Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5770 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5770 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRANCALENTE GIANPAOLO N. IL 20/02/1970
avverso il decreto n. 31/2012 TRIB. LIBERTA’ di VARESE, del
24/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. gea9e7…o

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Data Udienza: 17/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 24.05.2013 il Tribunale del riesame di Varese ha
confermato, con condanna alle spese processuali, il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Varese, in data 6.4.2012, nei confronti di
BRACALENTE GIANPAOLO, indagato per i reati di cui agli artt.216 e 292 D.P.R.
23.1.1973 n.43, 70 D.P.R. n.633/72.
In data 14.11.2011, Funzionari Doganali coadiuvati da militari appartenenti alla Guardia Finanza di Gaggiolo, nel corso dell’attività di vigilanza lungo il

l’autovettura Audi S5 Coupè, con targa elvetica TI 228189, di proprietà della società Bryki S.A., con sede in Balerna (CH), condotta da Bracalente Gianpaolo.
Dal controllo emergeva che l’odierno ricorrente stava lasciando il territorio
nazionale alla guida di automezzo immatricolato in territorio non comunitario,
senza essere provvisto dell’autorizzazione rilasciata dall’Autorità Doganale.
L’autovettura veniva sottoposta a sequestro per violazione degli artt.216 e 292
T.U.L.D.
Il G.I.P. convalidava il sequestro preventivo con provvedimento del
23.12.2011.
Avverso tale provvedimento formulava richiesta di riesame, la società
Bryki S.A. con sede in Balena (CH), nella qualità di proprietaria del bene in sequestro.
L’Agenzia delle Dogane di Gaggiolo, con atto del 23.2.2012, determinava i
diritti di confine evasi relativamente al veicolo in sequestro in C 12.909,00. Con
successivo provvedimento del 28.3.2012, a seguito di mancata trasmissione degli atti al Tribunale del Riesame, veniva disposta la restituzione del veicolo in sequestro. In pari data, però, il Pubblico Ministero disponeva, in via d’urgenza, il
sequestro dell’autovettura. Il sequestro veniva convalidato, in data 6.4.2012, dal
G.I.P. presso il Tribunale di Varese.

2. Brancalente Gianpaolo, assistito dal proprio difensore, ricorre per la
cassazione del provvedimento deducendo:
a. Preliminarmente rileva una serie di irregolarità procedurali.
Il decreto di convalida del primo sequestro veniva notificato dopo due
mesi dallo stesso. A seguito della notifica veniva presentata una prima richiesta
di riesame. Gli atti relativi non venivano mai trasmessi. Il P.M. affermava che la
ragione del ritardo dipendeva dal prolungamento delle attività di indagine, privandolo- lamenta il ricorrente- della garanzia rappresentata dalla valutazione ad
opera di un organo imparziale e collegiale, circa la legittimità della compressione
di diritti fondamentali.
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confine con la Svizzera, presso il valico di Gaggiolo, sottoponevano a controllo

Sottolineava, anche in relazione alla seconda istanza di riesame, il ritardo
della trasmissione degli atti al riesame, avvenuta il 16/5/2012, dopo 16 giorni
dalla richiesta del Tribunale e dopo un mese dal deposito del reclamo, mentre gli
ultimi risultati di indagine risultavano essere nella disponibilità del P.M. fin dal
12/3/2012, due mesi prima della trasmissione degli stessi.
b.

Art.606 comma 1 lettera c) cod. proc. pen.: inosservanza dell’art.324

comma 3 e 7 cod.proc.pen. inosservanza dell’art.309 comma 5, 9 e 10 cod. proc.
pen.; scadenza del termine perentorio per la trasmissione degli atti al Tribunale

dall’art.324 comma 3 cod. proc. pen. e, in ogni caso, oltre quello indicato
dall’art.309 comma 5 cod. proc. pen. operante per effetto del rinvio di cui al
comma 7 dell’art.324 cod. proc. pen. Decisione intervenuta oltre il termine complessivo e perentorio di quindici giorni (termine perentorio di cinque giorni per la
trasmissione degli atti da parte del Pubblico Ministero e di dieci giorni per la decisione del Tribunale) dalla richiesta. Perdita di efficacia della misura.
Il ricorrente lamenta la violazione delle norme procedurali e la privazione
e tempo indeterminato di proprietà individuali in spregio delle garanzie previste
dal Codice di rito.
La misura cautelare avrebbe perso efficacia per inosservanza del termine
normativamente imposto.
Sul punto lamenta come l’ordinanza impugnata sia stata laconica, limitandosi a richiamare l’orientamento giurisprudenziale che ritiene inapplicabile alle misure cautelari la sanzione di inefficacia prevista dal comma 10 dell’art.309
cod. proc. pen., senza fare alcun riferimento a quanto espresso dalla difesa.
c.

