Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5764 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5764 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sulla richiesta di rimessione ex art.45 c.p.p.proposta da:
1) Aprile Gelsomina

nata il 15.6.1946

sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G.,dr. Angelo Di Popolo, che ha
chiesto dichiararsi inammissibile la richiesta

sentito il difensore di parte civile,avv.Gaetano Insolera,che
ha chiesto dichiararsi inammissibile la richiesta

1

Data Udienza: 09/01/2014

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La richiesta di rimessione è inammissibile.
2. A norma dell’art.46 c.p.p. la richiesta di rimessione è depositata, con i documenti che vi si
riferiscono, nella cancelleria del giudice ed è notificata entro sette giorni a cura del richiedente
alle altre parti.
La richiesta è stata trasmessa a mezzo fax. Inoltre non risulta che la richiedente abbia
provveduto ad effettuare, così come prescrive la norma, le notifiche, nel termine tassativo di
sette giorni dal deposito della stessa in cancelleria, alle altre parti.
La notifica alle altre parti costituisce, invero, una condizione indefettibile dell’ammissibilità
della richiesta di rimessione che non ammette equipollenti; sicchè in mancanza di essa,
l’istanza deve essere dichiarata inammissibile ancorchè questa sa stata depositata in udienza
(a parte qualche decisione isolata – cfr. Cass. Sez. 1 n.56 del 9.1.1996-, la giurisprudenza di
questa Corte è consolidata sul punto- cfr. Cass.sez. 1 n.5026 del 7.10.1996; Cass. Sez. 1 n.
2174 del 3.4.1996; Cass. Sez. 5 n.39039 del 6.7.2012).
3. Va ricordato, comunque, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr.ex multis
Cass., S.U., n. 13687 del 28/01/2003 Rv. 223638, Cass., sez. 2, n. 3055 del 03/12/2004 Rv.
230697), “l’istituto della rimessione ha carattere eccezionale, implicando una deroga al
principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e, come tale, comporta la
necessità di un’interpretazione restrittiva delle disposizioni che lo regolano, in esse comprese
quelle che stabiliscono i presupposti per la “translatio iudicii”. Ne consegue che, da un lato, per
grave situazione locale, deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale,
riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da tale abnormità
e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la
non imparzialità del giudice (inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il
processo di merito) o di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che
partecipano al processo medesimo e, dall’altro, che i motivi di legittimo sospetto possono
configurarsi solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa”.
Cass., sez. 6^, n. 42773 del 10/10/2003 Rv. 227162, ha conseguentemente affermato che, in
materia, “il pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al
processo si identifica nel condizionamento che queste persone subiscono in quanto soggetti
passivi di una vera e propria coartazione fisica o psichica che, incidendo sulla loro libertà
morale, impone una determinata scelta, quella della parzialità o della non serenità,
precludendone altre di segno contrario”; ancora, Cass., 6^, n. 44570 del 06/02/2004 Rv.
230521, ha ulteriormente precisato che “la “grave situazione locale” che caratterizza l’istituto è
necessariamente costituita da un fenomeno esterno alla dialettica processuale, con
caratteristiche tali da porre in concreto pericolo la libertà di giudizio delle persone che
partecipano al processo, mentre i comportamenti del giudice ed i provvedimenti da questi
assunti rilevano solo in quanto dipendano dalla situazione esterna ed assumano valore
sintomatico d’una mancanza di imparzialità dell’intero ufficio giudiziario”.

2

1. Con istanza, pervenuta a mezzo fax alla Corte di Appello di Ancona (poi trasmessa a questa
Corte), Aprile Gelsomina, in relazione all’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di
Camerino dell’11.1.2008 e pendente davanti alla Corte di Appello di Ancona, proponeva
richiesta di rimessione per legittimo sospetto.
Assumeva che il processo pendente presso la Corte di Appello di Ancona era stato instaurato a
seguito di querela proposta dal dr. Vito D’ambrosio, già Presidente della Regione Marche, il
quale, a seguito del rientro in magistratura dopo la cessazione del mandato elettivo, aveva il
potere di condizionare tutta la magistratura locale.

4. A norma dell’art.48 comma 6 c.p.p., stante la manifesta infondatezza del ricorso, l’istante
va condannata al pagamento della somma di euro 1.000,00 a favore della Cassa delle
ammende. La richiedente va altresì condannata alla rifusione delle spese nei confronti della
parte civile che si liquidano come da dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile la richiesta di rimessione e condanna la richiedente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma di euro 1.000,00 a
favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile
che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre iva e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9.1.2014

3.1. La stessa richiedente, assumendo di essere stata “danneggiata” e “perseguitata” dalla
Regione Marche quando il dr.D’Ambrosio ne era Presidente, evidenzia che il predetto, che ha
proposto querela nei suoi confronti, esercita le funzioni presso la Corte di Cassazione.
Il presunto potere di condizionamento, da parte del dr.D’ambrosio, dei magistrati del Distretto
della Corte di Appello di Ancona risulta semplicemente enunciato.
Anzi è la stessa ricorrente a smentire la dedotta mancanza di serenità nei suoi confronti dei
Giudici di quel Distretto, quando afferma di essere stata mandata assolta dal reato di calunnia
o diffamazione.
Non risulta dimostrata quindi ne’ l’abnormità e la particolare consistenza della situazione
locale, ne’, soprattutto, la idoneità di questa a influire sulla libera determinazione di coloro che
partecipano al processo.

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