il bene giuridico tutelato in primis è il buon funzionamento del sistema economico e, indirettamente, la libertà delle persone di determinarsi nel settore (Cass. sez.III 3 novembre 2005 n.46756, Mannone). Ai fini del reato, in altri termini, si richiede esclusivamente l'esistenza di comportamenti caratterizzati da minaccia o violenza (indipendentemente dalla direzione della stessa) idonei a realizzare una concorrenza illecita cioè a controllare o condizionare le attività commerciali, industriali o produttive di terzi con forme di intimidazione tipiche della criminalità organizzata (Cass. sez.II 16 dicembre 2010 n.6462, P.M. in proc. Sbraga). Nella fattispecie in esame correttamente, sulla base dei principi giurisprudenziali citati, si è ritenuto che l'utilizzo del metodo mafioso -che solo in casi estremi si manifesta con la minaccia aperta e la violenza fisica- abbia determinato in concreto, nell'ambito di un progetto criminoso in cui le reciproche convenienze del Campolo e dei gruppi criminali operanti sul territorio si saldavano, l'assoggettamento degli imprenditori concorrenti alla volontà e alle regole del sodalizio dominante sul territorio (cosca Audino, cosca Zandato-Libri) con conseguente lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, cioè la libertà di impresa e il libero gioco della concorrenza. La condotta minacciosa posta in essere dal ricorrente, in concorso con esponenti della criminalità organizzata, si è tradotta infatti nella turbativa arrecata al libero mercato in un clima di pesante intimidazione, che ha inibito la normale dinamica imprenditoriale nei confronti di altre ditte concorrenti dell'A.R.E. nel settore dei videogiochi in Reggio Calabria. Né tale condotta poteva ritenersi assorbita in quella dei due episodi estorsivi contestati ai capi A e C in base al criterio di specialità di cui all'art.15 c.p., in quanto il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia previsto dall'art.513 bis c.p. ha come scopo la tutela dell'ordine economico e, quindi, del normale svolgimento delle attività produttive ad esso inerenti e il dolo è specifico essendovi incluso il fine di eliminare o scoraggiare l'altrui concorrenza (Cass. sez.III Lb indiretto agendo nei confronti di terzi (Cass. sez.II 16 dicembre 2010 n.6462, RM. in 45 21 aprile 2010 n.27681, Sapia), a differenza del reato di estorsione che è un reato contro il patrimonio e tende a salvaguardare prevalentemente il patrimonio dei singoli contro atti intimidatori posti in essere da terzi al fine di costringere il soggetto passivo al compimento di un determinato atto per lui pregiudizievole. Correttamente, pertanto, nella sentenza impugnata è stato ritenuto il concorso formale tra i reati, non ricorrendo l'ipotesi del concorso apparente di norme (Cass. sez.I 31 marzo 2010 n.24172, Viscolo; sez.II 10 dicembre 2008 n.46992, Padula; sez.V 13 giugno 2007 5.4 II quarto motivo del ricorso sottoscritto dall'avv. Marazzita (4.1.4.) è manifestamente infondato. La mancata riapertura dell'istruzione dibattimentale per l'acquisizione dei tabulati dei Monopoli di Stato sdia ripartizione del mercato dei videogiochi in Reggio Calabria è stata adeguatamente giustificata dalla Corte territoriale che ha messo in evidenza l'irrilevanza dell'ulteriore accertamento richiesto in quanto la fattispecie criminosa prevista dall'art.513-bis c.p. non prevede che l'imprenditore il quale compia atti di concorrenza con violenza o minaccia abbia ottenuto come risultato di controllare in regime di monopolio l'intero mercato di riferimento. Il giudice di appello ha aggiunto che non erano contestate le dimensioni, notevolissime, dell'impresa del Campolo, anzi che la rilevanza dell'impresa era stata utilizzata anche come argomento difensivo. La Corte osserva che nel giudizio d'appello la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 co.1 c.p.p., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria e tale accertamento comporta una valutazione rimessa al giudice di merito che, se correttamente motivata come nel caso in esame, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. sez.III 22 gennaio 2008 n.8382, Finazzo; sez.III 23 maggio 2007 n.35372, Panozzo; sez.IV 19 febbraio 2004 n.18660, Montanari; sez.IV 5 dicembre 2003 n.4981, Ligresti). 