Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5759 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5759 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.M. presso Tribunale Frosinone
nel proc. c/o
Tucciarelli Massimiliano, nato a Roma il 26.10.71
iindagato art. 2 d.lgs 74/00

avverso la ordinanza del Tribunale per il Riesame di Frosinone del 26.10.71

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M. nella persona del P.G. dr. Pietro Gaeta, che ha chiesto l’annullamento
con rinvio del provvedimento impugnato;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – L’indagato, nella sua qualità di
legale rappresentante della società Croce Verde Anticolana S.r.l., si è visto sequestrare ex art.
322 ter c.p., un magazzino e le quote ideali di due terreni di sua proprietà. La misura cautelare
reale era stata disposta sulla base dell’ipotesi di reato di cui all’art. 2 d.lgs 74/00, ritenendo,

Data Udienza: 07/01/2014

cioè, che i beni sequestrati fossero il profitto (o comunque ad esso equivalente) o, anche, il prodotto
dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Il Tribunale per il Riesame, accogliendo il gravame del Tucciarelli, ha annullato il
provvedimento del G.i.p..

(Sgarbi, di 4.10.12).

In realtà – come fa notare il ricorrente – quest’ultima decisione muove da presupposti
diversi perché riguarda una ipotesi di violazione dell’art. 10 bis (omesso versamento nel termine
fissato delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti) e, comunque, il provvedimento
cautelare reale disposto in quel caso, trovava giustificazione nel fatto che «il profitto del reato
di omesso versamento delle ritenute si trovava ancora nelle casse della società».
Dal che si deve evincere che la possibilità di apprensione diretta del profitto del reato
possa affermarsi certamente nelle ipotesi nelle quali l’imposta trattenuta sia illecitamente
conservata nelle casse della società.
Invece, quando si versi nelle altre fattispecie tributarie delittuose, ove la condotta
illecita è costituita dalla rappresentazione, nella denuncia fiscale, di poste passive fittizie
ovvero omessa rappresentazione di elementi attivi di reddito (e, quindi, risparmio di imposta), non è
individuabile un profitto concreto (depositato nei conti della società) e, come tale, aggredibile.
Diversamente opinando (considerando, cioè, il risparmio fiscale come incremento del patrimonio e,
quindi, dato direttamente sequestrabile), si finisce per equiparare il presupposto per la sequestrabilità
del profitto del reato al presupposto per la sequestrabilità del vantaggio che la persona
giuridica trae dal reato. Quest’ultimo, però, è autonomamente considerato dall’art. 5 L 231/01,
solo per quei reati per i quali il legislatore ha previsto la responsabilità penale degli enti ma, fra
detti reati, non vi sono quelli tributari.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Motivi della decisione –

Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Come bene ricorda il ricorrente, la giurisprudenza di legittimità si è frequentemente
espressa nel senso che, nei reati tributari, il profitto è costituito anche dal risparmio economico
che consegue alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale (sez. III, 2.12.11,
Galiffo, n. 1199; Sez. III, 7.7.10, Bellonzi, n. 35807).

Le stesse sezioni unite (23.4.13, Adami, n. 18374) hanno affermato che il profitto confiscabile,
anche nella forma per equivalente, «è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale
direttamente conseguito alla consumazione del reato e può dunque consistere anche in un
risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento del tributo».
E, dunque, per tale ragione che, nel caso in esame, il ragionamento del Tribunale è
parzialmente esatto quando afferma che il profitto derivato dal reato tributario ha
incrementato il patrimonio della società. Ciò, infatti, è vero solo nel senso che, a seguito del
reato tributario, non si è verificato un decremento del patrimonio circolante (vale a dire,
contanti) ma non anche nel senso che, all’interno dei conti della società, sia conseguentemente
individuabile in concreto una somma direttamente sequestrabile.
Ed infatti, l’accrescimento patrimoniale è solo il riflesso di un mancato depauperamento
che, però, non si traduce in un elemento concreto, materialmente apprensibile.

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2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, ha proposto ricorso il Procuratore della
Repubblica deducendo erronea applicazione della legge penale.
Secondo il ricorrente, il ragionamento del Tribunale si baserebbe su una non corretta
nozione di profitto del reato di cui all’art. 2. I giudici, infatti, hanno annullato il provvedimento
sul presupposto che non fosse stata previamente accertata la possibilità di reperire una
somma corrispondente nel patrimonio della società né verificata la natura fittizia di
quest’ultima. Il tutto, sulla scia di pronunzie di questa S.C. come, ad esempio, la n. 38740

Ha, dunque, ragione il ricorrente quando sostiene che, contrariamente a quanto asserito
dal Tribunale, nella specie, non occorreva alcuna specifica dimostrazione della impossibilità di
sequestrare – in alternativa ai beni dell’indagato – la corrispondente somma nel patrimonio
della società.
Il principio, del resto, è stato enunciato chiaramente anche in altra recente pronunzia di
che ha expressis
questa sezione (9.5.12, Sgarbi, Rv. 254795) — opportunamente richiamata dal ricorrente
verbis sottolineato come la possibilità di sequestro preventivo per equivalente del profitto
(consistente nell’imposta non versata) derivante dall’omesso versamento di ritenute certificate (posto in
essere dall’amministratore) — è prevista nella misura in cui “la somma corrispondente sia rimasta
nelle casse della società”.

Ne consegue che, avendo la sentenza in esame deciso sulla base di una erronea
interpretazione della norma, se ne impone l’annullamento con rinvio al Tribunale di Frosinone
per nuovo esame della questione alla luce dei rilievi appena formulati.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Frosinone.

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Così deciso il 7’12532014

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