Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5765 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5765 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Papale Ciro

nato il 4.7.1988

avverso l’ordinanza del 26.9.2013
del Tribunale di Napoli
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G., dr. Angelo Di Popolo, che ha
chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso

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Data Udienza: 09/01/2014

1. Con ordinanza in data 26.9.2013 il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto da Papale
Ciro avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Napoli, in data 12.4.2013, con cui era
stata respinta l’istanza de libertate, volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della misura
cautelare, per decorrenza dei termini di custodia cautelare di fase, ai sensi degli artt.297 co.3
e 303 co.1 lett.a) n.3 c.p.p.
Premetteva il Tribunale che nei confronti del Papale era stata emessa, in data 18.1.2012,
ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di estorsione continuata in danno di
Zinno Salvatore, aggravata ai sensi dell’art.7 L.203/1991; e che, successivamente in data
4.2.2013, il Papale era stato raggiunto da altro provvedimento di custodia cautelare in carcere
per associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti (art.74 DPR 309/90) e per
numerosi episodi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti (art.73 DPR 309/90).
Tanto premesso e richiamati l’ordinanza di rigetto del GIP ed il parere espresso dal P.M. in
ordine all’originaria istanza di scarcerazione, nonché la giurisprudenza di legittimità, riteneva il
Tribunale che non ricorresse, nel caso di specie, il fenomeno della contestazione a catena di
cui all’art.297 co.3 c.p.p.
Secondo il Tribunale, invero, non era ravvisabile tra l’estorsione ed il reato associativo la
connessione qualificata richiesta dalla norma. E neppure gli elementi, posti a base della
seconda ordinanza di custodia cautelare, erano desumibili dagli atti già al momento della
emissione della prima ordinanza: il concetto di desumibilità delle fonti indiziarie, invero, non va
confuso, secondo il Tribunale, con la nozione di semplice conoscenza o conoscibilità.
A parte il fatto che non risultava dimostrato compiutamente che gli elementi su cui era fondata
la seconda ordinanza fossero già presenti agli atti, la mera esistenza degli stessi non
comportava automaticamente che gli inquirenti ne avessero già individuata la portata
gravemente indiziante.
In ogni caso, non ricorreva il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda
ordinanza di custodia cautelare, dal momento che la condotta di partecipazione
all’associazione, come da imputazione, si era protratta anche dopo l’emissione della prima
ordinanza.
Irrilevante, infine, era la circostanza che l’estorsione risultasse aggravata ex art.7 L.203/91,
dal momento che il reato associativo, come da contestazione, si era storicizzato solo in epoca
successiva.
2. Ricorre per cassazione Papale Ciro, a mezzo del difensore denunciando la violazione di
legge ed il vizio di motivazione.
La difesa aveva rappresentato che tutti gli elementi posti a base della seconda ordinanza
erano già in possesso degli inquirenti fin dal momento dell’emissione della prima ordinanza
cautelare, dal momento che le intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboranti non andavano
oltre l’ottobre 2010.
Tanto premesso, assume il ricorrente che tra tutti i fatti vi è connessione qualificata, essendo
essi aggravati dall’art.7 L.203/91: sia per l’estorsione che per i reati relativi agli stupefacenti si
fa riferimento all’essersi avvalsi della forza di intimidazione del clan Papale o Ascione-Papale.
Del resto, tanto emerge chiaramente dalla stessa ordinanza del GIP che inquadra il reato di
cui all’art.74 DPR 309/90 nell’ambito delle attività riconducibili al clan camorristico.
Il Tribunale, poi, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità, se ne discosta, quando
afferma, in modo illogico ed erroneo, che gli elementi probatori debbano comunque essere
interpretati nella loro valenza indiziarla, per cui non è sufficiente che essi siano già in possesso
degli inquirenti.
E neppure è condivisibile l’ordinanza impugnata nella parte in cui sostiene che non sussiste
continuazione tra estorsione ed il reato associativo e neanche nesso ideologico, tenuto anche
conto del contesto temporale.
In ogni caso, anche a non voler ritenere la connessione qualificata, andrebbe comunque
retrodata la decorrenza dei termini della custodia cautelare, essendo ormai pacifico, secondo la
giurisprudenza di legittimità, che il principio della retrodatazione di cui all’art.297 co.3 c.p.p.
sia applicabile quando tutti gli elementi, per emettere la nuova ordinanza, erano già desumibili
dagli atti al momento dell’adozione della prima misura (sent. sez.un. 19.12.2006 n.14535,
Librato).