5.5 D quinto motivo riguarda in entrambi i ricorsi (4.1.5. e 4.2.5.) l'applicazione della circostanza aggravante prevista dall'art.7 d.l. n.152/91 conv. nella legge n.203/91, sotto il profilo sia del metodo mafioso che dell'agevolazione di associazione mafiosa. Le doglianze difensive sono manifestamente infondate. 1, n.27335, D'Auria). In tema di reati di criminalità organizzata, la ratio della circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991 non è solo quella di aggravare la pena per chi utilizza metodi mafiosi o agisce al fine di agevolare associazioni mafiose, ma anche nei confronti di chi -pur non organicamente inquadrato in tali associazioni (come nel caso del ricorrente Campolo)- agisca con metodi mafiosi o, comunque, dia un contributo al raggiungimento dei fini di un'associazione mafiosa (Cass. sez.II 27 settembre 2004 Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.I 20 dicembre 2004 n.2612, P.G. in proc.Tomasi; sez.VI 13 novembre 2008 n.2696, P.M. in proc. D'Andrea; sez.VI 22 gennaio 2009 n.19802, Napolitano; sez.V 8 novembre 2012 n.10966, Minniti) la circostanza aggravante prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 si applica a tutti coloro, partecipi o non di qualche sodalizio criminoso, la cui condotta sia riconducibile a una delle due forme in cui può atteggiarsi (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo). Questa Corte ha affermato inoltre che la circostanza aggravante di cui all'art. 7 I. n. 203 del 1991 -per la quale non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano, come nella specie, veste tipicamente mafiosa- è applicabile ai concorrenti nel delitto anche quando questi ultimi non siano consapevoli della finalizzazione dell'azione delittuosa a vantaggio di un'associazione di stampo mafioso, ma versino in una situazione di ignoranza colpevole (Cass. sez.II 20 dicembre 2012 n.3428, Buonanno e altro; sez.VI 30 maggio 2012 n.24025, Di Mauro). Nella motivazione della sentenza impugnata, in cui è stata fatta puntuale applicazione di questi principi giurisprudenziali, è stato adeguatamente illustrato il contesto in cui si era sviluppata la condotta del Campolo, persona che, come si desumeva dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dal contenuto delle intercettazioni, aveva intensi rapporti con esponenti della criminalità organizzata di Reggio Calabria (pur non risultando essere un associato) e che non ignorava lo spessore criminale dell'Audino e dello Zindato, la loro appartenenza a gruppi della locale 'ndrangheta e il loro modus operandi nelle forme tipiche delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Del resto la circostanza aggravante prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 può anche essere desunta, sul piano indiziario, dalla appartenenza degli autori del fatto ad un sodalizio di stampo mafioso, salvo che non ricorrano elementi indicativi della riconducibilità degli episodi ad un alveo n.44402, Colicchia). /D- "intimidatorio" di tutt'altra natura (Cass. sez.II 30 novembre 2011 n.47404, P.M. in proc. Fisichella). Nel caso di specie l'attuazione da parte dell'Audino e dello Zindato di un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone offese, con i caratteri propri dell'intimidazione derivante dall'organizzazione criminale evocata anche in forma implicita in considerazione del tenore e della provenienza della richiesta estorsiva, è stata desunta essenzialmente della caratura criminale dell'Audino e all'impossibilità di "dire di no" alla ripetuta richiesta, in un'occasione alla presenza dello stesso Campolo il quale non aveva mancato di assumere un atteggiamento di rimprovero e di manifestare adesione a quanto l'Audino pretendeva, di rivolgersi alla ditta A.R.E. per il noleggio delle macchinette da gioco nel suo locale) e dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali da cui emergevano la cointeressenza di Zindato Gaetano Andrea negli affari aventi ad oggetto l'attività di gestione e noleggio degli apparecchi da gioco del Campolo (il quale non appariva certamente in stato di soggezione nei confronti dello Zindato, tanto da non avergli risparmiato una lunga "anticamera" prima di riceverlo) e la manifesta pressione di tipo mafioso esercitata dallo stesso Zindato, esponente di spicco della cosca Zindato-Libri dominante