art.606 comma

10 lettere b) e c): inosservanza dell’art.321

cod.proc.pen. emissione di decreto di sequestro preventivo di urgenza da parte
del Pubblico Ministero. Assenza di una situazione idonea a giustificare l’eccezione
alla riserva di giurisdizione. Invalidità del procedimento applicativo. Illegittimità
della misura.

del riesame. Trasmissione degli atti effettuata oltre il termine indicato

Il ricorrente evidenzia l’assoluta mancanza della situazione di urgenza che
giustificasse il procedimento applicativo della misura cautelare.
L’art.321 comma 10 cod. proc. pen. -ricorda- definisce il procedimento
applicativo del sequestro preventivo: solo il Giudice, investito della richiesta del
P.M., può disporre con decreto motivato, la misura cautelare. Tale regola trova
eccezione nell’art.321 comma 3 0 cod,proc.pen., laddove prescrive che solo
quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento
del Giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato del P.M.

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i

Nel caso di specie l’inerzia del P.M., a fronte della richiesta del Tribunale
di trasmettere gli atti del riesame non avrebbe, però, determinato alcuna situazione emergenziale non preventivabile.
Vi sarebbe stata, inoltre, un’inaccettabile paralisi di ogni valutazione giurisdizionale, in spregio delle garanzie, costituzionalmente rilevanti, riconosciute
dall’ordinamento alla persona sottoposta ad indagine e al soggetto avente diritto
alla restituzione.
Il ricorrente sottolineata, ancora, l’assoluta carenza di pericolo che sa-

e condiviso dal G.I.P., concerne la potenziale sottrazione del veicolo alla confisca,
ma l’automezzo non costituisce cosa soggetta a confisca. Il bene era già sottoposto a vincolo di indisponibilità e la cessazione dello stesso non avveniva per una
mera irregolarità formale, ma per una grave violazione procedurale, addebitabile
unicamente alla pubblica accusa.
La perdita di efficacia della misura non era -si ribadisce- una situazione
emergenziale.
d. art.606 comma 1 lettera b): inosservanza ed erronea applicazione
dell’art.321 cod. proc. pen.; assenza del fumus commissi delicti. Non configurabilità dei reati contestati. Insussistenza dei reati di contrabbando doganale. Impossibilità di prospettare l’evasione dell’iva all’importazione. Difetto di un presupposto fondamentale per l’applicazione della misura.
A Brancalente Gianpaolo viene contestata la violazione degli artt. 216 e
2929 TULD e dell’art.70 DPR 633 del 26.10.72, in ragione dell’immatricolazione
estera del veicolo, a fronte della residenza italiana del conducente. Si sostiene
l’omesso pagamento dei diritti di confine e dell’IVA per l’importazione
dell’autovettura.
Il P.Mafferma la non sostenibilità delle prospettazioni difensive circa
l’impossibilità di configurare il contrabbando, in ragione della proprietà del veicolo in capo alla società elvetica Bryki SA, ignara dell’esportazione in Italia, avvenuta in forza di contratto di noleggio con il signor Bracalente. Si tratterebbe di
fittizia intestazione, secondo le risultanze di indagine. Il Gip richiamava integralmente nel proprio decreto la richiesta del P.M., gli atti di P.G. relativi al sequestro, e il precedente decreto di sequestro emesso da diverso Giudice dello stesso
ufficio, che si limitava alla generica affermazione della sussistenza del fumus dei
reati ipotizzati, in considerazione del fatto che l’imputato, anagraficamente residente in Italia, si trovasse alla guida di veicolo immatricolato nella Confederazione Elvetica.
Il Tribunale faceva riferimento alla normativa della Convenzione di Istanbul del 26.6.90, ratificata dalla L.26.10.95 n.479 e dal Reg.CEE n.2913/92 (isti4

rebbe derivata dalla libera disponibilità del mezzo. Il pericolo paventato dal P.M.