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RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. A norma dell’art.297 co.3 c.p.p. “se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze
che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benchè diversamente qualificato,
ovvero per fatti diversi commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza in
relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’art.12 comma 1 lettere b) e c),
limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in
cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più
grave”.
2.1. In caso di connessione qualificata, quindi, la retrodatazione trova applicazione a
prescindere dalla desumibilità dagli atti degli elementi posti a base dell’ordinanza successiva.
Tale principio di diritto veniva già chiaramente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte
con la sentenza n.1957 del 22.3.2005-Rahulia, secondo cui, nell’ipotesi di adozione nei
confronti di un imputato di una pluralità di ordinanze che dispongono la misura cautelare per
fatti diversi, commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza, legati dalla
connessione qualificata prevista dall’art.12 comma 1 lett.b) e c), limitatamente ai casi di reati
commessi per eseguire gli altri, la retrodatazione della decorrenza dei termini della misura
disposta con l’ordinanza successiva opera indipendentemente dalla possibilità, al momento
della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto
dell’ordinanza successiva e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di
desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare la relativa misura; qualora
invece tra i fatti diversi non sussista la connessione prevista dall’art.297 comma 3 c.p.p., i
termini della misura disposta con l’ordinanza successiva decorrono dal giorno in cui è stata
eseguita o notificata la prima se al momento dell’emissione di questa erano desumibili dagli
atti gli elementi che hanno giustificato l’ordinanza successiva.
2.2. La Corte Costituzionale, con ordinanza n.445 del 21.12.2007, nel dichiarare la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art.297 comma 3 c.p.p.,
sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13, comma 5, della Cost., osservava che il giudice
remittente aveva omesso di valutare se esistesse la possibilità di pervenire in via
interpretativa, ad una soluzione conforme alla Costituzione, come ribadito più volte dalla Corte
di Cassazione (per ultimo Cass.sez.un. 19.12.2006 n.14535), nel senso cioè che “quando in
differenti procedimenti, non legati da connessione qualificata, vengono emesse più ordinanze
cautelari per fatti diversi e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli
atti al momento della emissione della prima, è da ritenere che i termini della seconda
ordinanza debbano decorrere dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se i due
procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può
essere frutto di una scelta del pubblico ministero”.
La stessa Corte Costituzionale già in precedenza aveva, invero, esplicitamente affermato che,
a prescindere dal vincolo previsto alle lett. b) e c) dell’art.12 comma 1, richiamato
dall’art.297, quando risulta che gli elementi per emettere la nuova ordinanza siano già
desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza, trovi comunque
applicazione il divieto della contestazione a catena (cfr.sentenza Corte Cost. n.408 del
3.11.2005).
2.3. Le Sezioni Unite con la sentenza n.14535 del 19.12.2006, richiamando la sentenza della
Corte Costituzionale sopraindicata, riaffermavano che “..un regime di garanzia analogo a
quello della retrodatazione automatica, previsto nel caso di connessione qualificata
dall’art.297 comma 3 c.p.p., dovrà operare in tutti i casi i cui, pur potendo i diversi
provvedimenti coercitivi essere adottati in unico contesto temporale, per qualsiasi causa
l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole
ordinanze. Perciò se è vero che la retrodatazione concerne di regola misure adottate nello
stesso procedimento è anche vero che l’autorità giudiziaria non può “scegliere” momenti

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1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

