Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5760 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5760 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO
PRESSO-C43~APPELée DI MILANO
nei confronti di:
1) GOISIS GIANANDREA N. IL 04/05/1945
2) MORANDI GIOVANNI N. IL 23/06/1950 * C/
avverso la sentenza n. 2665/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 6402 tv-444 e 14 “194-k
che ha concluso per it R.;p4, de krtalth’

Udito, per la parte civile, l’Avv
UditisildifensolgAvv. ASWis

Data Udienza: 04/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 10 gennaio 2012, ha
riformato, dichiarando che il fatto non sussiste, la sentenza del Tribunale di

controllo, quale direttore responsabile del quotidiano Il Giorno, per il delitto di
diffamazione a mezzo stampa in danno di Gianandrea Goisis, commesso il 18
febbraio 2007 con la pubblicazione di un articolo, non firmato, nel quale si
affermava che il Presidente dei revisori dei conti della BPI, cioè il suddetto Goisis,
era indagato, contrariamente al vero in quanto l’indagine era per il delitto di
ostacolo alle funzioni di vigilanza di cui all’articolo 2638 cod.civ., per il diverso
reato di appropriazione indebita.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, agli
effetti penali, su richiesta della parte civile ai sensi dell’articolo 572
cod.proc.pen., il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano ed agli
effetti civili la stessa parte civile Goisis, con atti distinti ma di identico contenuto
lamentando:
a)

una motivazione contraddittoria e la illogicità della massima di

esperienza utilizzata per giungere al proscioglimento dalla contestata
diffamazione in merito all’indicazione nell’articolo in contestazione della
sottoposizione del Goisis ad indagini per un delitto meno infamante agli occhi del
lettore medio;
b) una erronea applicazione della legge penale e una motivazione illogica
in merito alla sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca,
pur in presenza del superamento del limite della verità del fatto narrato.
3. Risulta, altresì, pervenuta una memoria difensiva nell’interesse
dell’imputato Morandi che si oppone all’accoglimento degli avversi ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono meritevoli di accoglimento.
2. Si osserva in diritto, come il corretto esercizio del diritto di cronaca
giornalistica comporti il rispetto di alcuni parametri, ormai solidamente
1.

Milano del 21 febbraio 2011 che aveva condannato Morandi Giovanni per omesso

1,14100,1

individuati nella verità della notizia, nella rilevanza sociale della stessa e nella
continenza espressiva (v. da ultimo, Cass. Sez. V 4 novembre 2010 n. 44024).
E ancora, si è rilevato come sia configurabile la scriminante putativa
dell’esercizio del diritto di cronaca quando, pur non essendo obbiettivamente
vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto l’onere di esaminare, controllare e
verificare la notizia, in modo da superare ogni dubbio, non essendo, a tal fine,
sufficiente l’affidamento ritenuto in buona fede sulla fonte (v. da ultimo, in tema
Cass. Sez. V 5 marzo 2010 n. 23695, Sez. V 9 aprile 2010 n. 27106 e Sez. V 27
ottobre 2010 n. 3674).
In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’erronea convinzione circa la
rispondenza al vero del fatto riferito non può mai comportare l’applicazione della
esimente del diritto di cronaca (sotto il profilo putativo) quando l’autore dello
scritto diffamante o il direttore della pubblicazione non abbiano proceduto a
verifica, compulsando la fonte originaria; ne consegue che nell’ipotesi in cui una
simile verifica sia impossibile (anche nel caso in cui la notizia possa essere
ritenuta verosimile in relazione alle qualità personali dell’informatore) il
giornalista che intenda comunque pubblicarla e il direttore che consenta tale
pubblicazione accettano il rischio che essa non corrisponda a verità. (v. Cass.
Sez. V 18 febbraio 2010 n. 19046 e Sez. V 17 dicembre 2010 n. 13708)
Secondo, poi, un condivisibile orientamento interpretativo, il diritto di
cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta
categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di manifestazione del
pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte
consapevoli nell’ambito della vita associata.
E diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in
un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni
di rilievo nella vita politica, in sede centrale o periferica.
Ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la diffusione di notizie
lesive del credito sociale dell’indagato, secondo il consolidato orientamento
interpretativo, perde il suo carattere di antigiuridicità.
Va, comunque, precisato che la reputazione del soggetto coinvolto in
indagini e accertamenti penali non è tutelata rispetto all’indicazione di fatti e alla
espressione di giudizi critici, a condizione che questi siano in correlazione con
l’andamento del procedimento.
Per il cittadino sottoposto al processo penale non è ipotizzabile, attraverso
una strumentale gerarchia delle lesioni, una limitazione della tutela dei diritti