sul "locale" Modena di Reggio Calabria, nei confronti dell'esercente Giuffré per il conseguimento dei comuni interessi del Campolo e del gruppo criminale di riferimento dello stesso Zindato (sul punto la Corte territoriale ha evidenziato in particolare, per quanto riguarda le modalità concrete della condotta estorsiva posta in essere dallo Zindato ai danni del Giuffré, quanto emergeva dalle parole di Assumma Cristofaro, dipendente del Campolo). Quanto all'attività agevolatrice dell'associazione di tipo mafioso, le convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia circa gli stretti rapporti del Campolo con diversi personaggi della criminalità organizzata di Reggio Calabria, tra i quali dalle dichiarazioni della persona offesa Morabito (in ordine alla perfetta conoscenza figuravano sia l'Audino che lo Zindato, dimostravano in maniera adeguata, come affermato dal giudice di primo grado e condiviso dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, che gli interessi imprenditoriali del Campolo erano utili alle cosche perché queste ultime partecipavano ai guadagni che l'imprenditore percepiva. Sotto questo profilo si giustificavano le somme di denaro corrisposte ai malavitosi, gli immobili ceduti in comodato gratuito o in affitto a personaggi come De Stefano Giorgio e la protezione assicurata da De Stefano Orazio al Campolo. Nella motivazione della sentenza impugnata si fa inoltre specifico riferimento, con argomentazione del tutto logica, all'agevolazione della cosca di Audino cui venivano assicurati, per effetto della ,,.„ 46 collocazione nel locale del Morabito delle macchinette da gioco del Campolo, ulteriori proventi derivanti dall'espansione dell'attività del ricorrente (anch'egli tenuto a versare una percentuale dei ricavi all'Audino). Quanto alla cosca Zindato, l'agevolazione della cosca di cui costui era esponente veniva desunta con riferimento all'eloquente contenuto delle intercettazioni circa la cointeressenza di Zindato Gaetano Andrea negli affari del Campolo. 5.6 Le doglianze formulate con il sesto motivo del ricorso dell'avv. Marazzita argomenti prospettati nell'appello, ai quali la Corte territoriale (ff.79 ss. sentenza impugnata) ha dato adeguate e argomentate risposte, anche con puntuali richiami giurisprudenziali. La Corte territoriale ha infatti richiamato, quale fondamentale elemento di prova, le dichiarazioni convergenti delle persone offese (f.78) riportandosi alle motivazioni, condivise, del giudice di primo grado circa la condotta oggettivamente intimidatoria del Campolo il quale, anche per i suoi rapporti con la criminalità organizzata (non ignorati dai dipendenti, che avevano visto il Campolo ricevere nel suo ufficio, imponendogli anche una lunga anticamera, Gaetano Andrea Zindato) e il disagiato contesto economico-sociale, aveva creato uno stato di soggezione nei lavoratori costretti ad accettare condizioni salariali quanto meno svantaggiose. A questo riguardo si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione può consistere anche nella prospettazione da parte del datore di lavoro ai dipendenti, in un contesto di grave crisi occupazionale, della perdita del posto di lavoro per il caso in cui non accettino un trattamento economico inferiore a quello risultante dalle buste paga (Cass. sez.II 20 aprile 2010 n.16656, Privitera; sez.II 4 novembre 2009 n.656, Perez; sez.II 11 dicembre 2008 n.10542, Marra; sez.II 21 settembre 2007 n.36642, Levanti). Il giudice di appello ha peraltro evidenziato che dalle conversazioni telefoniche intercettate (riportate specificamente in sentenza; cfr. in particolare conv. tra Barrile Giancarlo e Verduci Giuseppe f.80), risultava che lo stato d'intimidazione ed assoggettamento non era cessato nel corso del rapporto di lavoro, in un contesto "intriso di 'ndrangheta" nel quale "non era necessaria alcuna minaccia esplicita ulteriore..., perché l'inizio di ogni possibile vertenza o giudizio era scoraggiato dalle allarmanti frequentazioni del Cam polo e dalla posizione di parità mantenuta da costui nei suoi rapporti con pericolosi criminali". 5.7 Le doglianze relative al trattamento sanzionatorio (4.1.7) e (4.2.6.) sono manifestamente infondate o attengono a censure di mero fatto. tv. (4.1.6.) e il quarto motivo del ricorso dell'avv. Calabrese (4.2.4.) reiterano gli /t s Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (4.1.7), la Corte rileva che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse 2003 n.7707, Anaclerio). Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri (Cass. sez.VI 28 maggio 1999 n.8668, Milenkovic). Nel caso in esame il riferimento alla gravità dei fatti e al modus operandi del Campolo, protrattosi nell'arco degli anni, costituisce una valida motivazione, insindacabile in questa sede. In ordine all'aumento, sulla pena base per il più grave reato contestato al capo A, per la continuazione con i reati ai capi C e D (4.1.7.) la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione tenendo presente che si tratta di reati a loro volta continuati e aggravati ai sensi dell'art.7 d.l. n.152/91, operando peraltro una congrua riduzione rispetto alla pena determinata in primo grado (anche per effetto dell'esclusione delle aggravanti comuni per il reato di estorsione contestato al capo C), ispirandosi espressamente a criteri di equità e congruità secondo l'apprezzamento della natura e oggettiva gravità dei reati in continuazione fatta dal giudice di merito. Relativamente al mancato riconoscimento della continuazione anche con il reato di estorsione contestato al capo B (4.1.7.), la doglianza è manifestamente infondata in quanto la Corte territoriale ha posto in evidenza, con argomentazione logicamente ineccepibile, che "l'estorsione nei confronti dei lavoratori è frutto di un autonomo disegno criminoso, rispetto al quale può prospettarsi solo la continuazione interna tra i vari episodi che hanno riguardato i singoli dipendenti". Comunque va ribadito il principio (Cass. sez.IV 13 giugno 2007 n.25094, Cosuccia) che, in tema di continuazione, la valutazione circa la sussistenza dell'unicità del disegno criminoso costituisce questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretta da adeguata motivazione. Quanto alla determinazione della pena in ordine al reato di estorsione contestato al capo B in anni sei di reclusione ed euro 1.500,00 di multa (4.2.6), la dell'imputato (Cass. sez.VI 24 settembre 2008 n.42688, Caridi; sez.VI 4 dicembre Corte rileva che si tratta di un reato continuato e che, comunque, allorché la pena, come nel caso in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l'obbligo motivazionale previsto dall'art.125 co.3 c.p.p. deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'art.133 c.p. (Cass. sez.VI 12 giugno 2008 n.35346, Bonarrigo; sez.III 29 maggio 2007 n.33773, della sentenza impugnata è stato ritenuto indicativo esclusivamente della mancanza di resipiscenza, per giustificare ad abundatiam il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che per altro verso, come si è già detto, è stato adeguatamente giustificato con riferimento ad altri elementi. 5.8. Le doglianze relative al riconoscimento e alla determinazione dell'entità della provvisionale (4.1.8.) non possono formare oggetto di ricorso per cassazione. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez.Un. 19 dicembre 1990 n.2246, Capelli; sez.IV 20 marzo 1991 n.10098, Mileti; sez.VI 26 aprile 1994 n.9266, Mondino; sez.II 28 marzo 1995 n.6727, Terrusi; sez.I 4 marzo 1999 n.7241, Pirani; sez.V 18 ottobre 1999 n.4973, Cucinotta; sez.V 18 marzo 2004 n.40410, Farina; sez.IV 4 giugno 2004 n.37670, Cattaneo; sez.IV 23 giugno 2010 n.34791, Mazzamurro) il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per Cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento. Peraltro in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l'obbligo di espressa motivazione quando l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile(Cass. sez.11 novembre 2009 n.49877, R.C. e Blancafor; sez.V 17 gennaio 2007 n.5001, Mearini; sez.II 20 giugno 2003 n.36536, Lucarelli; sez.VI 1° aprile 1997 n.7092, Bosco). Sulla richiesta di revoca o sospensione della provvisionale, infine, la Corte territoriale risulta essersi motivatamente pronunciata (ff.83, 84 sentenza impugnata). 6. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00. Ruggieri). Il riferimento all'atteggiamento "livoroso" dell'imputato nella motivazione 1'1 P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. il cons. est. Roma 24 ottobre 2013

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