tutivo del Codice Doganale Comunitario), da cui deriverebbe la necessità di apposita autorizzazione da parte dell’Autorità Doganale alla ammissione temporanea di un bene, in esenzione dai dazi all’importazione.
Ad avviso del Tribunale “si è di fronte a un veicolo immatricolato in Sviz-

zera, intestato a società elvetica, utilizzato da persona residente in Italia..
l’odierno indagato non è titolare di alcun fine specifico atto a legittimare il suo
ingresso in Italia in regime di temporanea esenzione dai dazi doganali…” e, pertanto, sussisterebbe il fumus dei reati contestati.

proprietà di un soggetto elvetico e la coincidenza della residenza abituale con la
residenza anagrafica.
L’indagato deduce di essere titolare di un permesso per frontaliere di tipo
G (soggiorno con attività lucrativa) in qualità di operatore presso la “Luxury
Goods Logistics con sede in Canton Ticino. E’ titolare, inoltre, dal 1.6.11 di un
contratto di lavoro con la Bryki SA. E’ titolare attualmente di un permesso di tipo
B (permesso di dimora in tutta la Svizzera). La sede principale dei suoi interessi
è in Svizzera, dove presta la propria attività lavorativa e dove, attualmente, ha
domicilio.
Il Tribunale di riesame ha affermato la non rilevanza di una simile circostanza, ritenendo che le norme citate si riferiscano alla residenza anagrafica.
Il ricorrente richiama, tuttavia, varie pronunce in materia di residenza
(Sez.3, 2.9.04,n.35783; Sez.3,14.1.98,n.1933) che hanno ritenuto non configurabili i reati di importazione illegittima di veicolo con targa straniera da parte di
cittadino italiano anche nei casi in cui, pur non essendo state eseguite le variazioni anagrafiche, l’interessato abbia di fatto trasferito all’estero la propria abituale dimora.
Ancora, osserva il Brancalente che in forza dell’ad 3 dell’Accordo del
19.12.72 tra la Confederazione Elvetica e la Comunità Europea, ratificato con
reg.CEE n.2840 del 1972, i dazi doganali all’importazione sono gradualmente
soppressi (con eliminazione totale a far data dal 1.7.77) e “nessun nuovo dazio
doganale all’Importazione viene introdotto”. Inoltre l’art.4 prevede che “Le disposizioni relative alla graduale soppressione dei dazi doganali all’importazione sono applicabili anche ai dazi doganali a carattere fiscale.” Invoca una serie di sentenze che ritengono insussistente il reato di contrabbando, in forza di tale accordo (Sez.3, 17.3.10,n.16860; Sez.3, 3.10.08, n.36198; Sez.3, 22/2/06, n.6741;
Sez.4, 9/5/06, n.17432; Sez.4,13/5/2005, n.17832; Sez.4, 30/4/02, n.22555).
Contesta l’esistenza del reato e quindi del fumus, in quanto il reato di
contrabbando doganale non può essere integrato nell’ipotesi di ingresso di merci
provenienti dal territorio elvetico, posto che il menzionato accordo per

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Il ricorrente contesta la configurabilità del reato in quanto il veicolo è di

l’abolizione dei diritti di confine stipulato dalla Comunità e la Confederazione è
vincolante per i Paesi membri ai sensi dell’art.228, comma 7, del medesimo Trattato.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi, secondo il ricorrente, in riferimento alla violazione in materia di Iva.
L’evasione dell’iva all’importazione trova nel nostro ordinamento un regime sanzionatorio più grave, parificato a quello del contrabbando, rispetto a quello dell’evasione dell’iva interna, ponendosi in contrasto con i principi comunitari