2.4. Tutti tali principi sono richiamati e, sostanzialmente, condivisi sia dall’ordinanza del
Tribunale che dal ricorrente.
Si tratta, quindi, di accertare se ci si trovi in presenza di una connessione qualificata, con
conseguente “automatica” applicazione del principio di retrodatazione di cui all’art.297 co.3
c.p.p., oppure se gli elementi indiziari, posti a base della seconda ordinanza di custodia
cautelare, fossero già a disposizione degli inquirenti al momento della emissione della prima
ordinanza (non potendo l’A.G. “scegliere” momenti diversi dai quali far decorrere i termini delle
relative misure quando si trova in presenza di più fatti per i quali i provvedimenti restrittivi
potrebbero essere adottati contemporaneamente- dr. sent. 14535/2006 cit.).
2.4.1. Risulta dagli atti pacificamente (non vi è contestazione sul punto da parte del ricorrente)
che la prima ordinanza fu emessa in data 18.1.2012 per il reato di estorsione continuata,
aggravata a norma dell’art.7 L.203/91, per fatti avvenuti in Ercolano dal mese di febbraio al
mese di luglio dell’anno 2008.
La seconda ordinanza di custodia cautelare venne emessa in data 4.2.2013 per il reato di cui
all’art.74 DPR 309/90 e per vari episodi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti
(art.73 DPR 309/90), aggravati ex art.7 L.203/91; secondo la contestazione l’ambito
temporale del reato associativo è riferito ad un momento iniziale preciso (dal mese di agosto
del 2009) e la condotta viene indicata come ancora “perdurante”.
2.4.2. Il Tribunale ha escluso l’esistenza di una connessione qualificata ex art.12 comma 1 lett.
b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri.
A prescindere dalla contestazione dell’aggravante di cui all’art.7 L.203/91, il reato associativo
era finalizzato allo spaccio di sostanze stupefacenti, per cui il reato di estorsione non poteva
rispetto ad esso essere qualificato come reato-fine. Per di più il sodalizio criminoso risultava
addirittura costituito dopo la commissione del reato di estorsione.
Né sussisteva l’ulteriore condizione richiesta dall’art.297 co.3 c.p.p. ovvero che i fatti oggetto
della seconda ordinanza di custodia cautelare fossero stati commessi anteriormente
all’emissione della prima ordinanza, come richiesto espressamente dall’art.297 co.3 c.p.p.
Si è visto, invero, come la prima ordinanza fu emessa in data 18.1.2012, mentre, quanto
meno con riferimento al reato di cui all’art.74 DPR 309/90, secondo la contestazione, la
condotta era ancora perdurante al momento della emissione della seconda ordinanza vale a
dire alla data del 4.2.2013. Palesemente, quindi, in relazione a tale reato non sussisteva
neppure il requisito dell’anteriorità.
2.4.3. Bisogna, infine, accertare se gli elementi indiziari su cui si fonda la seconda ordinanza
fossero desumibili dagli atti fin dalla data di emissione della prima ordinanza, e cioè se in quel
momento agli atti vi fossero elementi tali da consentire l’emissione dell’ordinanza di custodia
cautelare anche per i reati di cui agli artt.73 e 74 DPR 309/90.
Il Tribunale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha escluso siffatta
eventualità.
Il ricorrente si limita genericamente ad affermare di aver rappresentato “come tutti gli
elementi posti a base della OCC emessa dal Gip di Napoli fossero stati già in possesso dell’A.G.
ben prima della emissione della OCC del dr.Giordano” (pag.1 ricorso) ed altrettanto
genericamente ed assertivamente assume che le intercettazioni e le dichiarazioni dei
collaboranti non “si spingono oltre l’ottobre 2010”.
Peraltro è sufficiente rilevare che il reato associativo, secondo la contestazione “aperta”, era
ancora in atto e, quindi, si protraeva anche dopo l’emissione della prima ordinanza.
E, come ribadito anche di recente da questa Corte, “la retrodatazione della decorrenza dei
termini di custodia cautelare per differenti reati non solo presuppone, in ogni caso, che la

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diversi dai quali far decorrere i termini delle relative misure quando si trova in presenza di più
fatti per i quali i provvedimenti restrittivi potrebbero essere adottati contemporaneamente. Se
ne deve dedurre che non si può escludere la retrodatazione nei casi in cui i procedimenti
avrebbero potuto essere riuniti e risultano separati per una scelta del pubblico ministero. In
questo caso si verifica una situazione per vari aspetti analoga a quella regolata dall’ultima
parte 297 comma 3 c.p.p., disposizione che prevede la retrodatazione anche rispetto a
procedimenti diversi, connessi, che avrebbero potuto essere riuniti”.

seconda ordinanza abbia ad oggetto fatti anteriori a quelli oggetto della prima, ma, quando i
reati siano oggetto di distinti provvedimenti e procedimenti e tra gli stessi non sussista una
delle ipotesi di connessione qualificata previste dall’art.297, comma terzo, c.p.p., richiede
anche, come condizioni ulteriori ed autonomamente necessarie, che al momento dell’emissione
della prima ordinanza, fossero già desumibili, dagli atti a disposizione gli elementi per
emettere il successivo provvedimento e che i diversi procedimenti davanti alla stessa autorità
giudiziaria, fossero stati tenuti separati in conseguenza di una scelta del P.M.” (cfr. Cass.sez.
6 n..11807 dell’11.2.2013; conf. Sez. 6 n.12610 del 10.12.2012).

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario ai sensi dell’art.94 comma 1 ter disp.att.c.p.p.
Così deciso in Roma il 9.1.2014

P. Q. M.

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