Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5785 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5785 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) CARROZZO STEFANO N. IL 18/04/1977
avverso l’ordinanza n. 181/2012 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
06/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;
Me/sentite le conclusioni del PG Dott. “0/444/tdo guitot. et.,04,4

t,44,4 W ft.p,i, di” /rz.211,»

UdiAdifensortAvv

Data Udienza: 04/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 6 marzo 2012 il Tribunale del riesame di Lecce,
confermando il provvedimento emesso dal locale Giudice per le indagini
preliminari, ha disposto che Carrozzo Stefano rimanesse sottoposto alla misura
della custodia cautelare in carcere, quale indagato per i delitti di associazione a
delinquere di stampo mafioso, minacce, danneggiamento, tentato omicidio,

Ha ritenuto quel collegio che sussistesse un grave compendio indiziario a
carico dell’indagato, desunto da intercettazioni ambientali e dalle dichiarazioni
accusatorie D’Amicis.
In ordine alle esigenze cautelari il Tribunale ha considerato sussistente il
la presunzione di cui all’articolo 275, comma 3 cod.proc.pen..
2. Ha proposto ricorso per cassazione il Carrozzo, a mezzo del proprio
difensore, evidenziando, quale unico sostanziale motivo, una violazione della
legge processuale, con particolare riferimento alle dichiarazioni accusatorie De
Amicis e una illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza sia per il contestato reato associativo che per gli ulteriori reati
fine.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non ha fondamento.
Giova rammentare, in diritto, come il delitto di associazione per
delinquere implichi un accordo fra almeno tre persone, con ripartizione di compiti
tra gli associati in relazione alla realizzazione di un programma indeterminato di
reati e predisposizione di una struttura organizzativa almeno rudimentale, atta a
fornire stabile supporto alle singole deliberazioni criminose.
Ai fini della configurabilità del reato in esame, il patto associativo non
deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale tra gli
associati, essendo sufficiente che questi, anche in assenza di un espresso
accordo, siano portati ad operare nella consapevolezza che la propria e l’altrui
attività ricevono vicendevole ausilio per l’attuazione del programma criminale (v.
Cass. Sez. VI 17 giugno 2009 n. 40505).
Dal punto di vista della struttura non è, poi, richiesta la presenza di una
complessa e articolata organizzazione, dotata di notevoli disponibilità
economiche e di imponenti strumenti operativi, ma è sufficiente l’esistenza di

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lesioni personali, estorsione e detenzione e porto abusivo d’armi.

strutture, sia pure rudimentali, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche
semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune.
Ferma l’autonomia rispetto ai reati fine, commessi in attuazione del
programma, la prova in ordine al delitto associativo può desumersi anche dalle
modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione, dai contatti fra gli
autori, dall’uniformità delle condotte, specie se protratte per un tempo
apprezzabile.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il compendio indiziario
evidenziato, già di per sé sufficiente nel presente stato del procedimento ad
integrare indizi di colpevolezza, ma anche in altri elementi espressamente
indicati nella motivazione, quali tutti quelli indicati nella c.d. parte generale in
merito alla sussistenza della contestata associazione a delinquere (v. pagina 4
della motivazione).
Gli elementi suesposti sono stati valutati globalmente dal Tribunale, che
ne ha riconosciuto la capacità dimostrativa, anche quali riscontri alle dichiarazioni
testimoniali e alle intercettazioni ambientali, in esito a una corretta applicazione
dei criteri imposti dall’articolo 192 cod.proc.pen..
Dalla linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna
caduta di conseguenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del
provvedimento; mentre il suo tentativo di contrastare la valenza persuasiva delle
emergenze investigative menzionate nel provvedimento impugnato e di
contrapporvi altre circostanze assertivamente favorevoli all’assunto difensivo, si
traduce nella prospettazione di una lettura alternativa del materiale indiziario, in
contrasto con quella fatta logicamente propria dal Giudice del merito: il che non
può trovare spazio nel presente giudizio di legittimità.
Giova inoltre rammentare, in diritto, come compito del Giudice del merito
sia quello di analizzare, anche alla luce delle asserzioni defensionali, gli elementi
di prova (e la circostanza che essi in materia cautelare si chiamino indizi è, a
questi fini, mera variante terminologica), verificarne il significato e la univocità;
offrire completa giustificazione del perché, a suo avviso, i fatti s’attaglino alla
fattispecie astratta e giustifichino le conclusioni raggiunte circa la fattispecie
concreta, ovvero, per la materia, circa la perdurante sussistenza di gravi indizi di
responsabilità.
Il giudizio prognostico in tal senso era, dunque, indispensabile, pur
dovendo essere effettuato non nell’ottica della ricerca di una certezza di
responsabilità già raggiunta, ma nella prospettiva della tenuta del quadro
indiziario alla luce di possibili successive acquisizioni e all’esito del

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valorizzato dal Giudice del riesame non consiste solamente in quanto dianzi

contraddittorio.
I gravi indizi null’altro sono, d’altro canto, che “una prova allo stato degli
atti”, valutata dal Giudice allorché la formazione del materiale probatorio è di
norma ancora in itinere.
È così soltanto l’aspetto di una possibile evoluzione “dinamica”, non la
differente intrinseca capacità dimostrativa, a contraddistinguere la valutazione
della prova in sede cautelare rispetto alla valutazione nel giudizio di cognizione
(v. Cass. Sez. I 4 maggio 2005 n. 19867 e da ultimo 17 maggio 2011 n. 19759).
rivisitazione in punto di fatto degli elementi indiziari che il Tribunale ha ritenuto
idonei a giustificare la chiesta misura cautelare personale e, pertanto, giunge a
richiedere a questa Corte di legittimità un’operazione non consentita, pari a
quella di un inesistente ulteriore grado di merito.
A ciò si aggiunga come la sentenza di merito non sia, poi, tenuta a
compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in
esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che,
anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze,
spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando
che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare
implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass.
Sez. IV 13 maggio 2011 n. 26660).
Con riferimento, infine, alla doglianza relativa alla validità o meno delle
dichiarazioni accusatorie De Amicis ed a prescindere dalla modalità della loro
effettuazione (posto che nel provvedimento impugnato non si parla affatto di
registrazione di una fonte confidenziale) si osserva come, in ipotesi, le
dichiarazioni registrate ad iniziativa della polizia giudiziaria in occasione di
colloqui investigativi tra la stessa e la persona offesa di un reato o altra persona
informata dei fatti, ancorché inutilizzabili come prova in sede propriamente
processuale (come affermato da Cass. Sez. Un. 28 maggio 2003 n. 36747) non
costituiscono, tuttavia, prova vietata in assoluto (v. Cass. Sez. III 6 luglio 2007
n. 36390) e sono, pertanto, pienamente utilizzabili in altra sede quale, in
particolare, il giudizio abbreviato (in tal senso v. Cass. Sez. H 15 dicembre 2005
n. 2829) e, a maggior ragione, quindi, in sede cautelare (v. Cass. Sez. V 1 aprile
2009 n. 15771).
2. Il rigetto del ricorso, che necessariamente consegue a quanto fin qui
osservato, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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Il motivo di doglianza, inoltre, si caratterizza per una completa

La Cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’articolo 94, comma 1 – ter,
delle disposizioni di attuazione al cod. proc. pen..

P.T.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 – ter,

Così deciso in Roma il 4/12/2012.

disp. att. cod. proc. pen..

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