del 25.2.98 – Drexel c. Finanze Stato – della Corte di Giustizia delle Comunità
Europee), applicabili, in forza del menzionato accordo, anche alla Confederazione
Elvetica: il principio di proporzionalità del sistema sanzionatorio appare dettato
della Corte di Giustizia in via generale e non già in riferimento esclusivo agli
scambi comunitari.
Inoltre non può parlarsi di importazione perché si tratta di bene già immesso in libera pratica in paese membro della Comunità.
Il fatto che l’acquisto sia stato trattato direttamente dal ricorrente non ha
rilievo, in quanto lo stesso è consulente della società Svizzera ed ha sempre agito per conto della stessa.
La tesi che si tratterebbe di una società fittizia non trova -secondo la tesi
prospettata in ricorso- alcun riscontro.
L’acquisto è stato fatto con danaro della società.
La qualificazione giuridica operata dal P.M. e dal GIP, poi condivisa dal
Tribunale del Riesame, sarebbe fondato su mere presunzioni, non riscontrate
dalle emergenze di indagine. Si ricorda come questa Corte abbia chiaramente affermato che in tema di reati finanziari e tributari l’abuso del diritto, qualificato
dall’adozione (al fine di ottenere un vantaggio fiscale) di una forma giuridica non
corrispondente alla realtà economica, non ha valore probatorio perché implica
una presunzione incompatibile con l’accertamento penale, ed è invece utilizzabile
in campo tributario come strumento di accertamento semplificato nel contrasto
all’evasione fiscale (Sez.3, 26.11.08, n.14486, rv.244071.

e. art.606 comma primo lettera b) e c) cod. proc. pen.; inosservanza ed
erronea applicazione dell’art.321 cod. proc. pen. assenza del periculum in mora difetto di esigenze cautelari – consumazione del reato – impossibilità di considerare il veicolo oggetto di confisca obbligatoria – inapplicabilità dell’art.301 DPR
43/1973 – illegittimità del provvedimento applicativo della misura cautelare reale
– revoca della misura.
In ultimo il ricorrente lamenta l’inesistenza del periculum in mora per
scadenza del contratto di noleggio.
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in materia di libera circolazione delle merci (affermati con la decisione n.299-86

Il ricorrente chiede pertanto la revoca della misura.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, va dichiarato inammissibile.

2. Il primo motivo di ricorso, in realtà, non è tale.
Lo stesso ricorrente, indica che si tratta di “considerazioni introduttive” in cui

inficiare di validità il provvedimento impugnato.
Il secondo motivo, con cui si deduce l’inosservanza dei termini per la trasmissione degli atti di cui all’art. 324 cod. proc. pen. è parimenti manifestamente
infondato.
Come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte nel procedimento di
riesame del provvedimento di sequestro non è applicabile il termine perentorio di
cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dall’art. 309,
comma quinto, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura
cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall’art. 324, comma terzo, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria (Sez. U, n. 26268 del 28.3.2013, Cavalli, Rv. 255581).

3. Quanto agli ulteriori motivi di ricorso, va evidenziato, in primo luogo, come questa Corte abbia da tempo affermato che il decreto di sequestro preventivo emesso in via d’urgenza dal pubblico ministero, ai sensi dell’art. 321, comma
terzo bis, cod. proc. pen., non è impugnabile in quanto si tratta di un provvedimento avente carattere puramente provvisorio e non ricompreso nell’elencazione
di cui all’art. 322 bis cod. proc. pen., norma non suscettibile di interpretazione
analogica, attesa la tassatività dei mezzi di impugnazione, che, come si evince
dall’interpretazione letterale della disposizione, con il termine “ordinanza” intende fare chiaro riferimento ai provvedimenti adottati dal giudice e non dal pubblico ministero e, relativamente a quelli emessi da tale organo, ammette l’appello
esclusivamente contro il decreto che dispone la revoca del sequestro (vedasi, tra
tante, questa Sez. 3 n. 49448 dell’8.10.2003, Piacentini, rv. 227996). E anche
l’ordinanza con la quale il giudice, a norma dell’art. 321, comma terzo bis, cod.
proc. pen., convalida il sequestro preventivo disposto in via d’urgenza dal P.M. è
inoppugnabile (così Sez. Unite, n. 21334 del 31.5.2005, Napolitano, rv. 231055).
Peraltro è da osservare che trova giustificazione che contro il decreto del P.M.
non è previsto alcun mezzo di impugnazione, considerato che trattasi di un provvedimento che ha carattere puramente provvisorio, destinato ad una automatica
,