di cronaca giudiziaria ma con principio valido anche per la cronaca normale,

della persona riconosciuti dalla Carta costituzionale, fatte salve le specifiche
deroghe sopra indicate (v. Sez. V 17 dicembre 2010 n. 13702).
In tema di cronaca giudiziaria, infatti, la notizia è costituita dal
provvedimento o comunque dalla condotta degli “attori” del procedimento.
Se il resoconto giornalistico è fedele al contenuto del provvedimento
stesso, tanto è sufficiente, atteso che non può certo chiedersi al giornalista di
dimostrare la fondatezza delle decisioni prese in sede giudiziaria; ma se non lo è,
(evidentemente) appresa aliunde e deve, anteriormente, eseguire i necessari
controlli per stabilirne la veridicità (v. Cass. Sez. V 12 maggio 2011 n. 24955).
3. Nella specie, questa volta in fatto, se, come appare indiscutibile alla
luce delle stesse affermazioni della Corte territoriale, al Goisis non fu addebitata
dagli Organi inquirenti la condotta contra legem di cui si fa parola dell’articolo
(reato di appropriazione indebita), non è dubbio che la notizia debba essere
considerata non corrispondente al vero.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice a quo non può ritenersi
certamente rilevante, sotto tale profilo, che al predetto siano state
eventualmente addebitate dalla Autorità Giudiziaria procedente altre e diverse
condotte costituenti reato (ostacolo alle funzioni di vigilanza), stante l’oggettiva
non veridicità della notizia.
Neppure appare logico e giuridico il discorso della Corte territoriale in
merito alla mancanza di “plusvalenza lesiva della reputazione” (v. pagina 7 della
motivazione) della parte offesa nell’avvenuta attribuzione di una diversa
fattispecie, giungendo a soppesare la gravità dei fatti sulla base della quantità
della pena e della procedibilità d’ufficio dei rispettivi reati.
Al di là della circostanza che pur sempre si verte nell’ipotesi di
attribuzione, non vera, di un fatto costituente reato, quello che rileva è che “la
reputazione” della parte offesa con riferimento poi alla sua condizione soggettiva
e che costituisce, pur sempre, il bene giuridico protetto dal reato di diffamazione,
rimarrebbe ugualmente vulnerata dall’attribuzione, in capo ad un soggetto che
operi nel mondo bancario, del reato di appropriazione indebita piuttosto che dal
reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza bancaria.
Ciò discende dal fatto che la reputazione consiste nel senso della dignità
personale nell’opinione degli altri, o, per dirla più semplicemente, nella stima
diffusa nell’ambiente sociale nel quale l’uomo vive ed opera (v. Cass. Sez. V 22
settembre 2004 n. 47452) e non vi è dubbio, quindi, che ulteriori o diversi

3

allora il giornalista deve assumersi la responsabilità di propagare una notizia

elementi diffamatori comportino una sicura diminuzione della parte lesa nella
considerazione dei consociati.
4. Dall’accoglimento dei ricorsi deriva, in conclusione, l’annullamento
dell’impugnata sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di
Milano per nuovo esame.

La Corte, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di
Milano (altra Sezione) per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 4/12/2012.

P.T.M.

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