Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 578 del 04/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 578 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARONCINI ETTORE N. IL 05/05/1972
avverso la sentenza n. 1438/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 02/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 54,A-7e.
che ha concluso per i
t,- Le—

Data Udienza: 04/10/2013

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 02/05/2012 la Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione di
primo grado che aveva condannato Ettore Baroncini alla pena ritenuta di giustizia in
relazione ai reati di violenza privata e lesioni aggravate in danno di Maurizio Guidotti e di
resistenza a pubblico ufficiale, per avere usato violenza e minaccia nei confronti dei
carabinieri che, a seguito delle condotte poste in essere nei confronti del Guidotti, si erano
recati presso il distributore di carburanti gestito dall’imputato al fine di identificarlo. Tali
condotte erano consistite nell’awentarsi contro gli operanti senza riuscire a colpirli nonché

avete fatto impaurire il cane, chiedetelo al maresciallo Carlino, io per il cane ammazzo, vi
spacco”.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti
motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione dell’ad. 337 cod. pen.,
dal momento che, proprio alla stregua delle dichiarazioni del teste Ferrante, valorizzate dalla
Corte territoriale, emergeva che la condotta del Baroncini non aveva la finalità di opporsi allo
svolgimento dell’atto d’ufficio e che l’offesa non era causalmente legata, anche solo a livello
psicologico, alle funzioni esercitate dal pubblico ufficiale. Secondo il ricorrente, dall’integrale
lettura della deposizione del Ferrante risulta che il Baroncini, quando la pattuglia arrivò, era
già stato identificato da altri militari e che, in ogni caso, confessò immediatamente i
particolari dell’azione posta in essere in danno del Guidotti. Solo a seguito di specifica
contestazione del P.M., il teste aveva aggiunto che inizialmente il Baroncini non aveva voluto
esibire il documento, sostenendo che gli agenti lo conoscevano benissimo. In definitiva, non
era ravvisabile alcuna opposizione agli atti di identificazione, già compiuti, ma solo una
manifestazione di dissenso o di avversione per quanto stava accadendo. Il ricorrente
lamenta, inoltre, che il teste, oltre a manifestare incertezza sulla frase attribuita all’imputato,
non l’aveva collocata temporalmente rispetto all’identificazione; quanto ai tentativi successivi
del Baroncini di raggiungere nuovamente il Guidotti — anche in questo caso riferiti con
insicurezza dal Ferrante -, il ricorrente sottolinea in ogni caso la loro estraneità alla condotta
contestata. Da ultimo, si invoca l’intervenuta prescrizione.
2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione dell’ad 62, n. 6, cod.
pen., per avere la Corte territoriale negato l’attenuante invocata senza illustrare le ragioni
che l’avevano condotta a ritenere incongrua la somma offerta.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto nella
sostanza pretende di trarre dalla precedente intervenuta identificazione dell’imputato da
parte di una prima pattuglia dei carabinieri, una ragione giustificativa per escludere che i
militari della seconda pattuglia potessero procedere ad una nuova identificazione. D’altra
parte, lo stesso ricorrente ammette di avere manifestato il proprio dissenso o awersione

1

nel proferire al loro indirizzo la seguente frase: “che cazzo mi guardate con quella faccikmi

all’iniziativa legittima dei carabinieri ed è evidente, dalla scansione temporale descritta dal
teste Ferrante, quale emerge proprio dalla sentenza impugnata, che siffatto dissenso si era
tradotto in minacce, nell’intimazione di allontanarsi, nella pronuncia della frase “io per il cane
ammazzo”. Il palese collegamento tra tale condotta e l’esercizio delle funzioni dei pubblici
ufficiali non è incrinato dai generici rilievi contenuti in ricorso, sia quanto alla certezza del
ricordo del teste, la cui deposizione è talmente puntuale da rendere chiaro che lo sforzo di
precisione espresso dal “se ben ricordo” riguardava i dettagli e non la sostanza dell’episodio,
sia quanto alla tempistica della reazione, che, nella logica ricostruzione della sentenza

2. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso, in quanto le censure svolte sono
assolutamente prive di specificità.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto incongrua l’offerta di euro 10.000,00, oltre ad euro
1.000,00 per le spese legali, in relazione alla gravità del fatto che ha prodotto, secondo la
consulenza del P.M., una malattia del Guidotti della durata di tre mesi e venti giorni e
postumi permanenti, ancorché non quantificati. La Corte territoriale ha, inoltre, valorizzato il
danno patrimoniale, le spese sostenute per gli esami medici e il danno morale.
A fronte di tale ragionevole percorso argomentativo che ruota attorno all’entità della malattia
e delle ordinarie conseguenze che ne sono derivate, il ricorrente oppone che non è stato
indicato quale sarebbe stato il risarcimento congruo, in relazione alle diverse voci di
pregiudizio menzionate, né sono state precisate le spese mediche e l’entità dei postumi.
Tuttavia, la valutazione in negativo espressa dal giudice di merito non palesa alcuna
manifesta illogicità, già alla sola stregua del periodo di malattia e del conseguente
perturbamento psichico della vittima.
3. Il presente ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile e tale situazione,
implicando il mancato perfezionamento del rapporto processuale, cristallizza in via definitiva
la sentenza impugnata, precludendo in radice la possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione
del reato per prescrizione intervenuta, in data 11/06/2012, successivamente alla pronuncia
in grado di appello del 02/05/2012 (cfr., tra le altre, Sez. U, n. 21 dell’11/11/1994, Cresci,
Rv. 199903; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, Morra, Rv. 250328, in motivazione).
4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo
determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 04/10/2013

Componente estensore

impugnata, si correla proprio al dissenso espresso rispetto all’attività di identificazione.

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