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lo stesso lamenta le lungaggini della procedura, ma non deduce elementi atti ad

caducazione. Esso, infatti, perde ogni efficacia non solo nel caso in cui non vengono rispettati i termini indicati dall’art. 321 co. 3 bis e 3 ter c.p.p. o nel caso di
mancata convalida poichè, anche se interviene al convalida, il giudice è tenuto, a
norma dell’art. 321 co. 3 bis c.p.p. ad emettere un proprio decreto di sequestro
preventivo che costituisce il titolo che legittima il vincolo reale esistente sul bene
sequestrato.
E’ rimesso, dunque, a tale organo, la valutazione in ordine alla lamentata
assenza di situazioni idonee a giustificare l’eccezione alla riserva giurisdizionale,

dall’emissione del proprio decreto da parte del GIP. Sarà quest’ultimo -nel caso
di specie quello emesso il 6.4.2012, a poter essere sottoposto -come avvenutoal vaglio del Tribunale del Riesame prima e poi di questa Corte di legittimità.
In punto di diritto va tuttavia ricordato che il ricorso per cassazione contro
ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso
solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali
da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del
tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal
giudice. (Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, Rv. 239692).
Ebbene, non paiono susssistere tali vizi in relazione al provvedimento impugnato.

4. Va evidenziato, peraltro, in ordine alla doglianza sul punto, che la contestazione non attiene al contrabbando, ma all’evasione dell’IVA all’importazione
e che il provvedimento impugnato appare coerentemente e logicamente motivato in punto di fumus del reato.
Quanto alla lamentata mancanza di motivazione sul fumus il tribunale varesini motiva compiutamente richiamando, in particolare, la specifica previsione
degli artt. 137 e ss. Del Regolamento CEE n. 2913 del Consiglkio in data
12.10.1992 istitutivo del Codice Doganale Comunitario, e specificamente
dell’articolo 138, e quanto previsto dalla Convenzione di Istambul del 26.6.1990,
ratificata dallo Stato italiano con la legge 25.10.1995 n. 479.
Il tribunale ricorda come nel caso in esame si fosse di fronte ad un veicolo
immatricolato in Svizzera e intestato a società elvetica, utilizzato dall’odierno ricorrente, residente in Italia, come attestato dalla documentazione in atti e controllato in territorio italiano, in uscita dal valico di Gaggiolo.

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con l’adozione del decreto d’urgenza da parte del PM. Ma è superata

L’odierno ricorrente non era – evidenzino i giudici del riesame- titolare di
alcun “fine specifico” atto a legittimare il suo ingresso in Italia con il veicolo in
regime di temporanea esenzione dai dazi doganali.
Anche il rapporto tra il Brancalente e la società svizzera è stato oggetto di
poco convincenti e contraddittorie argomentazioni.
Il tribunale varesino evidenzia, infatti, come in un primo momento egli
aveva affermato di avere la disponibilità dell’automezzo sequestratogli in virtù di
un contratto di noleggio datato 29.11.2011 e solo in un momento successivo, di-

consulenza che l’avrebbe legato alla società svizzera proprietaria
dell’autovettura. Ma in ogni caso non sussisteva, da un lato, l’autorizzazione
all’utilizzo da parte del proprietario del veicolo e, dall’altro, l’autorizzazione rilasciata dai competenti uffici Doganali, autorizzazione che, nel caso in esame, non
risultava neppure essere stata richiesta.

5. Manifestamente infondato è, in ultimo, anche il profilo di doglianza che
assume la violazione di legge per non avere il tribunale varesino motivato sul periculum in mora.
Al contrario, nel provvedimento impugnato, dopo avere ricordato che il
“periculum in mora” che legittima il sequestro preventivo deve essere inteso in
senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, e presentare i caratteri della
concretezza e dell’attualità, e di come sia necessario che il bene oggetto della
misura abbia un’intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato
commesso , ovvero a quelli di cui si paventa la realizzazione, in modo che
l’individuato legame non sia meramente occasionale ed episodico, bensì abitualmente protratto nel tempo e tipicamente indicativo delle modalità di realizzazione dell’attività illecita ipotizzata, si afferma come nel caso di specie tali condizioni
sussistono attesa la modalità della condotta come risultante dagli atti.
Peraltro la società proprietaria del veicolo -viene evidenziato infine- essendo perfettamente a conoscenza dei fatti non può vedersi riconosciuta alcuna
posizione di buona fede che legittimerebbe una richiesta di restituzione del veicolo a suo favore.
Trattasi di motivazione congrua, priva di vizi logici e quindi certamente
sottratta al sindacato in questa sede.

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al

9

nanzi al tribunale del riesame, aveva “virato” per la tesi di un rapporto di lavoro-

,

pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende

Così deciso in Roma il 17 gennaio 2014.

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